di Fabio Buonofiglio

Ergastolo. Il sostituto procuratore generale di Catanzaro Salvatore Di Maio ha richiesto la conferma della condanna alla massima pena prevista dall’ordinamento italiano, già inflitta al termine del processo di primo grado, alla fine della propria requisitoria nel processo d’appello in corso, nei confronti dei due presunti partecipi del triplice omicidio, la strage di Cassano Jonio: quella in cui morì e fu bruciato all’interno dell’abitacolo d’una Fiat Punto, insieme al nonno 52enne Giuseppe Iannicelli ed alla 27enne compagna marocchina, pure il piccolo Nicola “Cocò” Campolongo d’appena 3 anni, nipotino del trafficante di droga “Peppe” Iannicelli. La strage di Cassano del 16 gennaio 2014, consumatasi nella rurale e sperduta contrada Fiego.

 

Il processo vede alla sbarra il 41enne Cosimo Donato alias “Topo” (foto a destra) ed il 42enne Faustino Campilongo alias “Panzetta” (a sinistra). A gennaio dello scorso anno Donato e Campilongo furono condannati dai giudici della Corte d’Assise di Cosenza al termine d’un lungo processo caratterizzato anche dalla testimonianza di numerosi collaboratori di giustizia e dall’ascolto delle intercettazioni eseguite nel corso delle indagini dai carabinieri. 

 

Il magistrato che oggi rappresenta la pubblica accusa nel processo d’appello ha ricostruito tutte le tappe dell’inchiesta condotta dai carabinieri del Reparto operativo speciale di Catanzaro e dai loro colleghi del Reparto operativo di Cosenza. Dalle ore successive al delitto, quando alcuni familiari di “Peppe” Iannicelli, nonno del piccolo “Cocò” Campolongo, incontrarono i due uomini residenti a Firmo, Donato e Campilongo appunto, che puzzavano di benzina. Fino ai dialoghi in lingua arbereshe intercettati nel corso della detenzione di Cosimo Donato. Dai messaggi su Messanger e WhatsApp intercettati dagl’investigatori alle dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia passando per le contraddittorie testimonianze di Sonia Di Monte, ex compagna dell’attuale collaboratore di giustizia Michele Bloise e di Cosimo Donato. I due imputati, secondo la ricostruzione dei fatti, avrebbero bruciato la macchina e i corpi delle tre vittime. Più d’un movente: lo spaccio di droga, il tentativo di “Peppe” Iannicelli di tenere sotto scacco i due imputati e di prendere le distanze dal “locale” di ‘ndrangheta degli zingari di Cassano. Se Cosimo Donato e Faustino Campilongo abbiano materialmente ucciso i tre o se siano realmente loro i mandanti della strage questo ancora non è chiaro, ma la Direzione distreettuale antimafia di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri sta lavorando al secondo livello dell’inchiesta.

 

La sede della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro

 

Mai fu trovata l’arma del delitto né alcuni dettagli che avrebbero potuto allargare il cerchio dei responsabili, come il telefonino della ragazza marocchina Ibtissam Touss. La pubblica accusa a conclusione della lunga udienza di ieri ha dunque richiesto ai giudici della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro di confermare le condanne all’ergastolo di Donato e Campilongo.

 

 

La morte di “Cocò” spinse Papa Francesco a venire a Cassano. Il Pontefice, nel giugno del 2014, in un memorabile discorso pronunciato a Sibari scomunicò per la prima volta nella storia tutti i mafiosi. 

 

Il processo di secondo grado a Donato e Campilongo, difesi dagli avvocati Ettore Zagarese, Vittorio Franco e Mauro Cordasco, riprenderà il prossimo 8 luglio. Ieri oltre al sostituto procuratore generale Di Maio, ha parlato pure il legale di parte civile, Liborio Bellusci, nell’interesse della famiglia Iannicelli, il quale ha chiesto la condanna degl’imputati alla pena di ragione.

direttore@altrepagine.it

 

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