di Domenico A. Cassiano
Adriano D’Amico, con la recente pubblicazione del saggio su L’occupazione delle terre, una grande epopea contadina (Calabria Letteraria editrice, 2019) ha tracciato un minuzioso ed analitico quadro delle lotte contadine in San Demetrio Corone con tutti i risvolti e le implicazioni di carattere sociale, antropologico e con le connesse vicende giudiziarie, illustrate attraverso la pubblicazione e l’analisi degli atti giudiziari.
Quello, raccontato ed analizzato nel testo, è solo uno degli innumerevoli e simili episodi che si svolsero nella Calabria ed in tutto il Mezzogiorno d’Italia subito dopo la conclusione del sanguinoso secondo conflitto mondiale e che, nell’insieme, costituirono una vera e propria epopea contadina, esaltata anche nell’arte e nella letteratura.
Nella provincia di Cosenza, i punti più caldi delle lotte contadine per la terra erano la Valle del Crati con Bisignano, S. Sofia, S. Demetrio, S. Cosmo, Vaccarizzo, S. Giorgio, Terranova, Spezzano Albanese; la Piana di Sibari con Rossano, Corigliano e Cassano; il Basso e l’Alto Jonio; la fascia silana e presilana comprendente Acri, S. Giovanni in Fiore, Longobucco, Spezzano della Sila e gli altri Comuni contermini.
Le prime occupazioni delle terre, effettuate subito dopo lo sbarco in Calabria delle truppe alleate e la liberazione dai tedeschi, ebbero il carattere della spontaneità e naturalmente erano anche espressione del disagio dei ceti popolari per le generali condizioni di basso tenore di vita, di disoccupazione generalizzata, di vera e propria miseria, acuite e rese drammatiche dagli eventi bellici, dal ritorno dei reduci, dalla carenza dei generi di prima necessità. L’inchiesta parlamentare sulla miseria in Italia renderà noto che in Calabria le condizioni di miseria colpivano in quel periodo particolarmente i ceti popolari che appena riuscivano a rimediare un pasto al giorno, non sempre sufficiente al bisogno fisiologico. Nei paesi, le ricostituite Camere del Lavoro e le organizzazioni sindacali svolsero l’importante funzione di guidare le agitazioni popolari nei binari della legalità.
Il movimento contadino che sempre più diventava imponente, servendosi delle norme dei famosi decreti Gullo, chiedeva l’assegnazione delle terre incolte alle singole cooperative, ma contestualmente si batteva per la riforma agraria che finalmente riconoscesse al ceto contadino il diritto alla terra e spezzasse la catena del latifondo, funzionale solo al parassitismo del notabilato agrario ed allo sfruttamento delle classi subalterne.
Anche a San Demetrio Corone – similmente a quel che era avvenuto in tanti altri paesi – contadini e braccianti avevano costituito la cooperativa Stella Rossa che era lo strumento giuridico indispensabile per richiedere l’assegnazione di terre incolte o malcoltivate. Va, però, debitamente sottolineato che il movimento contadino sandemetrese aveva localmente una particolare forza ed un sostegno autorevole in due dirigenti prestigiosi del P.c.i., l’avvocato Angelo Corrado e Giustina Gencarelli (quest’ultima nella foto in alto insieme a Palmiro Togliatti durante un comizio). Corrado, sin da giovane, aveva aderito al Partito comunista, aveva scontato il confino a Nuoro insieme a Pietro Mancini e Fausto Gullo ed era segretario dello stesso Gullo al ministero dell’Agricoltura. Giustina Gencarelli apparteneva alla borghesia umanistica sandemetrese; era figlia di Francesco Gencarelli, uno dei maggiori esperti di politica agraria meridionali, già presidente del Consiglio Provinciale di Cosenza, nel cui seno, insieme al battagliero sacerdote Don Luigi Nicoletti ed ai socialisti Muzio e Luigi Graziani, aveva costituito il gruppo consiliare di opposizione al fascismo che il 13 ottobre 1924 aveva fatto votare al Consiglio provinciale l’ordine del giorno in cui si esplicitava la “radicale opposizione verso il governo e il regime fascista”. Giustina, già al declinare degli anni trenta del ‘900, ancora giovanissima, aveva promosso in S. Demetrio una efficace attività di assistenza alle famiglie povere con la somministrazione di generi alimentari e di vestiario. Nell’immediato secondo dopoguerra, sarà tra le fondatrici e, poi, responsabile dell’Unione Donne Italiane (U.D.I.) a Cosenza e – unica donna in Calabria – candidata alla Assemblea Costituente, dalla quale Palmiro Togliatti si farà affiancare nei suoi comizi a Catanzaro e Cosenza.
Il testo esplicita e chiarisce quali erano i termini del conflitto di classe a S. Demetrio, peraltro, non dissimili da quelli degli altri paesi calabresi e meridionali: da una parte contadini e braccianti, che irrompevano finalmente nella storia, sostenuti dai partiti di sinistra, dal sindacato e da pochi intellettuali progressisti e, dall’altra, il blocco del notabilato agrario con le annesse clientele e ramificazioni, il clero, polizia e magistratura, che in generale, nelle agitazioni agrarie, erroneamente ravvisavano solo il pericolo della “sovversione rossa” delle istituzioni statali, incapaci, per un radicato pregiudizio di classe, di cogliervi il grido di protesta e di richiesta di quella riforma agraria, sempre promessa dalle classi dirigenti e mai attuata.
La ricostruzione e narrazione del movimento sandemetrese di occupazione delle terre del marzo 1950, condotta sulla base delle fonti giudiziarie (rapporto dei Carabinieri, interrogatori, provvedimento istruttorio del locale Pretore, impugnativa del Procuratore della Repubblica, successivo processo e sentenza di condanna), è certamente idonea alla chiara comprensione del fatto. Non è tuttavia inopportuna una ulteriore chiosa sulla condotta ambigua della magistratura, che sostanzialmente evidenziava una evidente continuità con il recente passato interpretando ed applicando le disposizioni normative in contrasto con la Costituzione e con la prassi della riconquistata democrazia. Nel caso, infatti, il Pretore, dopo l’accurata istruttoria, sentenziò il 19 dicembre 1951 di non doversi procedere perché non ricorreva l’ipotesi della abusiva occupazione di terreni. Quando, però, a seguito dell’accoglimento della impugnativa della sentenza da parte del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Rossano, Troncelliti, dovette celebrare il processo penale, contraddicendosi, con la sentenza dell’11 agosto 1952, affermò la responsabilità dei prevenuti, condannando i pretesi responsabili della manifestazione a due mesi di reclusione ed alla multa di £. 10.000 e tutti gli altri a pene minori.
La Magistratura celebrò innumerevoli processi contro i contadini ed i dirigenti delle camere del lavoro, non riuscendo a capire che le occupazioni contadine erano per lo più simboliche delle secolari aspirazioni al possesso della terra e di protesta per la mancata riforma agraria. Fino a quando tale dato storico ed oggettivo non diventò faticosamente evidente e chiaro, l’errata interpretazione della norma penale fu strumentale ed in danno esclusivo dei ceti popolari; in tal modo, la stessa Magistratura dimostrò oggettivamente di schierarsi dalla parte del blocco agrario conservatore e reazionario.
Il testo riveste una particolare importanza perché ricostruisce un episodio della microstoria locale all’interno di quel grande movimento popolare riformatore e di rottura del tradizionale assetto fondiario, che aveva messo in crisi i gruppi dirigenti e che fu uno degli avvenimenti più rivoluzionari della storia italiana del secondo dopoguerra secondo lo storico americano S. G. Tarrow. Nell’attualità, dominata dalla progressiva perdita dell’identità storica e della memoria delle radici, la rievocazione delle lotte contadine per la terra è assai utile per recuperare il bisogno di sapere chi siamo e da dove veniamo. Bene, dunque, ha fatto Adriano D’Amico a riscoprire dagli archivi una gloriosa pagina di storia delle classi popolari di San Demetrio Corone. domenico.cassiano@libero.it