In carcere, il boss di ‘ndrangheta Abbruzzese e il suo ritenuto complice marocchino si sono avvalsi della facoltà di non rispondere al giudice sulla pretesa rivolta al padre dell’ex consigliera comunale sorella del campione del mondo Rino, e sugli incendi delle auto della donna 

COSENZA – La “linea del silenzio”. È stata questa, oggi, la strategia processuale scelta da Aldo Abbruzzese, il 51enne di Corigliano-Rossano considerato il boss di ‘ndrangheta della popolosa frazione della Marina di Schiavonea, e dal suo ritenuto sottoposto Mustaphà Hamil, un marocchino 43enne che vive proprio a Schiavonea.

Entrambi sono stati arrestati dai carabinieri in forza alla Sezione operativa del Reparto territoriale, all’alba di venerdì scorso, su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, Chiara Esposito, e su richiesta del procuratore facente funzioni della Direzione distrettuale Antimafia catanzarese, Vincenzo Capomolla, del suo aggiunto Giancarlo Novelli e del sostituto Stefania Paparazzo.

Entrambi da quella mattina ristretti nelle celle del carcere di Cosenza con le accuse d’estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni della notissima famiglia Gattuso di Schiavonea, vale a dire i più stretti familiari del campione del mondo di calcio Rino Gattuso attuale allenatore dell’Olimpique Marsiglia, e degl’incendi dolosi di stampo mafioso delle due autovetture della sorella dello sportivo, la 44enne ex consigliera e vicepresidente del Consiglio comunale coriglianese Ida Gattuso, mandatele carbonizzate di notte e sotto casa, la prima a metà ottobre e l’altra a metà dicembre scorsi, nel giro di meno di due mesi.

Aldo Abbruzzese e Mustaphà Hamil

Alla presenza degli avvocati Andrea Salcina e Francesco Paolo Oranges del foro di Castrovillari e dell’avvocato Giuseppe Bruno del foro di Paola, alle 12 di oggi, nello stesso carcere cosentino, Abbruzzese e Mustaphà sono comparsi al cospetto del giudice Alfredo Cosenza del Tribunale di Cosenza, delegato per rogatoria ai fini dell’interrogatorio di garanzia dalla collega Esposito di Catanzaro che venerdì ne aveva fatto eseguire gli arresti. Ed entrambi hanno risposto di non volere rispondere ad alcuna domanda. “Scena muta”, dunque.

Il tenente colonnello dei carabinieri Marco Gianluca Filippi

L’annotazione di servizio della notte del 15 dicembre del comandante dell’Arma

A mettere i carabinieri sulla “pista” di Abbruzzese, era stata proprio Ida Gattuso durante la notte del 15 dicembre, a seguito del secondo attentato incendiario subito sotto la propria abitazione ubicata nel cuore del borgo marinaro di Schiavonea.

Ecco cos’aveva scritto in una propria annotazione di servizio redatta proprio sul posto quella notte, il tenente colonnello Marco Filippi che comanda il Reparto territoriale dell’Arma:

«La diretta interessata, alla presenza del padre Franco (padre e figlia nella foto d’apertura, ndr) ha sostenuto, senza alcuna remora, che il fatto poteva essere ricondotto all’azione criminale sul territorio di Aldo Abbruzzese, noto pregiudicato del posto.

Una volta sentite queste affermazioni, il padre della donna ha sottolineato, con veemenza, che non avremmo dovuto credere alla figlia, ma che avremmo fatto bene a scavare nella sua vita privata […].

In seguito Ida Gattuso ci ha riferito tutti i dettagli afferenti alla sua dichiarazione […].

Il suo ex marito Franco Nigro, con il quale nonostante la separazione continua ad avere un ottimo rapporto di amicizia, le avrebbe rappresentato che dietro questi gesti c’era una questione criminale legata ad una richiesta di soldi effettuata a suo padre Franco Gattuso dal noto esponente criminale Aldo Abbruzzese di Schiavonea.

In particolare, l’uomo le ha rappresentato che alla base della pretesa criminale vi era la realizzazione dell’impianto fotovoltaico, realizzato dai Gattuso sopra una struttura della contrada Giannone di Corigliano-Rossano. Un impianto di produzione per il quale Franco Gattuso, con la compartecipazione di Franco Nigro, sarebbe riuscito ad ottenere un cospicuo finanziamento.

Ragione sulla quale si basavano le pretese di Aldo Abbruzzese che nella scorsa estate avrebbe preteso la somma di 3 mila euro. Una estorsione che non si sarebbe concretizzata per i rinvii dei pagamenti posti in essere da Franco Gattuso.

[…] Franco Nigro in merito sosteneva che queste cose non dovevano essere dette ai carabinieri, ma sfruttate per pagare e risolvere la situazione».

Da quel momento, le indagini sul “bubbone Gattuso” hanno imboccato la strada considerata “giusta” dagli stessi carabinieri e dai magistrati dell’Antimafia, con intercettazioni telefoniche ed ambientali e attività di controllo e pedinamento “a riscontro” di quanto veniva ascoltato dalla viva voce dei protagonisti, tanto di Abbruzzese e del suo complice maghrebino, quanto negli ambienti della famiglia Gattuso.

Fino all’avvenuta consumazione dell’estorsione la sera dello scorso 10 gennaio (leggi QUI). E, dopo 22 giorni, il caso è stato “risolto” con gli arresti di Abbruzzese e Mustaphà. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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