Ecco le accuse che l’Antimafia di Milano muove ai tre coriglianesi in carcere da lunedì mattina. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali
A Corigliano non era riuscito neanche a diplomarsi in ragioneria. Poco più che ventenne s’era trasferito al Nord Italia, nella ricca Lombardia.
In quel di Saronno, nel Varesotto, viveva già da anni suo “suocero”, il padre della sua allora fidanzata. L’uomo, a suo dire, era un impresario edile che lì s’era fatto da solo ed era titolare d’una ditta attiva nel settore del trasporto e posa del calcestruzzo. Nell’inverno del 2015, però, il dinamico impresario era finito sotto i riflettori della Prefettura di Varese.
La ditta venne infatti travolta da un’interdittiva antimafia perché fortemente sospettata di gravitare in una ben più ampia orbita imprenditoriale… di stampo criminale. ‘Ndranghetista per la precisione.
Sarebbe stata riconducibile alla nota famiglia Gioffrè originaria di Seminara, in Provincia di Reggio Calabria, dominante nella provincia di Varese e con esponenti di spicco già definitivamente condannati e in carcere da svariati anni.
Il ritenuto impresario “prestanome” si chiama Bruno Sposato (nella foto d’apertura, a sinistra), oggi 54enne. Il giovanissimo ex “genero”, invece, Francesco Cofone (a destra nella foto d’apertura), che di anni ne ha 29. Sono entrambi coriglianesi ed originari della medesima contrada rurale Mandria del Forno di Corigliano-Rossano.
A seguito dell’interdittiva antimafia, nel giugno del 2015 fu proprio Cofone ad aprire una ditta, con la stessa ragione sociale di quella del “suocero”. Da quel momento formalmente l’impresario è stato lui, di fatto sempre il “suocero” che aveva una piccola rete di fidatissimi tra i quali un suo cugino, cresciuto nella stessa contrada rurale coriglianese e da tanti anni oramai a Saronno, Giuseppe Curino, di 45 anni, “utilizzato” da Sposato come utilizzava il “genero” per qualsiasi tipo di ‘mmasciata.
Il giovanissimo “neo imprenditore” Cofone era esaltato: se fino ad allora non aveva mai avuto in tasca un centesimo di euro, subito dopo ha cominciato ad emulare la vita di Flavio Briatore… emulandola alla grande! Già: nel ben vestire, nel guidare belle auto, nel frequentare ottimi ristoranti e locali à la page. Il soldo della sua “prestazione” gli circolava e se lo “guadagnava” sul campo. Secondo la magistratura, in modo criminale.
Cofone, il “suocero” Sposato e il cugino Curino, infatti, dall’alba di lunedì scorso si trovano ristretti nel carcere di Busto Arsizio per ordine del giudice per le indagini preliminari distrettuale Luca Milani e su richiesta del sostituto procuratore antimafia Sara Ombra. Accusati – assieme ad altre 8 persone destinatarie della stessa ordinanza applicativa di misure cautelari – d’associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni e alle turbative d’asta. I capi d’imputazione contestati loro, a vario titolo, sono numerosi.
Erano diventati i veri padroni d’una cava d’inerti gestita da un imprenditore loro vittima
Da anni, a parere della Direzione distrettuale Antimafia del capoluogo lombardo, la ditta “Sposato-Cofone” s’era infiltrata in una cava di materiale inerte di Limbiate, in Brianza, gestita da un altro imprenditore ch’era diventato loro vittima, arrivando ad usare l’area di quell’azienda come “parcheggio” esclusivo per i loro mezzi. Ed acquisendo, con intimidazioni ed aggressioni, il monopolio delle commesse di trasporto e getto di calcestruzzo in giro per i cantieri di Saronno, Cislago, Gerenzano e di mezza Lombardia.
Per anni, secondo le accuse mosse loro dall’Antimafia, avrebbero acquisito appalti a scapito di concorrenti nel settore ben più attrezzati ed esperti di loro.
Il meccanismo criminale
Il ritenuto “meccanismo” criminale funzionava così: il titolare della cava raccoglieva le richieste di pompaggio e di getto di calcestruzzo e trattava direttamente coi clienti il tipo di materiale da utilizzare, le condizioni di pagamento e i tempi di realizzazione.
Sempre il titolare della cava eseguiva coi propri dipendenti i getti che non necessitavano d’autopompa e assegnavano ai sub-appaltatori l’esecuzione degli altri getti. Ed era proprio in questo passaggio che s’inserivano Sposato, Cofone, Curino e compagnia. Che, stando alle accuse, obbligavano con intimidazioni i titolari della cava ad assegnare sistematicamente getti di calcestruzzo alla ditta di Cofone. Che arriverà a una percentuale da monopolio pari al 98%!
Ad avere la peggio, tra le altre ditte concorrenti, persino un’impresa d’altissimo livello che aveva eseguito lavori anche per la costruzione della linea metropolitana “M4” di Milano:
«Attento che non ti salta per aria quella betonpompa là, che prende fuoco… ti brucia la pompa e l’impianto…», si legge nella trascrizione d’una intercettazione telefonica.
Le intercettazioni dei carabinieri
L’indagine della Direzione distrettuale Antimafia milanese è di fatto la prosecuzione – aggravata – d’un fascicolo d’inchiesta ch’era stato aperto il 13 settembre del 2017 dai magistrati della Procura ordinaria di Busto Arsizio. Passato poi per competenza proprio all’Antimafia. Le indagini “sul campo” – corroborate da numerosissime intercettazioni telefoniche ed ambientali – sono state condotte dai carabinieri ed erano scattate a seguito dell’incendio doloso di ben 6 automezzi di proprietà del Comune di Saronno avvenuto proprio la notte del 13 settembre 2017. Gli autori di quel rogo non verranno mai individuati, ma quell’episodio criminale ha rappresentato lo spunto per investigare su alcuni “personaggi”, gli odierni 11 indagati.
In un’altra intercettazione, rivolgendosi ad un parente del gestore della cava, Sposato diceva:
«Sennò che devo fare? Lo devo prendere a calci nel culo? Ma veramente! Lasciarlo morto in cava, che devo fare?».
Il nuovo “padrone” non aveva alcuna intenzione di mollare la cava, pur consapevole di non avere le risorse e le attrezzature necessarie per eseguire al meglio i lavori commissionati. Quando il gestore della cava eccepì di non aver firmato alcun contratto d’esclusiva con lui, Sposato gli rispose:
«Come non hai firmato niente? Non ti dimenticare quella volta che mi hai chiamato al telefono, mi hai detto “ti giuro col sangue che non…”» – «Eh ma io non ho firmato niente con il sangue…», gli risponde impacciato l’altro – «Non ti mollerò mai più», concluse Sposato… direttore@altrepagine.it