Se pronuncio la parola “credibilità”, che mi dici? La credibilità è una qualità che si conquista giorno per giorno, al cospetto delle persone che ti conoscono, che tu conosci oppure che tu non conosci, che tu frequenti oppure che non frequenti. Se svolgi un’attività lavorativa come quella che svolgo io, la credibilità può diventare qualità soltanto dopo molti anni, essa assurge a qualità pubblica, a fatto pubblico, ed io da vent’anni quotidianamente cerco di fare del mio meglio.
Il riscontro sociale? Ho un pubblico di lettori vastissimo ed eterogeneo, posso dire che il riscontro sociale oltre che positivo è spesso incoraggiante, è per me frequente ricevere e-mail, messaggi, oppure essere fermato per la strada o al supermercato.
E se pronuncio la parola “disinformazione”? La sento e la vedo scritta spesso rivolta nei miei confronti, e i soggetti che la usano sono sempre gli stessi: politicanti arruffoni ed arraffoni assurti a ruoli istituzionali attraverso un voto estorto anche solo per sudditanza sociale, burocrati inamovibili e mai rimossi nemmeno per tentativo da parte dei primi che in precedenza li avevano imboscati, personaggi senz’arte né parte che ci ritroviamo in posti più o meno di potere, ma la casistica in tutti questi anni è stata variegata assai e comprende financo qualche bugiardo giovanottino di paese impegnato a lucrare in attività d’avanspettacolo chiuse nel recinto del paese stesso col favore dei politicanti di prima e d’una discreta fetta di società che ne riconosce addirittura ruoli da leader!
E se pronuncio la parola “discredito”? 10 mila contro 200: la società sa discernere, valutare, giudicare, ma quasi mai sa ribellarsi, credendo d’averlo fatto dopo avere scritto un post su Facebook magari dai toni violenti e conditi di parolacce o di bestemmie. Le parole sono importanti, gridava in un suo bellissimo film Nanni Moretti, e lo grido anch’io. Le parolacce, che a volte uso anch’io in qualche mio pezzo per colorirlo provocatoriamente, quelle non lo sono.
Le parole sono importanti. Allora adesso dico questa: “Rivoluzione”. Da Abaco a Zuzzurellone è la parola che mi piace di più, che m’affascina da quando ho cominciato a leggere ed a sfogliare il dizionario, perché essa sconfina in un modo bellissimo dalle definizioni e dai pochi significati che qualsivoglia dizionario ne dia o ne elenchi. Però…
Però? Peccato che ogni giorno venga usata ed abusata per fatti che di rivoluzione e di rivoluzionario non hanno proprio un bel nulla.
Per esempio? Quante volte al giorno sentiamo parlare di “rivoluzione culturale” nei più disparati ambiti, persino per la spazzatura sia in senso fisico che metafisico? Lo trovo davvero offensivo per quel bellissimo sconfinare di cui parlavo prima e che non è affatto uno sconfinare per sconfinare…
– continua –