CORIGLIANO-ROSSANO – Nei giorni scorsi, qualche ignoto “campione” ha improvvisato una fugace, furtiva partitella a calcio davanti alle mura che circondano il carcere di Corigliano-Rossano. E ha fatto finire il pallone al di là dell’intercinta, guarda caso proprio nei pressi del campo sportivo accessibile ai detenuti.

Non ha fatto goal, però, perché quel “solitario” pallone è stato notato dagli agenti della polizia penitenziaria, che l’hanno recuperato.

Era stranamente “pesante” quella palla:

già, perché conteneva 3 smartphone. Destinati, ovviamente, ai detenuti. E finiti sotto sequestro penale a carico d’ignoti.

L’introduzione e la detenzione di telefoni cellulari in carcere costituisce reato, ma i carcerati continuano a riceverli e ad utilizzarli.

Gli smartphone che arrivano nelle carceri solitamente sono del tipo “mini”: piccolissimi, ma completi

Carcere senza schermatura per le telecomunicazioni illecite

Il carcere di Corigliano-Rossano è un istituto di pena modernissimo, attrezzato e all’avanguardia, ma notoriamente non è dotato della schermatura digitale atta a impedire le telecomunicazioni non autorizzate da parte dei detenuti e verso i detenuti.

Negli ultimi anni, e in particolare negli ultimi mesi, questo carcere è alla ribalta nazionale per l’introduzione al suo interno di smartphone:

ne sono stati trovati e sequestrati a decine dagli agenti della penitenziaria che v’operano all’interno, tanto da ingenerare il sospetto che proprio tra gli agenti vi possano essere delle “mele marce”, degl’infedeli insomma, che favoriscono le introduzioni abusive d’apparecchi telefonici se non ne fossero addirittura gli autori, di tali introduzioni.

Le indagini dei carabinieri e il “caso Urso”

L’arresto effettuato lo scorso 12 gennaio dai carabinieri del Reparto territoriale di Corigliano-Rossano, in tale ottica, non è stato affatto “casuale”:

gl’investigatori dell’Arma cittadina diretta del tenente colonnello Marco Filippi, nella circostanza, avevano stretto le manette ai polsi del 36enne rossanese Antonio Urso, assistente capo della penitenziaria del locale carcere.

Quella mattina l’avevano fermato proprio mentre alla guida della sua autovettura era quasi giunto nell’istituto penitenziario per montare di servizio:

l’agente era stato sottoposto a una perquisizione “mirata” che aveva dato esito positivo ai “sospetti”:

teneva occultati nei calzini ben 3 smartphone, che gli sono stati ovviamente sequestrati.

La perquisizione era stata poi estesa alla sua abitazione, da dove era spuntato pure un piccolo quantitativo di droga del tipo cocaina, anch’esso sequestrato:

condotto in caserma, lì aveva reso delle dichiarazioni confessorie (500 euro per ogni telefono introdotto nel carcere: ecco il prezzo della corruzione), perciò il magistrato di turno in Procura a Castrovillari l’aveva subito assegnato agli arresti domiciliari, l’arresto era stato poi convalidato dal giudice per le indagini preliminari e l’amministrazione penitenziaria l’aveva immediatamente sospeso dal servizio con la metà dello stipendio.

Antonio Urso

Dopo 19 giorni, però, lo scorso 31 gennaio, i giudici del Tribunale del riesame di Catanzaro aditi dai suoi difensori – gli avvocati Antonella Caputo e Gianluigi Zicarelli – avevano annullato il suo arresto e l’avevano liberato (Telefoni in carcere Urso torna libero).

Gli avvocati avevano innanzitutto fatto valere la nullità ai fini processuali delle dichiarazioni rese da Urso dinanzi ai carabinieri, ma non in loro presenza, che saranno certamente utili agl’investigatori dell’Arma nel prosieguo di un’indagine complessa e certamente affatto conclusa.

Sì, perché l’indagato s’era fisicamente presentato nell’udienza in camera di consiglio durante la quale, al cospetto dei giudici della libertà, aveva dato tutt’altra versione dei fatti, protestandosi innocente.

La linea difensiva era stata corroborata da dichiarazioni testimoniali raccolte in sede, appunto, d’indagini difensive, suffragate da atti e documenti che gli avvocati avevano prodotto ai giudici cautelari di secondo grado.

Oggi sono state depositate le motivazioni dell’ordinanza attraverso la quale Urso è stato rimesso in libertà.

Per logica è facile supporre che la non possibilità di ripetere il supposto reato – essendo l’agente Urso sospeso dal servizio – abbia potuto avere natura determinante ai fini della sua liberazione, essendo venute meno le esigenze cautelari.

Gli avvocati, però, in una nota diffusa nel pomeriggio, parlano di «insussistenti gravi indizi di colpevolezza:

nonostante gli indizi a suo carico, siamo riusciti a dimostrare che il nostro assistito deteneva i 3 telefoni cellulari e i caricabatterie per motivi personali, e che gli stessi non erano destinati all’ingresso in carcere». Del dissequestro dei 3 smartphone “personali” però non c’è notizia. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com