Trame criminali, tradimenti e omicidi “eccellenti”. Una storia lunga quasi cinquant’anni, di guerre intestine per la conquista del potere ‘ndranghetista che hanno determinato la caduta di vecchi boss e l’ascesa di nuovi.

Cirò chiama Sibari e Sibari risponde, ma anche il contrario. Prima, però, c’è un passaggio preliminare. E fondamentale. È il 1977 e a Cirò Giovanni Santoro ha da tempo fondato quella che diventerà la più autorevole organizzazione criminale che proprio da lì, in molti casi, governerà anche gli equilibri delinquenziali lungo l’intero arco jonico della provincia di Cosenza, laddove s’espande quell’opulenta Piana di Sibari da sfruttare e da spolpare fino all’osso.

Il cirotano Santoro è un boss di vecchio stampo e non tollera le ambizioni altrui. I suoi “fedelissimi”, però, non tollerano lui. Sono proprio i suoi sottoposti, giovani e rampanti, ad andare a Reggio Calabria per rivolgersi a Ciccio Canale e a Francesco Spina, quest’ultimo soprannominato “l’avvocato”. È a quei due mammasantissima che chiedono il “permesso”. Già, proprio quello di poter ammazzare il loro “capo”. Ricevuto il “nulla osta”, viene chiesto loro in cambio d’ammazzare prima uno di Reggio, uno che doveva essere “eliminato”. Affare fatto. Il 30 agosto del 1977 Santoro muore ammazzato per mano dei suoi, e, col beneplacito di “mamma Reggio”, nasce ufficialmente la ‘ndrina di Cirò. 

Il capo è Giovanni Farao, ma s’apre subito una faida tra i suoi uomini e quelli rimasti fedeli a Santoro, benché defunto. Farao se ne va in Germania e della sua assenza ne approfitta un suo amico, Nicodemo detto “Nick” Aloe, il quale diventa il primo importante boss della ‘ndrangheta cirotana.

Aloe insegue l’obiettivo d’affrancarsi dai “compari” reggini, abbracciandone dei nuovi. A Sibari, per esempio, c’è un importante camorrista del Salernitano, Giuseppe Cirillo, fa parte della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. “Don Peppino” ha mosso guerra proprio a Canale e a Spina “l’avvocato”. E in seguito all’eliminazione di Canale e di Spina, Cirò ottiene lo status di “locale” di ‘ndrangheta.

L’asse con il “locale” di Sibari porterà però alla morte lo stesso boss Aloe, che stringe un forte legame con Mario Mirabile, cognato di Cirillo, a scapito degli stessi cirotani che lamentano una divisione iniqua dei proventi criminali, in particolare delle estorsioni che in quella fase storica rappresentano la principale fonte di reddito della ’ndrangheta.

Del malcontento che serpeggia attorno al boss di Cirò ne approfitta Giovanni Farao, il vecchio amico di Aloe e spodestato boss emigrato in Germania, che nel gennaio del 1987 decide la sua eliminazione, assieme a Cataldo Marincola e di concerto proprio col boss di Sibari, Cirillo. Nasce così il “Crimine” di Cirò, quello che dal maxi-processo “Galassia” in poi, dopo la metà degli anni Novanta, in cronaca passa col doppio cognome Farao-Marincola.

Se nel Cirotano le cose si sono ben “assestate”, nella Sibaritide al contrario ci sono grossi “problemi”. E una guerra in atto. Cui Cirò partecipa attivamente. Il boss emergente di Corigliano, Santo Carelli (deceduto per cause naturali nel gennaio 2016), vuole spodestare Cirillo e prenderne il posto come capo del “locale”, spostandone anche la “sede legale” da Sibari a Corigliano. E ci riuscirà.

Carelli, assieme ai nuovi boss cirotani, i fratelli Silvio e Giuseppe Farao e Cataldo Marincola, per primo fa eliminare il cognato di Cirillo, “don Mario” Mirabile, ammazzato proprio a Corigliano il 31 agosto del 1990, e successivamente, nel 1992, prova a far eliminare lo stesso Cirillo a Serra de’ Conti, in provincia di Ancona, dove “don Peppino” – oramai boss al tramonto, e poco dopo divenuto “pentito” – si trova al confino obbligato. Tanto nell’omicidio di Mirabile quanto nell’agguato da cui Cirillo era scampato, i sicari vengono proprio da Cirò. Storie, queste, tutte “archiviate” nella storia giudiziaria, con sentenze e condanne oramai passate in giudicato.

Nell’ultimo trentennio le cose si sono evolute e di cose ne sono accadute. I corsi e i ricorsi storici sono sempre in agguato, come pure le novità. Infatti, da qualche settimana collabora con la giustizia il figlio del boss “Nick” Aloe ucciso nel 1987:

Gaetano Aloe era ovviamente affiliato al “Crimine” cirotano dei Farao-Marincola. 

Gaetano Aloe

Dall’inverno del 2018, invece, s’è “pentito” nientepocodimenochè Francesco Farao (LEGGI QUI), figlio del boss ergastolano Giuseppe Farao e nipote del boss Silvio Farao anch’egli detenuto a vita e al 41-bis come il fratello.

Francesco Farao

Nella primavera del 2021 era giunto al “pentimento” il boss rossanese Nicola Acri detto “Occhi di ghiaccio”, spietato killer oggi certamente reo confesso degli omicidi che ha compiuto. Soltanto in un paio di processi, tuttavia, sono approdati alcuni verbali contenenti sue dichiarazioni auto ed etero-accusatorie, e le sue successive deposizioni, anche sui rapporti criminali più recenti sull’asse Cirò-Sibaritide. (LEGGI QUI, QUI E QUI).

Nicola Acri

Il resto di Nicola Acri – con ogni probabilità una “montagna” di confessioni, ricostruzioni di fatti ed accuse – è un “libro” ancora tutto inedito, come inedite sono le eventuali conoscenze sull’asse Cirò-Sibaritide, di Farao e di Aloedirettore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com