La soddisfazione dell’avvocato Andrea Salcina: «Caduta l’aggravante del metodo mafioso»

Finirono in carcere per mano dei carabinieri di Corigliano su ordine dei magistrati Antimafia della Procura di Catanzaro, il 29 ottobre del 2014.

L’accusa? Tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni del noto pasticciere Francesco Mazzei, titolare dell’omonima pasticceria ubicata allo Scalo coriglianese di Corigliano-Rossano.

I due noti pregiudicati coriglianesi Giuseppe Sammarro detto “’U cardillu”, 54 anni (foto a sinistra), e Pasquale Semeraro inteso come “Motozappa”, 42 (foto a destra), avevano preso di mira il pasticciere già da qualche tempo, quando furono arrestati. La richiesta estorsiva era di 3 mila euro e il duo si sarebbe presentato in nome e per conto della ‘ndrina attiva ed operante nel Coriglianese. Sottintesa, dunque, sarebbe stata la minaccia ritorsiva in caso di rifiuto di pagare il “pizzo”.

La pretesa sarebbe stata avallata col “piatto piangente” d’alcune famiglie coriglianesi i cui uomini da tempo si trovavano detenuti in carcere per effetto delle condanne inflitte loro nel maxiprocesso “Santa Tecla”, l’ultimo in ordine di tempo celebrato contro l’organizzazione di ‘ndrangheta coriglianese, appunto. E le famiglie – è regola di ‘ndrangheta arcinota – vanno mantenute da parte dei “compari” rimasti liberi, anche per evitare che qualcuno dal carcere cominci a “cantare” coi magistrati antimafia. 

L’ingresso della nota pasticceria coriglianese

L’indagine nata dal “fiuto” investigativo d’un bravo carabiniere entrato in pasticceria per comprare dei dolci

La denuncia del pasticciere Mazzei era scaturita dopo che un bravo sottufficiale dell’allora Nucleo operativo dell’Arma coriglianese s’era recato in pasticceria per acquistare dei dolci, incrociandovi proprio Sammarro e Semeraro – volti che gli erano ovviamente assai noti – in atteggiamento “equivoco”.

Dopo aver “fiutato” qualcosa, ne era seguita una sua relazione di servizio. E il pasticciere era stato subito convocato in caserma per “chiarimenti”. Da qui la prima denuncia e le acquisizioni delle registrazioni delle telecamere collocate all’esterno della pasticceria e dei tabulati telefonici della vittima.

La caserma dei carabinieri dello Scalo coriglianese

Intercettato ambientalmente e telefonicamente, quindi, il via vai e l’intenso traffico dei due ritenuti estorsori attraverso le telecamere piazzate sull’ingresso dell’attività commerciale della vittima, per la quale era stata disposta pure l’attività di controllo delle utenze telefoniche. Ed emerse che in quattro diverse  occasioni, “‘U cardillu” e “Motozappa” avevano fatto visita al pasticciere: il 4 luglio, il 27 agosto, il 12 e il 21 settembre del 2014.

«Tu lo sai perché sono qui, ci sono trenta carcerati che devono campare […], ci vorrebbero tremila euro, ma poiché sei un bravo ragazzo vanno bene duemilacinquecento […]. A noi dei dolci non interessa nulla, ci sono tanti carcerati e le loro famiglie devono mangiare, ci vogliono i soldi, né dolci né sconti».

Semeraro in quel periodo era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. 

In primo grado condannati col rito abbreviato a 5 anni di carcere. Ieri in appello a 2 anni e mezzo

Entrambi difesi dall’avvocato Andrea Salcina del foro di Castrovillari, avvalendosi del rito abbreviato, in primo grado nella primavera del 2015 erano stati condannati dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro a 5 anni di reclusione ciascuno. Pene clamorosamente dimezzate nella giornata di ieri, in esito al processo d’appello.

La sede della Corte d’Appello di Catanzaro

A dispetto della richiesta di conferma delle condanne inflitte in primo grado da parte del procuratore generale Raffaella Sforza, infatti, il collegio presieduto dalla giudice Loredana De Franco ha riformato la sentenza: 2 anni e sei mesi ciascuno a “’U cardillu” e “Motozappa”.

L’avvocato Andrea Salcina

Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni, ma secondo l’avvocato Salcina «è evidente che è venuta meno l’aggravante del metodo mafioso per come la mia difesa ha documentalmente provato nell’atto e nel processo d’appello», ha dichiarato con soddisfazione. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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