Il neo direttore Filippo Demma denuncia i tanti problemi che affliggono la gestione dell’area e racconta i suoi primi mesi: «C’è un’emergenza legalità, lavoro più con le forze dell’ordine che coi colleghi del Ministero della Cultura»
Che non rischi di passare sottotraccia l’allarmata denuncia del neo direttore del Parco archeologico di Sibari e del Museo archeologico nazionale della Sibaritide, Filippo Demma. Il noto archeologo e professore napoletano insediatosi a novembre dello scorso anno, qualche giorno fa ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano nazionale La Repubblica: «Nei primi mesi del mio lavoro ho lavorato quasi più coi carabinieri e col Ministero dell’Interno che coi colleghi del Ministero della Cultura».
Demma ha ingaggiato una vera e propria battaglia contro il malaffare diffuso che ruota attorno al luogo della cultura per antonomasia dell’intero comprensorio della Piana di Sibari, complice determinante la pervasiva presenza della ‘ndrangheta.
Con abusivismo ed occupazione illecita d’aree di pregio di quella che fu la città magnogreca che tra il VII e VI a.C dominava il Mediterraneo occidentale, ma vi regnano pure bande di ladri e prostitute sfruttate dalle gang criminali della zona. E tutto ciò rende difficile la gestione di un’area archeologica che s’estende per 50 ettari di terreno lungo la Statale 106 jonica, con diversi punti d’accesso alla zona più importante quanto delicata.
«La prostituzione si consuma proprio all’interno del Parco»
Il direttore Demma è preoccupato del sistema d’illegalità diffusa che pervade l’area archeologica: «Tra microcriminalità, prostituzione, furti e un’alta permeabilità criminale, la sicurezza ne risente non poco. La polizia ha documentato come si pratichi la prostituzione anche in casotti e ricoveri di fortuna all’interno di zone archeologiche».
Non solo. Perché vi sono pure i ben noti problemi di carattere strutturale, le cui risoluzioni tecnologiche non sono immuni dai predoni:
«Dal punto di vista idrogeologico, l’altezza della falda acquifera e il fenomeno naturale della subsidenza ci obbliga a tenere in funzione 24 ore su 24 ben sette pompe well point per tenere asciutto il sito archeologico: questi impianti in passato hanno subito danneggiamenti di probabile origine dolosa».
Ma il pesante giogo dell’illegalità diffusa ha fatto sì che venissero «depredati impianti elettrici, termosifoni, infissi e persino interruttori della luce» nelle pertinenze del parco «a causa d’un mix di misure di sorveglianza insufficienti e di quella criminalità diffusa e impunita che ha completamente spogliato l’edificio che accoglie i visitatori».
«Occupazioni abusive di aree assegnate al Parco»
Il direttore Demma a La Repubblica denuncia quel ch’è il fatto di malaffare più grave e racconta di quei «duecento ettari di terreni assegnati al Parco archeologico di Sibari» che sono state in affitto negli anni:
«Solo 3 dei 24 concessionari sono in regola coi canoni, e pare addirittura che qualcuno abbia falsificato la documentazione per ottenere dei contributi europei. La dirigente del Polo museale calabrese Antonella Cucciniello, precedentemente responsabile del sito, aveva collaborato con le indagini dei carabinieri e intimato lo sfratto un anno fa, ma quelle terre sono ancora e tuttora occupate».
A farla da padrona è gente legata alla ‘ndrangheta.
La battaglia di legalità del direttore e i progetti per il futuro
Per il futuro Demma ha un progetto: «Il Parco dovrà gestire queste terre in modo diverso. Immagino di coinvolgere il terzo settore, associazioni e cooperative impegnate altrove nella gestione di beni sottratti alla criminalità, che ci aiutino anche a diffondere la cultura della legalità, con iniziative didattiche, con un’azione a tutti gli effetti culturale sul territorio».
E a Sibari, quella di Filippo Demma è una vera e propria battaglia finalizzata a ripristinare la legalità:
«Il punto imprescindibile è questo: in un territorio gravato da problemi di diffusa illegalità e funzionamenti mafiosi, bisogna lavorare per ripristinare la legalità non solo con azioni di polizia, ma anche lavorando, con calma e pazienza, a creare coscienza civica, e questo è un processo culturale a tutti gli effetti del quale la principale istituzione culturale del territorio non può non farsi carico. E in questa battaglia non siamo soli, perché lavoriamo di concerto con la Prefettura di Cosenza, in stretta collaborazione con le forze di polizia, e abbiamo il sostegno del Comune e della Diocesi di Cassano Jonio». direttore@altrepagine.it