CORIGLIANO-ROSSANO – Carissimo Fabio, perdonami il tono confidenziale, ma mi rivolgo così a te per l’affetto e – se mi consenti – per l’amicizia che ti porto.
Ho letto il tuo ultimo editoriale da cui traspare, è evidente, una certa delusione per l’affannosa bramosia di aspiranti (eletti e non) a cariche o ad altre funzioni nell’appena varata nuova gestione affaristica comunale di Corigliano-Rossano.
A proposito, già fioccano i commenti sulle velocissime presentazioni all’incasso di cambiali elettorali e le procedure di adempimento sono altrettanto celeri e super semplificate.
È un’ulteriore conferma di un eclatante voto di scambio che solo gli inquirenti ignorano e che ha consentito una vittoria elettorale strepitosamente ostentata.
Le tue AltrePagine, fattene una ragione, sono ben poca cosa e non possono coprire il vuoto del cosiddetto “quarto potere” che in Italia si identifica in qualcosa di indecoroso, cioè in una “quinta colonna” che opera a favore di una minoritaria, ma molto agguerrita, fetta della magistratura inquirente, pervasa da sete di potere, e, perciò, ideologizzata, e che, dalla vicenda di “Mani pulite”, ha portato a un giustizialismo che ancora oggi è una robusta ideologia nazionale.
Il danno, molto grave, è stato già fatto e non so come e quando sarà riparabile e risarcibile, sperando che niente rimanga impunito e che arrivi il tempo della legalità e dell’osservanza costituzionale della separazione del potere giudiziario dagli altri due, legislativo ed esecutivo.
Noi siamo italiani d’altri tempi, ben nati, e non potevamo vincere né impattarci con questa gagliofferia fatta di soggetti cinici, arroganti, incapaci, privi del minimo senso di responsabilità, ma consapevoli che l’unica possibilità di avere “visibilità” (oggi si dice così) è attraverso il mercimonio della politica, specialmente in periferia, dove il valore del candidato deriva solo da quanti voti può portare, compresi quelli dei mafiosi, degli idioti, degli ignavi, del parentado (più questo è vasto meglio è), del personale dipendente (anche usando maniere obbliganti: remunerazione o promesse varie di favori) eccetera.
Tutto torna utile.
È lontano il tempo in cui si andava alla ricerca delle persone più capaci, che godevano di grande e comune estimazione in pubblico e soprattutto dei buoni padri di famiglia:
la stima e la reputazione della persona comincia da essa, dalla sua considerazione sul posto lavoro, dal suo retto operare, dalla verifica del suo passato e della sua famiglia, se di buona fama o meno.
Ecco perché non mi meravigliano i rissaioli, personaggi in cerca d’autore.
Chi si compiace della folla, della massa amorfa, dove si intruppa il nullafacente, lo sbandato, l’ignavo, il delinquente, il drogato e compagnia cantante, non può sperare in migliori risultati.
È fresco il ricordo del sindaco, eletto con strepitoso successo, che giubilante viene portato in trionfo dal branco a bordo di un motocarro:
non proprio una biga imperiale, anche se, in compenso, il carretto, pare venisse adibito alla vendita delle mezzesarde.
Ma lasciamo correre.
Dante, a proposito degli ignavi, cioè di quelli che in vita non hanno mai operato, cioè gli inerti e i privi di forza morale, dice che sono tumultuosi e numerosi, li paragona alle foglie secche d’autunno e li affida ai tormenti di Caronte.
Personalmente, pieno d’anni, con gran bagaglio di faticosa esperienza di mondo e di professione, ho vissuto intensamente e sempre onestamente e non amo le masse. Sento la necessità di rifuggire da ogni infingimento retorico e dalla simulazione del linguaggio politically correct e di riaffermare il valore della persona sia nella sua specifica individualità, differente da ogni altra, sia in seno alla comunità sociale che nulla ha a che vedere con la moltitudine, col mucchio, col branco, con la frotta.
Questo mio rifiuto della folla e della massa non deve essere interpretato, però, come una mancanza di modestia o come un fiero atteggiamento di riservatezza e di distacco dagli altri.
Al contrario, è un bisogno di maggiore socialità, ma in comunità o gruppi selezionati con cui coltivare interessi culturali comuni, confrontare le rispettive esperienze, scambiare idee, fare programmi, tutto al solo fine di arricchirsi reciprocamente, sia moralmente che spiritualmente.
Molti e qualificati sono i gruppi sociali e le comunità di professionisti che danno stimoli artistici, musicali, letterari o scientifici, che arricchiscono e riempiono la vita quotidiana.
Questo modo di essere insieme sviluppa la solidarietà, l’altruismo, e rende perfino piacevole il bisogno anche di stare in silenzio e da soli, senza sentirsi isolati, e riallacciare i dialoghi interrotti con i grandi del passato. È la stessa sensazione che provi quando ti ritrovi con i vecchi amici che non vedi da tanti anni e ricuci con essi un rapporto in realtà mai interrotto.
Rivisitare in età matura i grandi libri letti o studiati in gioventù è un piacere straordinario:
fai esperienze nuove, perché scopri dettagli e significati in più, diversi, ma la prospettiva storica è sempre contemporanea, attuale.
In un libro classico troverai sempre qualcosa di nuovo che non hai letto o capito prima e avrai l’impressione che ha ancora qualcos’altro da dire. Eppoi, sei sempre connesso con i valori universali.
Per restare in tema e concludere, domando:
si può governare se non si conosce a memoria il Discorso di Pericle agli Ateniesi?
Si può essere giudice se non si non si è studiato a fondo Esiodo, Cicerone, Montesquieu, Cesare Beccaria?
In attesa di risposta non mi resta che leggere i classici:
se non lo facessi sarebbe peggio, e di questi tempi…
Un saluto.
Avv. Pino Zumpano
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