Il prossimo 29 febbraio le Sezioni Unite della Corte di Cassazione dovranno pronunciarsi sull’utilizzabilità delle intercettazioni dai cosiddetti “criptofonini” SkyEcc

ROMA – Una delle ultime maxi-inchieste condotte nella Sibaritide dai magistrati della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro – “Gentlemen 2(leggi QUI) – rischia di naufragare sugli scogli del diritto e d’essere per larga parte annullata, se non di saltare del tutto (nelle foto, da sinistra verso destra, Claudio Cardamone e Angelo Caravetta tra i principali indagati detenuti in carcere).

Dentro quella maxi-indagine ci sono ‘ndrangheta e traffico di droga su scala mondiale. Tanta, tantissima droga “parlata” e messaggiata al telefono. Ed è proprio questo il “problema”.

Sì, perché c’è un problema grosso che riguarda proprio le intercettazioni telefoniche, buona parte delle quali effettuate dagl’investigatori sui cosiddetti “criptofonini”, ovverosia degli smartphone criptati in uso ai ritenuti narcotrafficanti. Ch’erano sicuri di non poter essere captati nelle loro conversazioni riguardanti le importazioni, da vari Paesi del mondo, di grossissime partite di sostanze stupefacenti.

Una serie di questioni giuridiche al vaglio della Cassazione

Proprio l’uso delle utenze denominate “SkyEcc” e le relative intercettazioni, presto saranno gli “argomenti” oggetto d’un attento esame e d’una difficile valutazione da parte dei massimi giudici dell’ordinamento italiano, gli “ermellini” della suprema Corte di Cassazione. Che affronteranno la spinosissima questione a “Sezioni Unite”, per dare al resto dei giudici, dei magistrati inquirenti e degli avvocati penalisti italiani, un orientamento giurisprudenziale definitivo su quanto, da svariati mesi, sta tenendo banco in vari tribunali italiani, dal Nord al Sud della Penisola.

Il problema dibattuto nelle aule di giustizia s’è aperto proprio da quando diverse procure distrettuali antimafia italiane hanno cominciato a condurre le indagini sul narcotraffico internazionale e globale con la stessa metodologia, evidenziando i rapporti di mafiosi, ‘ndranghetisti, camorristi ed esponenti della Sacra corona unita italiani, coi broker della droga operanti in Sudamerica o in altri stati dell’Europa.

Proprio i cosiddetti “cellulari citofono” sono, oramai, lo strumento di comunicazione ritenuto – a torto – da parre dei narcos, lo strumento “più affidabile”.

Già, perché le più recenti maxi-inchieste condotte dai magistrati antimafia italiani, in particolare quelli di Milano, di Reggio Calabria e di Catanzaro, hanno fatto emergere come sia stato difficile – ma non impossibile – “bucarli”, quei telefoni criptati.

Con gli avvocati penalisti italiani (compresi alcuni impegnati proprio in “Gentlemen 2”), che, anche davanti ai giudici della Cassazione, hanno sollevato una serie di “questioni” giuridiche. Questioni che, fino a pochi giorni fa, s’erano quasi sempre “scontrate” con l’orientamento giurisprudenziale della stessa Cassazione, che in una sentenza aveva scritto:

«I messaggi di posta elettronica memorizzati nelle cartelle dell’account o nel computer del mittente ovvero del destinatario, costituiscono meri documenti informatici intesi in senso “statico“, dunque acquisibili ai sensi dell’art. 234 del codice di procedura penale, dovendo escludere che si possa parlare di documentazione relativa a “flussi informatici”».

Questo evidentemente non è bastato a “giustificare” l’utilizzazione, in termini sostanziali, dello strumento d’indagine.

Il “caso Iaria” a Milano e le decisioni della Terza e della Sesta sezione penale della suprema Corte

I dubbi di legittimità sono emersi dalla sentenza di Cassazione favorevole all’indagato Bruno Iaria, fatto arrestare dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano su richiesta della locale Procura Antimafia. La misura cautelare in carcere fu confermata dal Tribunale del Riesame, ma poi messa in discussione proprio dalla Cassazione.

Iaria è accusato d’aver fatto parte di un’associazione per delinquere, che sarebbe stata diretta da Bartolo Bruzzaniti e dedita al traffico di cocaina importata dall’estero, nonché d’avere concorso nell’acquisto d’ingenti quantitativi di cocaina, destinata in parte ad essere trasportata in Calabria.

Secondo il Tribunale del riesame milanese, «i gravi indizi di colpevolezza a suo carico sono desumibili dagli esiti delle indagini che, avviate in Italia con l’esecuzione d’intercettazioni di comunicazioni telefoniche e ambientali, e di contestuali servizi d’osservazione, erano proseguite con l’acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria francese delle comunicazioni che gl’indagati s’erano scambiate su una chat operante sulla piattaforma di messaggistica criptata “SkyEcc“. Tale materiale conoscitivo, acquisito dal pubblico ministero italiano mediante l’emissione di ordini europei di indagine (OEI) – essenziale per delineare il ruolo e le attività svolte dall’odierno ricorrente – doveva considerarsi utilizzabile a norma dell’art. 234-bis cod. proc. pen., in quanto riguardante il contenuto di comunicazioni non in corso ma effettuate in precedenza, memorizzate come messaggi in parte già “in chiaro” e in parte cifrati in un server di “SkyEcc” sito in Francia, ma rese poi intellegibili (e così utilizzate come contenuto di meri documenti informatici) dopo aver acquisito le “chiavi di cifratura” ovvero gli algoritmi che ne aveva permesso la decifrazione».

Uno dei punti maggiormente contestati dai giudici di legittimità, è quello secondo cui non è chiaro «se l’autorità giudiziaria francese avesse avviato autonomamente, sulla base di preesistenti notitiae criminis, le indagini nel proprio Paese oppure se le investigazioni fossero state attivate (anche) sulla base delle sollecitazioni istruttorie che avevano sostanziato l’emissione di ordini europei di indagine da parte del pubblico ministero italiano. Né risulta chiarito se, rispetto al momento dell’emissione e della trasmissione di tali ordini, le indagini compiute dall’autorità giudiziaria francese fossero state tutte definitivamente concluse, oppure se – come sembrerebbe da alcuni sintetici cenni contenuti nel provvedimento impugnato – fossero proseguite anche sulla base delle richieste formulate dall’autorità giudiziaria italiana».

Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, «la messaggistica su “chat” di gruppo su sistema “SkyEcc“, acquisita mediante ordine europeo di indagine da autorità giudiziaria straniera che ne ha eseguito la decriptazione, costituisce dato informativo documentale conservato all’estero, utilizzabile ai sensi dell’art. 234- bis cod. proc. pen., e non flusso comunicativo, non trovando applicazione la disciplina delle intercettazioni di cui agli artt. 266 e 266-bis cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, Papalia, cit., secondo cui non rileva se i messaggi siano stati acquisiti dall’autorità giudiziaria straniera “ex post” o in tempo reale, poiché al momento della richiesta i flussi di comunicazione non erano in atto)», questo hanno evidenziato i giudici della Sesta sezione penale della Cassazione.

Nel frattempo, però, già i loro colleghi della Terza sezione penale avevano rimesso questa ed altre “questioni” alle Sezioni Unite. Che si pronunceranno il prossimo 29 febbraio.

Faranno “saltare” inchieste e processi oppure “blinderanno” con motivazioni approfondite la questione relativa all’utilizzazione dei dati emersi dai telefoni criptati su server esteri, salvando tutto? direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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