Intervista alla dottoressa Maria Ernesta Leone, medico calabrese nell’inferno lombardo del Coronavirus

 

 

di Rossana Lucente

Calabrese di origine, medico neurologo residente a Como, la dottoressa Maria Ernesta Leone è strutturata nella clinica riabilitativa “COF Lanzo Hospital” dove, come in tutte le cliniche lombarde, da più di un mese si è alle prese con il Covid-19.

 

Cosa pensa dell’ordinanza della presidente della Regione Calabria Jole Santelli, in contrasto con il Dpcm del premier Conte, di autorizzare l’apertura di bar e ristoranti con la possibilità di consumare nei tavolini all’aperto?

 

Penso si tratti di un’ordinanza suggerita da pressioni esterne che non tengono conto dell’andamento epidemiologico di una patologia virale che sta mettendo in ginocchio la sanità e l’economia di tutto il pianeta.

 

In Italia sono stati registrati, dall’inizio dell’epidemia, secondo dati aggiornati al 30 aprile, 205.463 casi con 27.967 morti. La Lombardia, il Piemonte, l’Emilia e il Veneto le regioni più colpite per l’alta densità della popolazione ma anche perché regioni ad elevata produttività. Le regioni del sud sono state meno colpite grazie al lockdown attuato da subito dai vari governatori tra cui la governatrice calabrese. In Calabria la gente è chiusa in casa da più di un mese con sospensione indiscriminata di tutte le attività. Nonostante tutto al 30 aprile sono stati registrati 1108 casi in parte per le partenze sconsiderate dal Nord nella seconda settimana di marzo. Questo significa che in Calabria il virus è arrivato ma è rimasto confinato proprio grazie al lockdown. 

La riapertura improvvisa di bar e ristoranti ne favorirebbe il ricircolo perché credo che non tutti i gestori di bar e ristoranti si siano ancora attivati per applicare i protocolli Covid che prevedono erogazione di gel disinfettante per le mani all’ingresso, ristrutturazione degli ambienti per favorire le distanze di sicurezza, uso di stoviglie monouso eccetera, ma soprattutto non penso che la gente sia ancora pronta alla nuova vita di convivenza con il virus che vieta nella maniera più assoluta i rapporti calorosi a cui si era abituati con strette di mano e chiacchierate a distanza ravvicinata, ma soprattutto penso che la gente non sia pronta psicologicamente all’uso corretto delle mascherine di protezione. A questo bisognerà gradualmente abituarsi per affrontare la fase di convivenza col virus, ma adesso è ancora troppo presto. Servono prima campagne informative.

 

 

Leggende metropolitane hanno annunciato che il virus Sars Cov-2 sia stato creato ad arte, simbolo dello scontro epocale fra Cina e Stati Uniti, per riequilibrare la bilancia commerciale. Cosa risponde a questa tesi fantascientifica?

 

Rispondo che si tratta effettivamente di una tesi fantascientifica. I virologi lo hanno spiegato bene. Il virus proviene dalla natura come è stato dimostrato sequenziandolo proprio in laboratorio. In pratica si tratta di una variante di Coronavirus che albergava nei pipistrelli. A causa dell’effetto del disboscamento massivo che vi è stato in alcune aree dell’Asia questi volatili si sono avvicinati alle aree urbane. Dal momento che da quelle parti pare si usa macellare animali vivi, vi è stato un salto di specie che ha fatto sì che questo virus raggiungesse l’uomo. Pare che la diffusione sia partita dai mercati animali di Wuhan in Cina, ma con la globalizzazione in poco più di un mese ha fatto il giro del mondo. Studiando il Dna del virus si è visto che prima di arrivare in Italia è passato dalla Germania. Questo significa che il virus che circola in Italia è differente, perché mutato, da quello cinese e da noi è arrivato da un tedesco e non da un cinese.

 

 

Da cosa è determinato il contagio da Coronavirus tra medici e infermieri impegnati in trincea? 

 

Domanda complessa questa! Il virus Sars Cov-2 ha un elevato indice di contagiosità e si trasmette tramite doplet (goccioline di saliva) e tramite contatto con superfici contaminate. Teoricamente tramite adeguati dispositivi di protezione individuale (Dpi) si dovrebbe essere protetti al 90%. Il problema dei contagi che si è verificata nella fase iniziale dell’epidemia in Italia è attribuibile all’aver sottovalutato l’allarme mondiale partito dalla Cina dalla seconda-terza settimana di gennaio. Nessuno pensava che il virus potesse effettivamente raggiungere l’Italia e purtroppo abbiamo avuto la grande sfortuna di conoscerlo proprio quando era in atto il secondo picco dell’influenza stagionale. Così i casi di febbre associata a tosse che si complicavano con polmoniti, all’inizio sono stati scambiati per influenza.

Da questo punto di vista, credo che i primi casi si siano presentati proprio in Lombardia tra gli ospedali di Lodi e Codogno. Il personale sanitario inizialmente ha lavorato a mani nude contro un agente patogeno che si è dimostrato terribilmente aggressivo e mortale. Dai primi casi confermati dopo le continue inspiegabili polmoniti tramite tamponi rinofaringei per ricerca del genoma Sars Cov-2, il virus aveva avuto modo di espandersi a macchia d’olio in tutte le regioni del Nord trovando impreparati tutti e soprattutto i medici di famiglia che dovevano in primis rispondere alla chiamate dei loro assistiti. Da questo il dramma che ha visto morire in tutta Italia 152 medici.

 

 

La solitudine dei pazienti affetti da Covid-19 negli ospedali, a cui vengono negate le visite dei loro cari, come può essere sopportabile?

 

Personalmente lavoro in una clinica riabilitativa in provincia di Como ed attualmente sono impegnata come neurologo nel reparto “No Covid” per la riabilitazione di pazienti colpiti da ictus o di pazienti guariti dal Covid-19 che necessitano di riabilitazione. Nella fase iniziale dell’emergenza anche io ho fatto alcuni turni nel reparto Covid della clinica, considerando che la patologia in Lombardia ha avuto una tale estensione e criticità che praticamente quasi tutti gli ospedali e quasi tutte le cliniche hanno dovuto riorganizzarsi per attivare reparti Covid in sicurezza seguendo le norme del caso.

Durante la mia attività in Covid ho avuto modo di osservare e raccogliere storie ed esperienze dei vari pazienti. In realtà con la tecnologia a disposizione nessuno si sente solo perché il contatto con i famigliari avviene quotidianamente. Per i pazienti più compromessi sono stati messi a disposizione telefoni dedicati da utilizzare per eventuali videochiamate. Il dramma più grande credo che lo abbiano vissuto i famigliari di chi è deceduto per Covid-19 dal momento che per igiene pubblica non ha potuto riavere indietro la salma del congiunto. Per il resto, le storie tristi vengono raccontate da pazienti in fase di guarigione che hanno visto morire i loro genitori anch’essi contagiati, e da chi è sopravvissuto dopo essere transitato dai reparti di rianimazione, ancora tracheostomizzato o appena estubato, per una terribile ansia che impedisce tranquilli sonni notturni per aver vissuto l’angoscia della morte imminente.

 

 

In attesa di un ipotetico vaccino, come si potrà convivere con questo invisibile e pericoloso virus?

 

Modificando tutte le nostre abitudini. Il virus si trasmette tramite goccioline di saliva e tramite contatto con superfici contaminate quindi bisognerà uscire sempre con una mascherina indossata in modo da coprire naso e bocca e con gel disinfettante per mani in borsa. Bisognerà riuscire a mantenere le distanze di sicurezza ed evitare gli assembramenti. In poche parole, fino a quando non sarà disponibile un vaccino tutti dovremmo considerarci potenziali portatori di virus e dovremmo essere in grado di tutelarci e di tutelare gli altri.

redazione@altrepagine.it

 

 

 

 

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