L’anno dopo, poco prima di morire suicida in carcere, il boss Salvatore Mollo raccontò all’Antimafia la propria “verità” sul movente facendo i nomi di presunti mandanti ed esecutori del fatto di sangue in cui trovò la morte pure l’innocente Antonio Riforma
Ancor prima che fosse battuta dall’agenzia Ansa, la notizia era già arrivata a Cirò. I killer usarono la potenza di fuoco di due fucili mitragliatori kalashnikov per rispedire al Creatore il boss coriglianese Antonio Bruno alias “Giravite”, 58 anni, e il povero innocente che si trovava quasi per caso nell’auto in sua compagnia, il 56enne del luogo Antonio Riforma soprannominato “Asso di mazza”.
Erano le 7 del mattino del 10 giugno 2009. La plateale imboscata mortale, consumata lungo una strada interpoderale di contrada Torre Voluta, nella disseminata campagna coriglianese, andava in scena a pochissimi giorni dall’elezione del sindaco dell’ex comune di Corigliano oggi fuso con Rossano.
Bruno “uomo di rispetto” della vecchia generazione ‘ndranghetista
Quel duplice omicidio – vero obiettivo dei killer era Bruno, Riforma fu eliminato perché testimone “scomodo” – segnò un radicale cambio di potere nella ‘ndrina coriglianese sottoposta all’influente locale ‘ndranghetista “degli zingari” con sede nel confinante comune di Cassano Jonio. La cesura definitiva con gli “uomini di rispetto” della vecchia generazione ‘ndranghetista coriglianese ch’erano tornati in libertà dopo anni di galera.
La stessa sorte di “Giravite” qualche anno addietro era toccata ad altri. Un nome su tutti: quello dell’aspirante “reggente” della ‘ndrina Giuseppe Vincenzo Fabbricatore, trucidato assieme al “compare” Vincenzo Campana detto “Qua-Qua” in uno spettacolare agguato a colpi di kalashnikov lungo il tratto di Statale 106 che dal coriglianese conduce a Sibari, nel cassanese. Epurazioni di ‘ndrangheta che furono al centro del maxiprocesso “Timpone Rosso”. La cui sentenza, oggi definitiva, ha dato nomi e cognomi a mandanti ed esecutori materiali di quello e di numerosi altri fatti di sangue.
Quel verbale di confessioni che il boss Mollo poi non firmò
L’omicidio di Bruno “Giravite” resta per il momento ancora insoluto. Anche se i nomi degl’ipotetici responsabili sono riportati in un verbale di dichiarazioni rese da un altro boss coriglianese, che aspirava a diventare collaboratore di giustizia. Purtuttavia, Pietro Salvatore Mollo non può aspirare più a nulla, essendo morto suicida nel dicembre del 2010 all’interno della sua cella nel braccio di massima sicurezza del carcere “Le Costarelle” de L’Aquila dov’era detenuto al 41-bis. Un suicidio dalle modalità strane il suo, ma il “caso” fu chiuso poco tempo dopo.
Ciò ch’è rimasto ben aperto è invece quel verbale – e la relativa registrazione audio – delle dichiarazioni rese circa un mese prima di morire, il 18 novembre del 2010, all’allora sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Vincenzo Luberto.
«(…) Antonio Bruno è stato ammazzato perché s’era alleato coi Forastefano, Cenzo Pirillo e Portoraro. Lo stesso Antonio Bruno m’aveva confidato di temere ritorsioni dei coriglianesi che erano alleati con gli zingari. Ho partecipato ad una riunione insieme a Filippo Solimando, Francesco Sommario, Pietro Longobucco, il nipote di quest’ultimo e tale Annibale, uomo e parente di Nicola Acri.
Nell’ambito di questa riunione mi si diceva che Antonio Bruno da lì a poco era finito. A quella riunione sono stato convocato per fare pace, in quanto ero un formidabile picchiatore e in quel periodo stavo picchiando tanta gente. Lo stesso Filippo Solimando in un’altra occasione mi diceva che Antonio Bruno sarebbe stato ucciso da Salvatore Ginese e da Annibale, mi disse pure che le armi, due kalashnikov, erano state portate da Castrovillari.
In relazione all’omicidio Fabbricatore posso riferire che effettivamente Fabbricatore voleva prendere il potere a Corigliano per come lo stesso Fabbricatore mi riferiva nel corso d’una comune detenzione nel carcere di Siano nell’anno 1999, quando nel 2002 Fabbricatore usciva dal carcere mio cugino Vincenzo Campana mi raccontava che lo stesso Fabbricatore aveva fissato più appuntamenti tramite Maurizio Barilari e Fabio Falbo agli zingari e a Nicola Acri. In esito ad uno di questi appuntamenti Fabbricatore è stato ucciso (…)».
Al termine delle sue confessioni, Salvatore Mollo non volle però firmare il verbale. Pare avesse richiesto al magistrato che l’aveva interrogato una serie d’inesaudibili “garanzie”. L’atto risulta dunque firmato soltanto dal togato, da due sottufficiali dei carabinieri che l’avevano redatto, e dall’avvocato Valeria Maffei del foro di Roma, la legale da Mollo nominata per assisterlo durante quell’interrogatorio.
La magistratura giudicante ha ritenuto “attendibili” le sue dichiarazioni, registrate pure su un file audio e richiamate nelle sentenze emesse dai giudici di primo e secondo grado, confermate in Cassazione, nell’ambito dei maxiprocessi “Santa Tecla” e “Timpone Rosso”. Processi che però non avevano ad oggetto l’omicidio di “Giravite”. direttore@altrepagine.it