Gli ipotizzati moventi dei 4 fatti di sangue registratisi da un anno in qua. Nell’ultimo quinquennio i morti ammazzati sono stati ben 12  

Gli ultimi omicidi di ‘ndrangheta. Nell’area geografica che la Direzione investigativa e la Commissione parlamentare Antimafia reputano a tutt’oggi la più “calda” della Calabria (leggi QUI), vale a dire il vasto comprensorio che dai piedi della catena montuosa del Pollino abbraccia in lungo e in largo la sterminata Piana di Sibari, fino alle sue coste affacciate sullo Jonio.

La sera del 3 maggio d’un anno fa, alla Marina di Schiavonea, nella città di Corigliano-Rossano, a colpi di pistola e mitraglietta era toccato al 57enne Pasquale Aquino alias Pasquale ‘U spusat, un “pesce piccolo” della criminalità organizzata locale storicamente dedito al traffico e allo spaccio di droga, così come diversi suoi stretti familiari che sono tuttora detenuti chi in carcere chi agli arresti domiciliari. 

Pasquale Aquino

Esattamente un anno dopo, la sera del 2 maggio scorso, quindi nemmeno due settimane or sono, a una manciata di chilometri da Schiavonea, in quel di Sibari, nel comune di Cassano Jonio, la stessa sorte di Aquino doveva toccare ancora una volta a un personaggio “minore” dell’universo criminale, il 53enne Salvatore Maritato, pure lui pregiudicato, ma per estorsioni mafiose compiute una ventina d’anni addietro.

Salvatore Maritato

Però, proprio com’era accaduto nemmeno un mese dopo l’omicidio di Aquino, il 1° giugno dell’anno scorso in contrada Pirro Malena di Corigliano-Rossano, quindi proprio come le fucilate a pallettoni andate a vuoto contro il 39enne Cosimo Marchese alias “Il diavolo”, piccolo pregiudicato per droga, alla decretata condanna a morte anche Maritato è miracolosamente sfuggito.

E, purtroppo, il piombo del kalashnikov e della pistola lui riservato, all’altro mondo ci ha mandato la propria innocente moglie, la 49enne Antonella Lopardo rimasta vittima del clamoroso errore di sicari frettolosi di chiudere il loro “contratto” di morte coi capi-‘ndrangheta che li hanno spediti a compiere l’azione davanti alla casa dei due coniugi. 

Antonella Lopardo

Ci sono delle inequivocabili similitudini fra i tre delitti. Aquino è morto sotto casa sua, proprio come Marchese che il fallito attentato l’ha subito a pochi metri da casa. E pure a Maritato, la morte, toccata invece alla moglie, è giunta “a domicilio”. Le armi di volta in volta usate dai killer riusciti o mancati sono però diverse, come pure i possibili moventi dei fatti di sangue centrati o falliti sembrano differenti tra essi. 

Su Aquino e Marchese, infatti, ci sono già 5 indagati, tutti coriglianesi, con un imminente unico processo (leggi QUI) e quindi pure dei moventi. Che appaiono comuni e che riconducono al mancato rispetto delle rigide, ferree regole imposte dalla ‘ndrangheta nella disciplina delle locali piazze di spaccio delle sostanze stupefacenti che inondano la città di Corigliano-Rossano. 

Pure su Maritato il possibile movente affonda molto verosimilmente le radici in affari sporchi della sua Sibari o comunque di Cassano Jonio (leggi QUI).

Da alcune deposizioni verbalizzate dai carabinieri del Reparto operativo provinciale di Cosenza che indagano sul caso coordinati dalla Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro, parrebbe che Maritato la sera di martedì 2 maggio scorso non sarebbe rientrato al suo solito orario e con le sue solite modalità.

L’uomo, infatti, da qualche tempo circolava con una moto e rientrava a casa sempre verso le 21,30. Abitudini ben studiate dai suoi killer mancati, ma Maritato pare che quella sera fosse dapprima passato da alcuni parenti e non fosse rientrato in moto come al solito bensì in macchina, dal momento che pioveva. Circostanza, questa, che spiegherebbe perché gli attentatori avrebbero deciso di suonare al campanello di casa per poi aprire il fuoco contro la finestra appena intravista un’ombra, che non era la sua ma quella della povera moglie uccisa al posto suo.  

Un passo indietro:

un mese prima di Pasquale Aquino a Corigliano-Rossano, nelle campagne al confine tra Cassano Jonio e Castrovillari fu eliminato a colpi pistola il pregiudicato 57enne cassanese Maurizio Scorza detto ‘U cacagliu, noto per i suoi traffici di droga, assieme alla 38enne moglie tunisina Hedli Hanene detta “Elena”, uccisa da innocente perché testimone scomoda del delitto. Anche per quest’altro duplice fatto di sangue presto sarà celebrato un processo, ma a carico del ritenuto “basista” di sicari finora ignoti, come anche i mandanti (leggi QUI).

Maurizio Scorza e la moglie nordafricana

La “direzione autorizzativa” dei singoli delitti finalizzata a quella “pulizia etnica” criminale in atto sin dal 2018 con ben 10 omicidi e 2 “lupare bianche”, quasi certamente è però la medesima.

Sì, perché nella Sibaritide-Pollino da alcuni anni la ’ndrangheta potrebbe essersi organizzata in un’unica “supercosca” per la gestione comune d’ogni tipo d’affare illecito, ovviamente con una suddivisione dei “settori d’interesse” e dei diversi “compiti” tra affiliati, e la conseguente equa spartizione dei profitti fra le ‘ndrine attive ed operanti in comuni differenti.

Sembra essere proprio questa l’ipotesi investigativa più accreditata dalla Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri. direttore@altrepagine.it 

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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