All’arresto per armi del pregiudicato e di suoi due presunti sodali, l’Antimafia c’è arrivata per via di un’intercettazione relativa all’agguato mortale del 2018 al boss già “ministro dei lavori pubblici” ed al suo autista eliminato nel 2020 

C’è un’interessante intercettazione. Scaturisce dalle indagini condotte dalla Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro su due omicidi di ‘ndrangheta della lunga sequela che dal giugno del 2018 in poi, tra Villapiana, Corigliano-Rossano, Sibari e Cassano Jonio ha visto 10 morti ammazzati coi corpi a terra e in un caso addirittura in mare, e 2 “lupare bianche” coi cadaveri degli “eliminati” fatti sparire e sotterrati chissà dove.

Uno dei due omicidi in questione è quello di gran lunga il più “eccellente” di tutti. Quando – era la mattina del 6 giugno 2018 – davanti al suo locale di famiglia “Tentazioni” di Villapiana Lido, cadde a 63 anni d’età sotto le raffiche d’un fucile mitragliatore kalashnikov e i colpi d’una pistola l’importante boss della Sibaritide Leonardo Portoraro.

Il defunto boss Leonardo Portoraro

L’altro è quello della sera del 2 dicembre 2020, quando ad essere “fatto” a colpi di pistola toccò a quello che fu l’autista dello stesso Portoraro, il 50enne Giuseppe Gaetani, ucciso davanti alla sua abitazione a Sibari.

Giuseppe Gaetani era stato l’autista di Portoraro

Portoraro era considerato il “ministro dei lavori pubblici” della ‘ndrangheta:

da ultimo, infatti, i suoi “interessamenti” sarebbero stati dedicati alle grandi opere di costruzione del nuovo tracciato della Strada statale 106 jonica nel tratto tra Roseto Capo Spulico e Sibari, e del Nuovo ospedale della Sibaritide a Corigliano-Rossano.

Le indagini sui due fatti di sangue, la “cimice” su Pesce e gli arresti

La cimice del “caso” ha portato all’arresto, all’alba di martedì 16 maggio scorso, del pregiudicato 53enne di Sibari Archentino Pesce e di due suoi parenti nonché presunti sodali, Antonio Genisi di 56 anni, e il figlio Gaetano Genisi di 26, entrambi di Sibari come Pesce ma loro incensurati e finora insospettabili.

Archentino Pesce

Il terzetto è accusato di porto, detenzione, vendita e cessione di armi, con l’aggravante della finalità mafiosa per Pesce, già condannato in via definitiva nel maxi-processo anti-‘ndrangheta “Sybaris” nei primi anni Duemila e ritenuto dall’Antimafia elemento trasversale a disposizione della “supercosca” ‘ndranghetista Abbruzzese-Forastefano che oggi domina e governa col pugno di ferro gli affari criminali in tutto il vasto comprensorio della Piana di Sibari e nell’area ai piedi della catena montuosa del Pollino. 

Pesce e i due Genisi padre e figlio, in particolare, sono accusati d’una trattativa finalizzata allo scambio d’una pistola calibro 6,35 con un’altra di calibro 7,65 bifilare, con relativa contropartita economica rispetto alla differenza di valore tra le due armi, poi effettivamente scambiate, secondo le risultanze investigative dei carabinieri della Compagnia di Cassano Jonio diretti dal capitano Michele Ornelli e coordinati dal sostituto procuratore distrettuale Antimafia Alessandro Riello.

Al terzetto Pesce-Genisi non viene contestato nulla circa i due fatti di sangue menzionati dal magistrato inquirente nella richiesta di misure cautelari nei loro confronti, e dal giudice per le indagini preliminari distrettuale Chiara Esposito che ha mandato Pesce in carcere e gli altri due agli arresti domiciliari.

Il sostituto procuratore Antimafia Alessandro Riello

Dunque, l’ultima indagine dell’Antimafia catanzarese sull’esplosiva ed incandescente situazione nella Sibaritide – l’ultimo omicidio, quello dell’innocente 49enne Antonella Lopardo, è appena dello scorso 2 maggio – nasce proprio da quella “buona” intercettazione contenuta nel procedimento penale che riguarda proprio gli omicidi di Portoraro e di Gaetani.

Quell’arma ceduta agli uomini della “supercosca”?

Lo scambio di armi tra Pesce e i Genisi ha trovato un giudizio univoco tra il pubblico ministero Riello ed il giudice Esposito. Magistrato inquirente e primo giudice hanno infatti ritenuto che la pistola finita nelle mani dei Genisi non avrebbe alcuna finalità mafiosa, considerata la loro ritenuta estraneità al contesto criminale organizzato.

Mentre quella consegnata a Pesce potrebbe essere stata poi ceduta ad esponenti di primo piano della “supercosca” Abbruzzese-Forastefano, dal momento che lo stesso più volte è finito nelle relazioni di servizio dei carabinieri perché visto in compagnia di pregiudicati considerati vicini alla ‘ndrangheta. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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