Dal 2016 ha già all’attivo quattro pubblicazioni, ma è anche poetessa, pittrice di “mandala” esperta di colori e ballerina

Nata e cresciuta a Cles, nella Val di Non, in provincia di Trento. Suo padre sommergeva la casa di libri e lei ci si tuffava con curiosità e bramosia, assaporandone il profumo fino all’ultima pagina, anche fino a notte fonda. 

Ha sempre amato l’arte e la conoscenza Paola Gabrielli (nella foto d’apertura). Dopo gli studi liceali e musicali in canto e pianoforte, s’è laureata a Trento in Lettere moderne con specializzazione in Storia dell’arte. L’inizio di un lungo e complesso viaggio. Ha sondato infatti il mondo delle scritture antiche in tutte le molteplici forme:

dalla catalogazione del libro antico allo studio delle forme documentarie private e cancelleresche, diplomandosi in Archivistica, Paleografia e Diplomatica all’Archivio di Stato di Bolzano e approdando successivamente alla ricerca storica con l’Università e il Museo storico di Trento.

Ha lavorato per comuni, Provincia e musei in ambito culturale e collabora con varie associazioni culturali del suo territorio.

In questi ultimi anni ha affiancato alla scrittura l’attività d’insegnante di Lettere al Liceo, e Arte sul territorio e nelle scuole, con laboratori per bambini e ragazzi . 

Balla, dal 2010, in alcune compagnie di danza, orientali e tribali.

Dipinge ed è un’esperta dei colori:

ha infatti studiato il colore secondo il metodo “Aura-Soma” – tu sei i colori che scegli – di cui è consulente, e sperimentato tecniche varie di pittura (acrilico, acquarello, olio e carboncino), specializzandosi infine come insegnante in pittura di mandala.

Segnalata in diversi concorsi di poesia, ha pubblicato nel 2016 il romanzo “I sommersi e i salvati” edito da Curcu & Genovese, dal quale è stato tratti un singolo e un videoclip, “Salvami tu” (il romanzo è stato inoltre selezionato a novembre 2021 nel Premio internazionale Navarro). Nel 2018 ha pubblicato “L’Ombra di Omero” e nel 2020 “Il gatto di Omero” per Fontana editore, infine, nel 2021, “Voci dalla montagna” con la casa editrice Nuovi Sentieri.

I sommersi e i salvati

Marta Ricciardi, storica dell’arte, vive con Giorgio avvocato di Trento. La precarietà destabilizza psicologicamente ed economicamente la donna. Anche il rapporto con il compagno non è buono; sente di dover cambiar qualcosa nella sua vita, di dover uscire dalla sensazione di prigionia che la circonda. Nell’ultimo anno sviluppa pensieri ossessivi di morte, come se venisse spinta al suicidio da una forza invisibile, vedendosi annegare. Su consiglio dell’amica Anna, appassionata di pratiche New-Age, decide di trascorrere un periodo in un centro di cura sulle colline veronesi, vicino al lago di Garda. Prima però, vuole conoscere la persona che lo gestisce, una sensitiva brasiliana di nome Alejandra Rodriguez, che abita a Verona. 

Marta saluta il compagno con la scusa di dover sostenere un concorso a Bologna come storica dell’arte. Giorgio non le presta molta attenzione, immerso com’è nella lettura del Corriere della Sera, ma le fa notare un articolo in cui si parla di un’opera di Magritte, La donna del fiume, di cui si sono perse le tracce. Marta parte e arriva a Verona. A casa della sensitiva vede un quadro, che molto la turba. Alejandra le conferma essere la copia della Donna del fiume di Magritte, dipinta da un certo Marcus di Arco. Marta compie una regressione ed entra in contatto con alcune sue parti antiche, con Helmut e Magdalena. 

Magdalena, lavora come infermiera a Dresda; lascia la città nell’aprile del 1940 e si reca dalla zia Charlotte a Carcassone in Francia, costretta a letto per infermità agli arti inferiori, così da poterla aiutare. Qui a modo di conoscere il giovane medico Jean-Philip, che diventerà suo marito. 

Dal maggio del 1940 il pittore René Magritte si trova a Carcassone con la moglie Georgette ed alcuni amici:

il Belgio è stato invaso dalla Germania, e  molti cittadini sono espatriati verso le terre del Sud.

Magritte un giorno organizza a casa sua un gioco letterario di gruppo, come è sua abitudine, per attribuire il titolo a un’opera che ha portato con sé dal Belgio. Invita anche Magdalena e Jean-Philip. I due giovani si sposeranno nel settembre del 1940, prima della partenza di Magdalena per Dresda a seguito delle gravi condizioni di salute del padre di lei, in pericolo di vita. La sera del 12 febbraio 1945, allo Zwinger, il teatro di Dresda, si tiene un concerto per piano ed orchestra. Il pianista si chiama Helmut Mueller. La città viene bombardata dagli Alleati, Helmut è ferito e trasportato in un ospedale di periferia. Di lui si prende cura Magdalena, di cui s’invaghisce. La donna è incinta. Dopo due settimane Helmut viene dimesso dall’ospedale e vagando per le rovine della città, sente dei lamenti provenire da una casa. E’ Magdalena che sta per partorire.

Helmut l’assiste:

viene alla luce una bellissima bambina che viene chiamata Morgana. Helmut cerca aiuto all’ospedale, ma quando torna, non trova più la donna con la figlioletta, che è sua, perché generata in un attimo di pazzia, con violenza, in un vicolo oscuro di Dresda. 

Marta, va a stare da Anna. Le racconta le sue avventure: del quadro, di Marcus. La sera stessa cerca il giovane in Facebook, chiedendogli l’amicizia. Caso volle che Margò, amica di Anna e Marta, festeggi il suo compleanno in discoteca a Bardolino e invita amici e conoscenti, fra cui Anna, Marta, Marcus e Augustine. Marta ha così modo di conoscere quella sera Augustine, che fa il portiere in un hotel a Riva del Garda e le presenta il suo amico, Marcus. 

Una notte Marcus entra in contatto con lo spirito di Adeline, la madre di Magritte che gli svela il legame con Marta. I due decidono d’incontrarsi al bar Bianco di Mori. Marta chiede a Marcus di essere aiutata nelle ricerche del quadro, l’originale che era di proprietà di sua madre Gertrude. Marcus rifiuta, ma i due comunque si frequentano e Marta se ne innamora. 

Marta ritorna dalla sensitiva di Verona e compie una regressione nell’Antico Egitto, così da scendere ancora più in profondità nella propria interiorità, cercando di guarire il panico legato all’acqua. Marta porta il quadro, la copia, a casa di Marcus. L’opera prende vita e i personaggi entrano in scena dal passato. Helmut e Magdalena intrecciano i loro corpi con Marcus e Marta in una danza di liberazione dell’anima. Marcus le rivela che non vuole legarsi ad alcuna donna. Marta si sfoga con Anna e lascia emergere il suo dolore legato alla storia con Marcus. Per aiutare l’amica, Anna le propone di ricontattare la sensitiva. Così le due giovani donne passano un week-end esperienziale sul lago di Garda, a Bardolino, nel centro olistico di Alejandra. Qui incontrano in una galleria d’arte la madre di Marcus, Gertrude. Marta ritorna dalla madre e si butta anima e corpo nello studio del concorso, di cui risulterà  vincitrice.

Il nonno materno di Marcus, Philip Mueller è un medico-collezionista, tedesco. Durante un viaggio di lavoro nel 1965, compra un quadro di scuola surrealista, al mercato dell’antiquariato di Milano.

Il quadro è un’opera viva, infatti di tanto in tanto compaiono strani fenomeni:

nel 1967 brucia la casa paterna a Berlino; nel 1968 muore il fratellino Bernard di otto anni investito da un auto.

Nel tempo continuano a manifestarsi strani fenomeni. Gertrude, la figlia vede un’ombra aggirarsi per la casa che dice chiamarsi Helmut. La donna brucia il quadro ed i fenomeni spariscono. Nel 1974 appare però nuovamente alla donna il fantasma dell’uomo e le dice che si sarebbe incarnato in lei, rimanendone incinta. Così accade. Impaurita Gertrude abbandona il figlio di un anno nel 1975 e torna in Germania. Lascia il suo diario ed alcune foto ad Arco. In una di queste compare la sua famiglia con alle spalle il quadro che Marcus dipingerà (l’originale invece fu dipinto da Magritte nel 1939 anno in cui nacque la madre di Marcus, poco prima della partenza per la Francia)

Magritte sogna la madre Adeline che gli dice di dipingere il quadro per salvarla. Magritte non capisce cosa la madre intenda, ma si sente spinto ad esaudirne il desiderio, per amore filiale, perché così doveva essere. Magritte quindi dipinge il quadro, su ispirazione della madre e lo dona al Duomo di Milano pro liberanda animam suam. Nell’inventario dei beni della Chiesa il quadro è datato 1939 e intitolato La donna del fiume. Il parroco pensa ad una maledizione e nonostante il quadro venga più e più volte benedetto ed analizzato, rimane stregato. Sentito il parere del vescovo, vende il quadro nel 1960 ad un rigattiere, come opera di autore ignoto e di scuola surrealista, e lo depenna dall’inventario della chiesa, segnandolo come rubato. 

Mentre lavorano in campagna, Carlo tenta di spiegare a Marcus cosa sia l’amore. Il giovane è scosso. La madre lo aveva abbandonato molto piccolo, lasciandolo alle cure paterne e così aveva sviluppato avversione verso le donne. Anche l’aiuto dato all’amica Francesca, di cui tiene il figlio dawn durante il ricovero ospedaliero della donna, lo porta ad aprire il suo cuore. Per distrarsi dai pensieri che lo tormentano parte per un viaggio in Australia. Qui conosce Gennaro con cui stringe amicizia.

Una sera, all’uscita di un locale incontra uno stregone che gli dice:

“Cosa ci fai qui? Non dovresti essere dal tuo albero delle farfalle (il simbolo dell’incontro con Marta)?”. Folgorato dalle parole dell’uomo, Marcus prende il volo di ritorno e telefona alla ragazza.

Marcus incontra Marta ad Arco, presso porta Stranfora e le mostra di essere cambiato. I due partono per Berlino. Vanno a trovare la madre di lui, che racconta loro la storia del quadro. Marcus fa pace con la madre. La sera di Natale Marta riceve una telefonata dal parroco di Milano, pro liberanda anima sua. Confessa di aver venduto il quadro ad un rigattiere, da cui il padre di Gertrude lo aveva comprato nel 1960. Fuori nevica. La neve si deposita sull’albero delle farfalle, ormai spoglio. Marcus e Marta festeggiano il Natale pensando al figlio che verrà.

L’ombra di Omero

Come si può vedere la nostra ombra e renderla amica?

La maggior parte della nostra ombra deriva dalla repressione delle emozioni che scivolano nell’inconscio e diventano sempre più potenti perché non le viene permesso d’esprimersi.

Il testo offre una risposta attraverso un percorso d’analisi che, partendo dall’esperienza concreta della scrittrice, come d’altre persone, utilizza la scrittura come forma d’arte-terapia.

Ciò è possibile attraverso l’interregno, come tempo alchemico di trasformazione. Un periodo di tempo variabile e soggettivo in cui praticare il distacco dalla situazione che ha generato l’emozione ‘negativa’ così da risolverla nel suo opposto (il contenitore). Tempo in cui praticare la presenza, che significa star dentro l’emozione per poi lasciarla andare grazie anche all’utilizzo della scrittura come arte-terapia. Un processo di raffinamento dell’individuo alla ricerca del proprio sé: la trasmutazione dei metalli pesanti in oro altro non è, fuor di metafora, che la realizzazione dell’individuo; quando questo oro si manifesta, l’individuo raggiunge l’immortalità (il contenuto).

La trasmutazione delle tenebre avviene a più livelli. Attraverso questi gradi si raggiunge l’illuminazione, la comprensione del Tutto, di ciò che ci circonda come apparenza, perché il Tutto come l’Uno siamo noi:

non c’è nulla infatti al di fuori di noi che non sia già in noi.

Così scopriremo la forma in cui la nostra ombra si manifesta nel mondo e capovolgeremo la clessidra del rosso e del nero.

Il gatto di Omero

Questo libro si presenta come la riduzione per ragazzi del manuale “L’Ombra di Omero”, frutto delle esperienze personali e professionali dell’Autrice, oltre che delle sue ricerche, letture e considerazioni. 

Nei laboratori di scrittura creativa e pittura di mandala che ha condotto, ha visto infatti spesso attuarsi cambiamenti profondi nei partecipanti:

una presa di consapevolezza che li ha portati ad aprirsi, e ad esternare le proprie emozioni, riappropriandosi così del proprio vissuto, a volte doloroso, a volte anche scomodo, che visto e assimilato, è stato possibile lasciar andare con sollievo e serena accettazione; a volte invece, emergevano ricordi felici, di momenti trascorsi in famiglia, come a scuola e con gli amici, così da compensare le sofferenze e le cadute che la vita aveva riservato loro.

Dipingere i mandala o lasciarsi guidare dal colore nella pittura espressiva, porta a rilassare, ma nello stesso tempo stimola a guardare dentro di sé ciò che si manifesta fuori di sé, sul foglio di carta; utilizzare in un successivo momento, di rinforzo, la scrittura creativa, contribuisce a cesellare l’immagine che si è prodotta attraverso il colore, rendendo evidente con le parole, ciò che la forma comunicava a livello simbolico. 

Lo scopo del libro è quelli di proporre un percorso di analisi sul Sé ai ragazzi delle scuole medie e superiori, pensato a tappe, con domande, temi su cui riflettere e da sviluppare, mandala da colorare e fogli bianchi da riempire, così da offrire gli strumenti necessari per delineare la propria storia personale, dalla nascita al momento presente, soffermandosi sulle criticità, ma anche le meraviglie che l’adolescenza, quale momento di passaggio all’età adulta, comporta.

Voci dalla montagna

Il demone dell’arte non dorme mai: tormenta e pungola l’Autrice, rendendo così evidente l’urgenza di chi ha voluto testimoniare con la propria vita, gli orrori della guerra; per non dimenticare, per sopravvivere in un mondo che aveva perso, allora come ora, il proprio senso.

I ricordi sono per tutti così:

appartengono al passato, ma si tingono del presente. 

L’Autrice sente il bisogno di scrivere ciò che è stato, di metterlo nero su bianco, per tenere viva la memoria di qualcosa che le è fondamentale. Così ha preso in mano la sua vita e quella dei suoi cari, dandone uno spaccato fedele, attraverso fonti scritte e orali (dalle lettere, alle pagine dei diari di guerra, passando tra reminiscenze, riflessioni e racconti personali lungo un arco di cent’anni), mostrando come siano le notizie, belle e brutte che arrivano ai destinatari in modi e tempi diversi, a “determinarne il destino”.

Testimonianze vive che, non solo esistono come ricordo, ma che ancor oggi influenzano la nostra storia. Quella storia che non solo si studia sui libri di scuola, ma che si fa carne e sangue attraverso le testimonianze di chi l’ha vissuta in prima persona. Ed è la montagna, con le sue molteplici voci, che si fa interprete di questo sentire, intessendo un dialogo intimo e serrato con la parte più intima, quella che chiede d’essere presa per mano e accompagnata lungo il sentiero della vita.

E così, emergono dal profondo, ricordi, emozioni e visioni dell’Autrice bambina, che correva spensierata sui prati, aggrappandosi ai rami dei meli accanto a casa sua e si meravigliava, allora come ora, delle primule appena nate tra le foglie secche e accartocciate dall’inverno.

Le piaceva andare a scuola, quella stessa scuola in cui ora insegna. Ed è proprio l’emozione di ripercorrere gli spazi che l’hanno vista crescere e “sudare sulle amate carte”, che l’hanno portata a riflettere su cosa significhi essere insegnante al giorno d’oggi, nonostante tutte le difficoltà del mestiere.

Ciò che importa è dare un senso alla propria vita, e questo, per l’Autrice, sta tutto nell’aiuto dato alle persone attraverso la parola. redazione@altrepagine.it

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com