Il dente avvelenato. Da tanti anni. Circa 18 ne sono passati da quando Gaetano Solferino, nel 2003 appena 23enne, si vide incendiata la propria abitazione nel centro storico rossanese. Fu un atto di ritorsione ‘ndranghetista quello, e i processi che pur si tennero non riuscirono a dare nomi e cognomi né ai mandanti né agli esecutori materiali di quella terribile azione incendiaria.

Una ritorsione finalizzata a “punire” Solferino per cosa? È presto detto. Il 42enne all’epoca cominciò a collaborare con la giustizia.

Le mendaci dichiarazioni sul primo tentato omicidio di Manzi “Tom tom” 

Solferino rese delle dichiarazioni accusatorie addirittura su un tentato omicidio di ‘ndrangheta, il primo dei ben due tentativi consumati negli anni d’eliminare dalla scena criminale rossanese l’allora boss Antonio Manzi detto “Tom tom”, il quale non voleva riconoscere l’allora boss emergente Nicola Acri, oggi 42 anni, detto “Occhi di ghiaccio”.

Solferino indicò due giovani quali responsabili del ferimento di “Tom tom”, e al contempo accusò se stesso d’avere collaborato con gli stessi avendoli aspettati fermo in un’auto nei pressi del locale carcere di Ciminata Greco, e, una volta raggiunto dai complici, d’avere guidato la fuga dopo l’agguato.

Gaetano Solferino

Tutto falso. Sì, perché in sede di riscontro investigativo, il magistrato che raccolse a verbale quell’atto d’accusa, l’allora sostituto procuratore di Rossano Fabio Buquicchio, appurò, clamorosamente, che il giorno dell’agguato a Manzi, il 26 dicembre del 2002, Gaetano Solferino non poteva essere nei pressi di quel carcere. Già, perché si trovava proprio dentro quel carcere. Tra le sbarre, detenuto insomma.

Non era stato ritenuto un collaboratore credibile ed era stato ben presto “scaricato” dalla Procura

Il secondo “pentimento” fasullo di Solferino

Ci riprovò anni dopo a fare il “pentito”, attraverso altre dichiarazioni rese ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta anti-‘ndrangheta “Stop” proprio contro la ‘ndrina guidata dall’ex superboss rossanese “Occhi di ghiaccio”, il quale da alcune settimane – lui sì – ha “saltato il fosso” divenendo collaboratore di giustizia.

Solferino però in seguito rifiutò di testimoniare in dibattimento contro i sodali che aveva in precedenza accusato, era stato subito scaricato pure da parte dei magistrati antimafia e nel processo venne condannato assieme agli altri.

La notizia del suo primo falso “pentimento” s’era diffusa in men che non si dica, così per dargli “una lezione” qualcuno aveva ordito d’incendiargli la casa e d’indirizzargli tutta una serie d’altri “dispetti” di stampo criminale. 

I feroci pestaggi delle ultime settimane: carnefici e vittime   

È molto probabile che affondi le radici proprio in questi vecchi fatti il movente sotteso alla partecipazione attiva di Solferino, assieme ai suoi due giovani nipoti, ai pestaggi di ‘ndrangheta di queste ultime due settimane nella parte rossanese di Corigliano-Rossano, che la Procura distrettuale antimafia da stamane ufficialmente gli contesta.

Solferino alle 4 di stamane è stato infatti arrestato, tradotto e rinchiuso nel carcere di Cosenza, per effetto d’un decreto di fermo d’indiziato di delitto emesso dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Stefania Paparazzo, a seguito delle indagini condotte sul campo dai carabinieri della Compagnia rossanese diretta dal capitano Carlo Alberto Sganzerla. Stessa sorte è toccata al nipote suo perfetto omonimo, Gaetano Solferino, di 22 anni.

Il magistrato Vincenzo Capomolla è il “numero due” del procuratore antimafia di Catanzaro Nicola Gratteri

Le accuse a Solferino e ai suoi giovani nipoti 

Associazione mafiosa, lesioni aggravate, incendio doloso e violenza privata sono le accuse nei loro confronti. Sono ritenuti – assieme ad altri soggetti ancora da identificare – gli autori d’almeno tre pestaggi. Tra gli altri quello ai danni del 39enne Gennarino Acri, fratello del neo “pentito”, mandato in ospedale.

Indagato pure l’altro nipote di Solferino, Andrea Pio Solferino, di 25 anni, ricoverato nell’ospedale dell’Annunziata a Cosenza a seguito del pestaggio subito proprio assieme ai due congiunti nel pomeriggio di sabato, quando i loro nemici (per ora ignoti) gli hanno platealmente incendiato pure l’Alfa 156 a bordo della quale il terzetto si trovava nel momento della feroce aggressione.

Il plateale incendio dopo il pestaggio subito dai Solferino sabato pomeriggio

Adesso gli elementi indiziari raccolti dai carabinieri e in mano ai magistrati inquirenti della Dda, passeranno al vaglio del giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro per i successivi provvedimenti. direttore@altrepagine.it

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Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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