Perquisizioni “mirate” della guardia di finanza, su ordine dei magistrati di Salerno, pure nel circondario giudiziario di Castrovillari
Lo scandalo della giustizia corrotta in quel della Corte d’appello di Catanzaro, da un mese esatto è già un fiume in piena. Che nelle sue irruente e torbide acque rischia di travolgere il resto del distretto giudiziario catanzarese. Foro di Castrovillari compreso. Sì, perché in questo circondario giudiziario vi sarebbero state alcune perquisizioni “mirate” della guardia di finanza su disposizione della Procura di Salerno che indaga su fatti di corruzione in atti giudiziari a seguito di motivatissimi input ricevuti, per la loro competenza giurisdizionale, da parte della Procura di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri. La maxi-inchiesta s’allarga, dunque, e da qui a non molto potrebbe vedere coinvolte altre figure, che s’andrebbero ad aggiungere a quelle emerse proprio in questi ultimi giorni.
È la mattina del 15 gennaio quando l’oramai ex giudice Marco Petrini, 56 anni (nella foto in alto a sinistra), oramai ex presidente della seconda sezione della Corte d’assise d’appello nonché della Commissione tributaria provinciale catanzaresi, viene arrestato e condotto in carcere dalle fiamme gialle proprio su ordine dei giudici salernitani. La maxi-inchiesta è stata denominata “Genesi”. L’ex giudice Petrini e qualche suo sodale arrestato quella stessa mattina – in particolare il 68enne medico in pensione e faccendiere di Cariati Emilio “zio Mario” Santoro – da qualche settimana stanno vuotando il sacco coi magistrati inquirenti. Rei confessi di tutte le contestazioni mosse loro dalla Procura salernitana riguardo agli episodi di corruzione finalizzati ad “aggiustare” processi andati per gl’imputati maluccio in primo grado, a ridimensionare cause tributarie, a far superare gli esami da avvocato soprattutto a giovani ed avvenenti praticanti legali di sesso femminile. Il tutto per denaro – un vorticoso giro di soldi, tanti, tantissimi – costosi regali, tra cui immobili, lussuose autovetture e preziosi orologi di marca, e sesso con alcune delle avvenenti praticanti ed avvocatesse della compagnia di giro, alle quali Petrini per sue stesse ammissioni “aggiustava” pure i processi in cui le stesse patrocinavano in sede d’appello per i loro clienti condannati in primo grado di giudizio.
L’avvocatessa Rago chiamata in causa dall’ex giudice Petrini
Nei verbali delle sue confessioni – falcidiati da tantissimi omissis ancora tutti da scoprire – Petrini racconta, per esempio, d’essere stato lui a scrivere gli elaborati per la prova scritta dell’esame da avvocato, per poi consegnarli, di nascosto, all’esaminanda incontrandola vicino al «bagno della sala d’ingresso dell’istituto Enrico Fermi di Catanzaro Lido, sede di svolgimento degli esami». Un favore a una amica avvocato ed ai praticanti del suo studio, a uno dei quali aveva promesso che avrebbe ridotto la pena per il suo assistito. L’unico stralcio leggibile d’un interrogatorio reso ai pubblici ministeri salernitani lo scorso 5 febbraio, riguarda il recentissimo “favore” nell’assistere una propria praticante di studio chiesto a Petrini da parte proprio di quell’avvocatessa del foro di Castrovillari, Rosetta Rago, 49 anni (nella foto in alto a destra), con studio a Cassano Jonio, sua cittadina d’origine, ma residente a Trebisacce. L’avvocatessa Rago è indagata per corruzione in atti giudiziari – proprio assieme all’ex giudice Petrini da qualche giorno scarcerato – per fatti recentissimi, risalenti allo scorso mese di dicembre. La legale e la sua praticante «volevano – racconta Petrini – che io fossi presente nel plesso in cui era presente la praticante». Di più. Il giudice ammette che «nel secondo e terzo giorno degli esami ho elaborato scritti che poi consegnato alla praticante, in tal modo redigendo io stesso il parere di penale e l’atto giudiziario di penale. Ho consegnato gli elaborati scritti da me redatti di mio pugno e poi ricopiati dalla praticante nel pressi del bagno della sala d’ingresso dell’istituto Enrico Fermi di Catanzaro Lido, sede di svolgimento degli esami. Preciso che questa circostanza era a conoscenza dell’avvocato Rago che mi aveva espressamente richiesto di aiutare in tal senso la sua praticante».
«In cambio di questo aiuto che cosa ha ricevuto?», chiede il pm. Non vi sono soldi o regali, almeno in questa occasione. Petrini spiega che il suo interesse era motivato dai rapporti personali con l’avvocatessa. La quale, nel frangente, «temendo di essere intercettata, dava disposizioni alla sua praticante di uscire dalla stanza e di portare con sé il telefono». Già, temeva. Sì, perché la stessa professionista, il 17 gennaio del 2019, aveva condiviso sulla propria bacheca social di Facebook la prima pagina de “il Fatto Quotidiano” con l’allora scoop sui 15 magistrati calabresi indagati dai loro colleghi della Procura di Salerno.
Non solo. Petrini ammette d’avere promesso d’interessarsi al “caso” d’un imputato assistito dall’avvocatessa Rago, riguardo a un processo penale di prossima trattazione «da parte del collegio penale da me presieduto, trattandosi di un rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di Cassazione: io promisi all’avvocato Rago che avrei ridotto la pena». Una promessa che il giudice non ha potuto però mantenere, poiché arrestato prima di quel processo. Già, ma di che processo si trattava? Assai probabile – per non dire certo – si trattasse del maxiprocesso per ‘ndrangheta e narcotraffico intercontinentale denominato “Gentleman”, conclusosi in Cassazione lo scorso 24 ottobre le motivazioni della cui sentenza sono state depositate alla fine dello scorso mese di gennaio. Ma chi difende l’avvocatessa Rosetta Rago in questo processo? Il cliente della professionista cassanese è il 35enne cassanese Antonio Pavone, condannato a 11 anni e quattro mesi di reclusione per associazione mafiosa e droga. Pavone, da quanto emerso nel processo, sarebbe stato la “spalla” del 30enne Luigi Abbruzzese, figlio dell’ex capo ‘ndrangheta del “locale” degli zingari di Cassano Jonio, quel Franco Abbruzzese, 52 anni, alias “Dentuzzo”, oggi definitivamente condannato e detenuto al regime di carcere duro del 41-bis. Il figlio Luigi, detto il “Piccoletto”, fino al 2015 era il “numero due” della potente organizzazione criminale che da Cassano Jonio domina l’intero comprensorio della Sibaritide, che proprio fino alla maxi-retata di “Gentleman”, avvenuta nel febbraio 2015, era retta dal 51enne coriglianese Filippo Solimando, pure lui definitivamente condannato e detenuto al 41-bis. Pavone è il fratellastro di “Dentuzzo” in quanto figlio naturale del capostipite degli zingari cassanesi, quel Celestino Abbruzzese, 72 anni, alias “Asso di bastone” e nonno del “Piccoletto”, quindi uno zingaro in piena regola…
Antonio Pavone
L’ex giudice Petrini è difeso dall’avvocato Agostino De Caro del foro di Salerno e dal professore-avvocato Alfredo Gaito del foro di Roma. Quest’ultimo è stato il difensore di Solimando proprio nel maxiprocesso “Gentleman”, alla cui udienza dello scorso 24 ottobre, in Cassazione, ha sostituito l’avvocatessa Rago proprio nella difesa di Pavone. Ma queste sono soltanto delle coincidenze…
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