L’agghiacciante racconto dell’ex fidato sodale Ciro Nigro oggi “pentito”, che accusa di un altro omicidio (il terzo) il boss coriglianese Azzaro

CORIGLIANO-ROSSANO – Fu ammazzato con due colpi di pistola sparatigli a bruciapelo. Era la sera dell’11 settembre 2001, quando tutto il mondo era attaccato alle tv per l’attentato alle Twin towers di New York.
Massimo Speranza detto ‘U brasilianu aveva 21 anni ed era un piccolo pregiudicato di Cosenza, aveva un solo precedente per una rapina compiuta assieme ad alcuni ‘ndranghetisti facenti parte degli zingari stanziali nel capoluogo bruzio e a Cassano Jonio, con propaggini e alleanze nell’intera Sibaritide a cominciare da Corigliano-Rossano.
Ed è proprio sulle colline prospicienti la grande Piana di Sibari che il ragazzo venne eliminato. E fatto sparire. Sotterrato in una buca scavata appositamente per lui.

La vittima
Il 2001 fu un annus horribilis per le cosiddette “lupare bianche” di ‘ndrangheta, vale a dire quelle uccisioni “silenziose” per simulare le sparizioni volontarie dei predestinati di turno.
Come per altri casi risolti nel recente passato e dopo svariati anni, pure per quello di Massimo ‘U brasilianu oggi ci sono nomi e cognomi dei ritenuti ‘ndranghetisti assassini, benché più di qualcuno tra essi nel frattempo a sua volta è morto ammazzato o comunque è deceduto.
I 5 ritenuti responsabili in carcere: c’è il movente
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, su richiesta dei magistrati della Procura, proprio per l’omicidio Speranza ha fatto arrestare dagli agenti della Direzione investigativa Antimafia 5 riconosciuti ‘ndranghetisti.
Magistrati inquirenti e primo giudice hanno ricostruito il movente dell’assassinio, maturato proprio nel contesto ‘ndranghetista degli zingari cosentini con l’avallo dell’articolazione cassanese:
la vittima, pur abitando in Via Popilia nel capoluogo bruzio, zona caratterizzata da una forte presenza ‘ndranghetista di matrice zingara, era ritenuto molto vicino all’allora contrapposta cosca ‘ndranghetista degl’italiani e sospettato d’avere divulgato a questi ultimi delle informazioni riservate riguardanti proprio il gruppo zingaro.
Speranza, sospettato d’essere una “spia”, sarebbe stato attirato in una trappola:
col pretesto di fargli “testare” una partita di stupefacente di particolare qualità, da Cosenza l’avrebbero condotto dapprima nella frazione Lauropoli di Cassano – il “regno” degli zingari – poi nella contrada coriglianese di Apollinara, e da qui in una zona collinare e rurale nel comune di San Demetrio Corone, dove sarebbe stato ucciso e poi sepolto.
Dell’omicidio Speranza, negli anni, hanno parlato diversi collaboratori di giustizia fuoriusciti dalle ‘ndrine di Cosenza e di Cassano, fornendo informazioni apprese nei loro ex “ambienti” che i magistrati hanno valutato come molto attendibili.

La “svolta” all’inchiesta l’ha data Ciro Nigro
La vera svolta è però arrivata a seguito del “pentimento” del 57enne Ciro Nigro (nella foto d’apertura, a sinistra), ex camorrista di sangue della ‘ndrina di Corigliano alleata di ferro e sottoposta al locale degli zingari di Cassano, il quale fu direttamente partecipe di quel fatto di sangue, benché lui stesso non sapesse che quel giorno qualcuno doveva essere ammazzato.
La collaborazione con la giustizia di Nigro ha scompaginato una coppia criminale affiatatissima e inossidabile, costituita da lui e dall’oggi 70enne Compa’ Rocco Azzaro (nella foto d’apertura, a destra), che storicamente aveva rappresentato il suo miglior sodale, ovviamente come lui già pluricondannato per associazione mafiosa ed altri reati.
I loro nomi, infatti, anche nelle cronache, per tanti anni hanno “camminato” praticamente sempre assieme.
Quello del “brasiliano” cosentino è già il terzo omicidio che Nigro accolla (anche) all’ex compare, dopo quelli del pregiudicato di Rossano Andrea Sacchetti e del boss di Sibari Salvatore Di Cicco, pure loro ammazzati e fatti sparire nello stesso anno 2001 e per i quali sono tuttora in corso i relativi processi.

Ciro Nigro
La ricostruzione dell’omicidio fatta dal “pentito” ai magistrati
Nei verbali resi ai magistrati antimafia l’11 marzo 2015, il 17 luglio 2024, e, da ultimo, lo scorso 25 febbraio, Nigro ha ricostruito in modo chiaro le fasi dell’omicidio.
«Voglio preliminarmente dichiarare che non conoscevo Speranza, tanto è vero che ne appresi il nome solo successivamente, quando i giornali pubblicarono la notizia della sua scomparsa.
Ricordo che venni contattato da Eduardo Pepe (morto ammazzato nel 2002, Ndr) che mi chiese di attendere verso le 18 presso il bar di Apollinara Armando Abbruzzese detto Andrea ‘a Siccia nivura, che sarebbe giunto in compagnia di un altro ragazzo. Una volta incontratici, il mio compito era quello di accompagnarli presso una casa di Francesco Sabino (il cosiddetto “guardiano” di Apollinara, deceduto nel 2005, Ndr), sita nei pressi di San Demetrio Corone.
Abbruzzese e il ragazzo fecero ritardo e si presentarono intorno alle 19, circa un’ora dopo l’orario convenuto per l’appuntamento.
Una volta giunti li feci salire a bordo della mia auto, una Fiat Brava di mia moglie, e ci mettemmo in marcia verso la casa di Sabino dove ero stato incaricato di condurli.
Lungo il percorso, a un certo punto, incrociammo l’autovettura Ford Orion rossa di Francesco Sabino, a bordo della quale c’erano Rocco Azzaro, Eduardo Pepe e lo stesso Francesco Sabino.
A causa del nostro ritardo, Pepe si lamentò con me del fatto che non avessimo rispettato gli orari stabiliti, al che io mi giustificai dicendo che Abbruzzese e il ragazzo che si trovava con lui erano appena giunti. Ci dirigemmo tutti verso la casa di Sabino.
Una volta arrivati, entrammo tutti in casa tranne Pepe, che, avendo nascosto la pistola fuori dall’abitazione, dovette prima recuperarla per poi entrare per ultimo in casa.
Speranza fu fatto sedere e io gli offrii una sigaretta. Mentre il giovane la stava accendendo sopraggiungeva Pepe, che, mentre gli porgeva la mano sinistra, con la destra gli sparava un colpo alla fronte. Subito dopo, Pepe fece il giro e gli sparò di nuovo alla nuca.
L’azione fu così repentina che io mi lamentai con Pepe del fatto che aveva rischiato di ferire anche me, ma lui mi disse che sapeva quello che faceva ed io non avevo corso alcun pericolo.
Ricordo che fu utilizzata una pistola calibro 7,65 e subito dopo l’uccisione ci prodigammo per recuperare i bossoli:
il primo bossolo esploso fu recuperato immediatamente;
il secondo, che inizialmente non si riusciva a trovare, lo trovai io in un secondo momento mentre trasportavamo la vittima al di fuori dell’abitazione. Il bossolo, impigliato nei capelli di Speranza, cadde a terra.
Pepe mi fece i complimenti per come avevo collaborato alla realizzazione del piano per uccidere Speranza in quanto diceva che tutti si fidavano di me per come era successo anche per l’omicidio di Salvatore Di Cicco.
Non so di preciso quali siano state le ragioni per le quali fu decisa l’uccisione di Speranza, ma ricordo che mi fu detto da Pepe che bisognava eliminarlo per fare un favore a Giovanni Abbruzzese detto ‘U cinese.
Speranza, subito dopo essere stato ucciso, fu trasportato da me, Eduardo Pepe, Rocco Azzaro e Armando Abbruzzese all’esterno della casa di Sabino che era rimasto dentro a pulire il sangue.
Lo portammo nel luogo dove doveva essere seppellito, dopodiché, io, Pepe ed Andrea andammo via e del seppellimento del cadavere se ne occuparono Rocco Azzaro e Francesco Sabino.
Ricordo che lo trascinammo all’esterno con dei sacchi neri.
Il luogo in cui fu seppellito era una buca che era stata già scavata da Sabino ed Azzaro in un boschetto ubicato di fronte alla casa, a una distanza di circa 15-20 metri. La buca non era molto profonda in quanto era stata realizzata solo con pala e piccone in un terreno in cui c’erano alberi alti, principalmente di castagno.
Non ho assistito alle operazioni di seppellimento del cadavere, ma so che, come si era solito fare, la vittima fa spogliata, calata all’interno della buca e coperta poi con uno strato di calce e poi con un successivo strato di terra.
Sarei in grado individuare e riconoscere il luogo in cui è stato seppellito, ma voglio anche puntualizzare che il cadavere potrebbe essere stato spostato, perché di solito quando più persone partecipano ad un omicidio, per non correre rischi e essendoci forte diffidenza reciproca, può accadere, soprattutto in concomitanza dell’arresto di qualcuno dei responsabili, che gli altri tornino a spostare il cadavere».
Ovviamente, l’inchiesta è costellata dei dovuti riscontri – effettuati anche nei luoghi indicati da Nigro e con Nigro stesso – oltre che dalle dichiarazioni sue e d’altri “pentiti”.
Le 5 persone in carcere per l’omicidio quali mandanti ed esecutori materiali – Giovanni Abruzzese detto ‘U Cinese, Armando Abbruzzese detto Andrea ‘a Siccia nivura, Luigi Bevilacqua detto Gino, Fioravante Abbruzzese detto Banana e Rocco Azzaro, saranno interrogate tra lunedì e martedì prossimi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, Piero Agosteo. direttore@altrepagine.it