SIBARI – La drammatica storia di dipendenza dalla droga d’un padre di famiglia. Sfociata in un’ancora più drammatica vicenda di estorsione mafiosa, quando il gruppo di ritenuti ‘ndranghetisti che puntualmente gliela forniva, bussò a denari.
Già, perché il credito lui concesso per l’acquisto della cocaina – a 100, a volte a 90 euro al grammo – era diventato consistente assai:
circa 25 mila euro.
Non fanno certo così con tutti, i “signori della coca”:
il “cliente” in questo caso fa parte d’una famiglia di notissimi imprenditori di Sibari, con diversificate attività commerciali e non solo. E per questo gliel’avevano accordato i 6 indagati dei fatti, finiti assieme ad altri in carcere la settimana scorsa nell’ambito dell’inchiesta “Athena 2” condotta dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, Alessandro Riello
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La “cellula” zingara di Spezzano Albanese
Il sestetto risponde ai nomi dei fratelli zingari di Spezzano Albanese, che rappresenterebbero una “cellula” criminale sottoposta a quelli di Cassano Jonio:
Francesco e Cosimo detto Cocò o Micciu Abbruzzese, di 31 e 27 anni, il loro padre Nicola Abbruzzese, di 65, il loro parente di Cosenza Antonio Abbruzzese, di 40, e i loro ritenuti “compari” Giuseppe Cofone, 27, di Spezzano Albanese, e Gennaro Presta, 30, di San Lorenzo del Vallo.
«Dal piacere passiamo al dispiacere»:
“risuonano” tetre le intercettazioni telefoniche ascoltate dai carabinieri in forza al Reparto investigativo del Comando provinciale di Cosenza, laddove il “piacere” è quello d’avere elargito al rampollo della famiglia d’imprenditori di prendere la “coca” posticipandone il pagamento, e il “dispiacere” è la minaccia di ritorsioni mafiose qualora lo stesso non avesse pagato.
La vicenda era cominciata a fine ottobre dell’anno scorso – giusto tredici mesi fa – e s’è protratta fino alla fine dello scorso mese di luglio, quattro mesi or sono.
Il protagonista passivo, tartassato dalle telefonate, dal suo smartphone aveva bloccato il numero del suo fornitore. Non aveva i soldi, e questo è più che evidente.
I creditori però riuscirono a incontrare “per caso” il genero, fidanzato della figlia:
«Fratello mio, vedi dov’è e digli di farlo venire. E diglielo sennò vengo a prendermi la macchina di tuo padre».
In un’altra intercettazione si parla sempre di lui e del suo debito:
«Devo andare a picchiare qualcuno, mi devo incazzare, lo devo picchiare».
E l’interlocutore:
«Tu incazzati proprio».
Quando il debitore si presentò al loro cospetto con una piccola parte del denaro dovuto, per il resto s’affidò alle implorazioni pietose:
«Sui figli, devo dare pure i soldi a mia figlia per andare all’università, martedì prossimo se non vi risolvo il problema vi intesto la casa. E mi ammazzate di palate davanti alla gente».
A seguito delle intercettazioni, vittime convocate in caserma
I carabinieri lo convocarono subito in caserma per chiedergli ulteriori “spiegazioni” dopo avergli fatto ascoltare le intercettazioni, lui raccontò tutto ma non volle metterci la sua firma:
il timore di ritorsioni fuoriusciva da ogni poro della sua pelle. E in effetti non sbagliava perché i suoi aguzzini qualche giorno dopo gli fecero pure il “terzo grado”, volevano sapere se era stato chiamato dagli «sbirri».
Lui non ha denunciato, ma poco importa perché a riscontro ci sarebbero una serie di precise annotazioni di polizia giudiziaria, assieme a tutto il resto.
Messo davanti al fatto compiuto l’uomo ha comunque ammesso che doveva dare ancora 20 mila euro agli zingari per i suoi pregressi acquisti di cocaina.
Non sapendo più dove andare a sbattere la testa, s’era visto costretto a confessare il suo «vizio» persino all’anziana madre, la quale gli disse che «in quel momento non poteva fare niente», e ai suoi due fratelli, anche questi ultimi poi convocati dai carabinieri, oltre al genero.
Uno dei due fratelli dell’uomo, titolare di un’attività a Marina di Sibari, a metà dello scorso mese d’aprile era rimasto vittima del drammatico incendio dei locali, proprio nel giorno dei funerali del loro padre, pure quest’ultimo prima di morire “disturbato” da coloro i quali avanzavano i soldi da suo figlio. E al cospetto di chi indaga, il fratello ha chiaramente ricondotto l’intimidazione subita proprio ai debiti di droga del suo congiunto… direttore@altrepagine.it