SPEZZANO ALBANESE – L’inchiesta anti-‘ndrangheta “Athena 2”, che venerdì mattina ha visto finire in carcere 15 persone (I NOMI | Tutti gli uomini e le donne “a disposizione” del boss), dà un’ulteriore conferma di come il comune di Spezzano Albanese da qualche anno sia diventato un’importantissima piazza di spaccio di sostanze stupefacenti nel contesto d’un vasto comprensorio, la Sibaritide, storicamente piagato dal traffico e dallo spaccio di droghe d’ogni tipo, da quelle leggere a quelle pesanti e letali. Un affare criminale colossale, tutto in mano alla ‘ndrangheta.

Spezzano è oramai diventata una “polveriera”

Nello specifico “settore”, a Spezzano – secondo la ricostruzione del sostituto procuratore antimafia di Catanzaro, Alessandro Riello – sarebbe attiva un’importante cellula criminale di diretta promanazione della nota e potente famiglia ‘ndranghetista degli zingari Abbruzzese di stanza nella vicina e confinante Cassano Jonio.

D’altronde è proprio a Spezzano che lo scorso mese di luglio i carabinieri della Compagnia di San Marco Argentano s’imbatterono in un carico di ben 150 chili di cocaina:

un maxi-sequestro il cui fascicolo d’indagine è rimasto a carico d’ignoti (Carico pesante di “coca” sequestrato alla ‘ndrangheta: un quintale e mezzo!).

Sempre a Spezzano, inoltre, negli ultimi anni e soprattutto negli ultimi mesi si sono verificati gravissimi episodi criminali d’intimidazioni incendiarie ai danni d’autovetture di privati ed automezzi aziendali:

una tale frequente e preoccupante recrudescenza non s’era mai registrata prima.   

La cellula ‘ndranghetista degli zingari di Cassano

La cellula ‘ndranghetista spezzanese, secondo il magistrato antimafia Riello, sarebbe diretta da Nicola, Francesco e Cosimo Cocò o Micciu Abbruzzese, padre e figli rispettivamente di 65, 31 e 27 anni, stesso cognome sì, ma suocero e cognati del 39enne boss cassanese Leonardo Abbruzzese detto Nino o Castellino, catturato l’anno scorso dopo 4 mesi di latitanza dal momento ch’era riuscito a sfuggire alla retata della maxi-inchiesta “Athena”, da mesi detenuto in regime di carcere duro al 41-bis (“Castellino” finisce al 41-bis).

Leonardo Abbruzzese è l’ultimo dei “reggenti” finiti al 41-bis

Sarebbero proprio gli affini dell’ex reggente della famiglia ‘ndranghetista, tutt’e tre finiti in carcere venerdì – a dirigere e a condurre lo spaccio di droga a Spezzano.

L’inchiesta “Athena 2” e lo spaccio della cocaina

Attraverso le intercettazioni telefoniche e telematiche effettuate dai carabinieri del Reparto investigativo di Cosenza, anche attraverso gli oramai famigerati trojan, è emersa una vicenda d’intenso spaccio – con contorni anche drammatici – avente a protagonisti da una parte proprio i fratelli Francesco e Cosimo Abbruzzese, e dall’altra un professionista di Corigliano-Rossano.

Si tratta d’un avvocato il cui nome in qualità d’acquirente ed assuntore abituale era emerso già nel settembre del 2021 nelle intercettazioni telefoniche dell’inchiesta antidroga “Portofino” condotta dalla polizia e coordinata dalla Procura di Castrovillari sulle piazze di spaccio proprio della grande città jonica, ma anche nei primi anni Duemila in un’inchiesta dello stesso tenore condotta dalla guardia di finanza e coordinata dall’ex Procura di Rossano.

Dal 23 agosto al 24 ottobre dell’anno scorso, sono tante le telefonate e gli appuntamenti annotati dai carabinieri, nei quali, in modo sbrigativo, si parlava di «pratiche» e di «fatture». Che, secondo il magistrato inquirente, erano cocaina e soldi.

Dalle indagini degl’investigatori dell’Arma è emerso che nessuno degl’interlocutori del professionista (che non è indagato) lo avesse mai nominato in qualità di legale o difensore, e infatti, nella maggior parte dei casi era proprio l’avvocato a fare la prima telefonata, sulla rete cellulare o su WhatsApp:

«Non ci mettere molto che ho un appuntamento allo studio, eh!».

Il magistrato antimafia Alessandro Riello

Dal 13 settembre in poi era però il ritenuto spacciatore a contattare l’avvocato, cui gli Abbruzzese per i suoi continui e costanti rifornimenti avevano aperto una piccola “linea di credito”, pari a 1.000 euro.

Era il momento che i fornitori volevano essere pagati, non era importante “come”, ma “quando”. I toni erano “gentili”, ma sempre più pressanti.

All’avvocato veniva fornito il codice Iban d’una carta Postepay intestata al padre dei due fratelli e lì effettuava un bonifico d’appena 300 euro:

troppo “poco”… dopo troppo tempo.

L’avvocato si giustificava – «Ho avuto dei problemi, ma sto risolvendo»  – per cercare d’ottenere qualche giorno di “fiducia” in più, ma di giorni ne passavano ancora molti e… «Avvoca’ ho controllato sul conto e non c’è ancora niente…».

Il dramma continuava fino al 24 ottobre, quando uno dei due fratelli chiamava l’altro:

«Fagli buttare il sangue dalla bocca…».

In questo mondo alla rovescia, quello era il “decreto ingiuntivo” dei “signori della coca”, e se il professionista col “vizio” non avesse saldato il proprio debito entro quelle ore, dalle “buone maniere” si sarebbe passati alle cattive. Nella ‘ndrangheta è questa la “regola”… direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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