Sono stati 38 i colpi sparati contro la povera Antonella Lopardo, che ha visto coi suoi occhi, sentito sulla sua pelle e nel suo corpo il fulmineo arrivo d’una inaspettata ed immeritata morte violenta, a soli 49 anni d’età.

Lei, una lavoratrice che svolgeva onestamente il suo lavoro di parrucchiera, madre di Chiara appena 27enne, trucidata da una raffica di proiettili vomitata da un potente mitra kalashnikov e dalle altrettanto micidiali pallottole d’una pistola. 

Una vittima innocente di ‘ndrangheta trattata proprio alla stregua d’un boss da “eliminare” perché in competizione con un altro, di boss. 

Come Leonardo Portoraro, il 63enne importante “uomo di rispetto” della Sibaritide la cui plateale esecuzione mortale, la mattina del 6 giugno 2018 a Villapiana Lido, ha “inaugurato” una mattanza che da allora in meno di 5 anni ha visto le cronache contare 10 morti ammazzati, 2 spariti di “lupara bianca” e 3 tentati omicidi. Finora.  

Nel gran repulisti criminale della Sibaritide muoiono pure degli innocenti

Antonella Lopardo, come qualcun altro in quella sequela, è una vittima innocente di questo repulisti che ha aperto la strada a un’ipotizzata ed unica “supercosca” che domina l’intero vasto comprensorio della Sibaritide-Pollino. La 49enne è stata un’altra vittima senza colpe, semplicemente perché era la moglie d’un uomo che della ‘ndrangheta aveva fatto sì parte, ma che non era mai stato un boss bensì solo un gregario, e che, finito il suo tempo di galera, pare che quel mondo forse lo avesse abbandonato. Forse.

Antonella Lopardo

Il clamoroso errore di killer forse neofiti

Il candidato alla morte di martedì sera era infatti il consorte di Antonella, proprio quel Salvatore Maritato cui la ‘ndrangheta aveva deciso comunque di riservare la potenza dei suoi mitra oltre che gli spari d’una pistola addosso. Invece, quando i sicari “a domicilio” hanno suonato al campanello di casa Maritato nell’isolata contrada Ciccotonno di Sibari lungo il primo e vecchio tracciato della Strada statale 106 jonica, poco dopo le 21,30, non è stato l’uomo ad alzarsi dal divano per andare a sbirciare dalla finestra chi mai potesse essere a quell’ora, ma davanti a quel maledetto finestrone s’è avvicinata proprio la donna – la sua sagoma “coperta” dall’interno dalla classica tenda – e i due “signori della morte” ch’erano lì fuori non appena hanno visto quell’ombra hanno aperto il fuoco vedendola subito cadere, scomparire in quell’inferno convinti d’avere chiuso nel migliore dei modi il loro “contratto”. Sicuri d’avere ammazzato il 53enne che nei primi anni Duemila era affiliato alla locale cosca dei Forastefano in nome e per conto della quale era attivo in “affari” d’usura ed estorsione.

Salvatore Maritato ha realizzato subito quel che stava succedendo e che quei sicari erano lì per dare a lui l’“estrema unzione” di fuoco e di piombo, quindi ha cercato e trovato riparo dietro le mura di casa il più lontano possibile da quel finestrone sotto il cui davanzale sua moglie, crivellata al volto, al torace e alle braccia giaceva già cadavere, con gli “azionisti” di morte che soddisfatti d’avere compiuto con precisione la loro “missione” pochi secondi dopo sono sfrecciati via montando su un’auto già a motore acceso con un complice alla guida che ingranata la marcia è sgommata a gran velocità nel buio e con la pioggia battente della tragica serata sibarita. 

Salvatore Maritato

I carabinieri nel corso della nottata reperteranno i 38 bossoli calibro 7,62 e 9×21 del fucile mitragliatore Ak-47 e della pistola Luger usati contro la sfortunata Antonella Lopardo. Considerato che il kalashnikov impostato “a raffica” spara 600 colpi al minuto e che il suo caricatore standard contiene 30 cartucce, i killer che hanno agito martedì sera hanno ucciso la donna con una sola sventagliata di mitra oltre che a pistolettate.

Gli inesauribili arsenali della ‘ndrangheta sibarita

La disponibilità di strumenti di morte da parte della ’ndrangheta sibarita è enorme e sembra inesauribile a giudicare da un paio di rinvenimenti e sequestri effettuati assai di recente dai carabinieri della Compagnia di Cassano Jonio guidata dal capitano Michele Ornelli. 

Tra il 15 e il 21 dicembre scorsi, infatti, i detective dell’Arma in contrada Corsi di Sibari hanno recuperato ben 6 pistole di vario calibro, qualcosa come 300 munizioni per pistola, 8 caricatori, svariati pezzi di ricambio per armi tra cui 6 molle di caricamento e addirittura alcuni giubbetti antiproiettile d’un istituto di vigilanza privato da qualche anno chiuso perché dichiarato fallito dal Tribunale di Castrovillari. Di queste armi, cinque erano state rinvenute in un magazzino di proprietà d’una coppia di coniugi del luogo incensurata ma considerata vicina agli ambienti criminali locali, e l’altra sotterrata in un terreno situato nelle stesse vicinanze, una “terra di nessuno” della ‘ndrangheta insomma…

Sempre in contrada Corsi a Sibari, nemmeno due anni prima ed esattamente il 17 marzo del 2021, in un canalone irriguo gli stessi carabinieri trovarono un altro consistente arsenale: 

una pistola mitragliatrice Uzi con due serbatoi, una pistola Glock con tre caricatori, diverse decine di munizioni delle due armi, una pistola calibro 9, un revolver calibro 38, dei serbatoi di kalashnikov con relativo munizionamento e un altro migliaio di munizioni di vario genere.

Quell’anonima Fiat Punto in fiamme a Corigliano dopo l’omicidio

Del loro clamoroso errore di persona causato dalla superficialità e dall’“ansia da prestazione”, i due killer con ogni probabilità neofiti l’hanno saputo un paio d’ore dopo l’agguato a casa di Salvatore Maritato, leggendo nervosamente sui loro smartphone i quotidiani locali on line che avevano battuto le prime notizie. Questo, però, solo dopo aver completato il loro “lavoro”: 

sbarazzarsi dell’auto rubata a bordo della quale avevano raggiunto contrada Ciccotonno di Sibari.

E mentre i carabinieri di Cassano Jonio e del Reparto operativo provinciale di Cosenza erano impegnati sul teatro del fatto di sangue, una pattuglia della polizia stradale, mentre percorreva la Statale 106, nei pressi della zona industriale coriglianese di Corigliano-Rossano ha notato un incendio. Gli agenti hanno raggiunto il luogo esatto da cui s’alzavano le fiamme in cielo e v’hanno trovato una Fiat Punto che stava bruciando. I poliziotti a quel punto hanno invocato l’intervento dei vigili del fuoco del Distaccamento cittadino, prontamente recatisi sul posto a spegnere l’incendio in cui l’utilitaria è comunque andata carbonizzata. 

Forse si tratta proprio dell’auto usata dagli assassini di Antonella Lopardo: 

di quella Fiat Punto manca il telaio col suo numero identificativo che rende unico ogni automezzo, manca la targa e manca addirittura il volante. Circostanze strane, sicuramente finalizzate ad eliminare ulteriormente ogni traccia di chi quella vettura l’ha usata e di chi, forse, c’era seduto all’interno appena pochi minuti prima. 

A questo punto è legittima la domanda: 

il commando killer che ha agito martedì sera a Sibari è stato “spedito” da Corigliano-Rossano? direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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