Nicola Acri: «Fosse stato per me non l’avrei ammazzato, con me si comportò sempre bene», e accusa il boss Salvatore Morfò e suo figlio Isidoro. Anna Aiello dopo 24 anni non ha ancora un luogo dove piangere suo figlio

COSENZA – Da una parte, un pluriassassino di ‘ndrangheta reo confesso. Dall’altra, un’anziana madre cui 24 anni or sono la ‘ndrangheta ha ammazzato un figlio, che da allora attende sia fatta giustizia e che da allora non ha una tomba di camposanto dove andarlo a piangere portandogli un fiore, né un posto dove accendere un lumino per ricordarlo a se stessa e agli altri.
Stamattina, Anna Aiello, da Corigliano-Rossano, dove vive con questo e altri lutti, il suo Andrea (nella foto d’apertura, a destra) è andato a piangerlo proprio in un’aula di giustizia, quella della Corte d’Assise di Cosenza. Dove al cospetto dei giudici (presidente Paola Lucente, a latere Francesca De Vuono) si sta svolgendo il processo per il datato omicidio che vede in carcere e alla sbarra un unico imputato, il 70enne boss coriglianese Rocco Azzaro, oggi non presente in video-collegamento dal carcere di Catania per sua stessa formale rinuncia a comparire.
L’imputato è difeso dagli avvocati Franco Oranges ed Enzo Belvedere.

Rocco Azzaro video-collegato dal carcere di Catania durante la scorsa udienza del processo
Già, dal momento che altri due degli assassini a loro volta sono morti ammazzati poco più d’un anno e mezzo dopo di suo figlio, mentre un altro, da “pentito”, l’assassinio del suo Andrea l’ha confessato in quella stessa aula, stamattina, interrogato dal pubblico ministero della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, Stefania Paparazzo.
Parliamo del 45enne Nicola Acri (nella foto d’apertura, a sinistra), video-collegato com’era da un sito carcerario dove sta scontando la pena dell’ergastolo.

L’aula della Corte d’Assise di Cosenza prima dell’inizio dell’udienza di stamane
Da killer ‘ndranghetista e boss capo-‘ndrina di Rossano lo chiamavano Occhi di ghiaccio, ma oggi il suo sguardo e quello di Anna Aiello non si sono mai incrociati nemmeno a distanza, nell’aula di giustizia, dal momento che lui era inquadrato di spalle per quei pochi che stavano dalla parte del pubblico proprio come la madre di Andrea Sacchetti, che indossava un paio di grandi occhiali scuri che non sono riusciti a celare il dolore dei suoi occhi quando Acri ha fatto esplicito riferimento alle «ossa» di suo figlio.
La donna e altri stretti familiari dell’ucciso con la tecnica della cosiddetta lupara bianca, sono parti civili assistiti nel processo dagli avvocati Antonio Pucci e Maria Sammarro.
La “lupara bianca” di Andrea Sacchetti
Il rossanese Sacchetti venne ammazzato all’età di 29 anni il 5 febbraio 2001 e fu «fatto con cinque o sei colpi di pistola», ha confermato Acri, all’interno di un’azienda agricola ubicata tra la frazione coriglianese di Cantinella e Sibari.
Il giovane, un piccolo pregiudicato tenuto ai margini dagli ‘ndranghetisti desideroso e speranzoso di poter entrare proprio in quel “giro”, venne attirato in una trappola:
proprio Acri cui egli si rivolgeva spesso – «Se c’è qualche lavoro da fare… io sono a disposizione» – quel giorno gli aveva fatto credere che «c’era un lavoretto» per lui, gli diede un appuntamento «vicino al passaggio a livello di Rossano», ma qualche giorno prima aveva fatto recapitare «tramite Annibale Matalone, una pistola calibro 9 con silenziatore» ai suoi “compari” d’allora ai quali quel pomeriggio d’oltre 24 anni fa lo consegnò.
Quei “compari” rispondevano ai nomi di Eduardo Pepe – che fu colui che premette il grilletto – Fioravante Abbruzzese (entrambi boss di Cassano Jonio, morti ammazzati assieme in un agguato ‘ndranghetista il 2 ottobre 2002, Ndr), e Rocco Azzaro.

Il volto di Rocco Azzaro in una storica foto segnaletica
Acri se ne andò subito dopo e non partecipò all’occultamento del cadavere di Sacchetti, che venne «distrutto da Azzaro secondo una pratica da lui già utilizzata per altri omicidi: era sua abitudine frantumare i corpi da far sparire e disperderne i resti e le ossa.
Eduardo infatti mi ha detto: “Tu vai a fare una pulita alla macchina, fatti vedere in giro per Rossano, che se ti ha visto qualcuno mentre… Però non c’era nessuno quando andai a prendere Sacchetti, non mi aveva visto nessuno.
Comunque io così ho fatto, mi sono… mi sono messo direttamente nella Fiat 500 con cui avevo portato Sacchetti sul posto, una 500 che mi aveva prestato Francesco Sommario che era dello zio, di un meccanico, un carrozziere, una macchina “pulita”, e mi sono allontanato…
Poi dopo ho parlato con Rocco e con Eduardo la sera, mi hanno detto tutto a posto, che era… l’avevano… avevano sistemato tutto loro e poi dopo era andato a prenderli Ciro Nigro…».
Il movente e i due presunti mandanti dell’omicidio confessati da Acri
Nel corso della sua deposizione, Acri ha spiegato pure il movente dell’omicidio Sacchetti, ma ha tenuto a fare una premessa:
«Fosse stato per me, non l’avrei ammazzato, perché lo conoscevo e sono stato pure amico con lui, anche se non l’ho mai voluto nel mio giro perché sapevo che era un tossicodipendente, che spacciava qualche grammo di droga per racimolare i soldi per farsi lui stesso, e per questo non sarebbe stato affidabile;
capitò per esempio che fece qualche furto in qualche casa i cui proprietari godevano della mia protezione e poi ovviamente si rivolgevano a me, allora io lo chiamavo e lui mi restituiva la refurtiva che io facevo poi riavere a quei proprietari, e gli regalavo pure qualche centinaio di euro per le sue necessità, perché con me si comportava sempre bene…».
Se è così, allora a chi dava “fastidio” Sacchetti, al punto tale da volerne la morte?
«La sera dell’omicidio sono andato subito a dirglielo a Salvatore Morfò, c’era lui e il figlio Isidoro e gli ho detto del fatto, gli ho detto: “Vedi che è tutto a posto, abbiamo fatto tutto, ti mandano i saluti Eduardo, tutto a posto”. E lui contento che gli avevamo fatto il piacere».
Il collaboratore di giustizia indica quali mandanti proprio il boss Salvatore Morfò e il figlio Isidoro, di 67 e 39 anni, i quali sono tuttora iscritti nel registro degl’indagati, ma a piede libero.

Salvatore Morfò
«Salvatore Morfò si lamentava perché Andrea Sacchetti spacciava droga autonomamente, ma soprattutto per la sua vicinanza a Giovanni De Luca;
quest’ultimo era un “rivale” rossanese col quale Morfò aveva un forte astio dal momento che il figlio, Cosimo De Luca (da anni detenuto all’ergastolo per il brutale omicidio d’una donna, Ndr), aveva accoltellato suo figlio, Isidoro Morfò, quando lui era detenuto in carcere. Poi lui ha vendicato quell’accoltellamento ordinando proprio al figlio l’omicidio di Giovanni De Luca, che nel febbraio del 2000 riuscì però a scampare alla morte, ma i pallini delle fucilate che prese addosso lo resero cieco per il resto della sua vita».
De Luca oramai da anni è comunque defunto.

Isidoro Morfò
Secondo il racconto di Acri, proprio per la sua “vicinanza” a De Luca, Morfò temeva la vendetta e temeva che Sacchetti proprio per conto di De Luca potesse compiere atti ritorsivi nei suoi confronti:
«Morfò ogni volta mi insisteva su questo ragazzo… dice “Nico’, questo qua, sta vendendo, sta facendo, sta dicendo…”, gli ho detto “Salvato’, scusa ma qual è il problema?”, gli ho detto, “Perché ogni volta prendi il discorso di questo qua?”, dice “No, Nico’, questo qua è troppo vicino a Giovanni De Luca… perché la mamma di questo ragazzo era diciamo la donna di Giovanni De Luca, aveva una relazione con Giovanni De Luca e forse pure un figlio”;
insomma un giorno, eravamo là con Annibale Matalone e… allorché lui, c’era pure il figlio Isidoro, dice: “Senti, dobbiamo prendere un provvedimento con questo qua perché ho timore che possa fare qualcosa perché è un ragazzo capace, vediamo di prendere un provvedimento”, dice… “E vabbè, che vogliamo fare?”; dice: “Glielo chiediamo ad Eduardo se ci manda qualcuno”.
Quando ho parlato con Eduardo, ho detto: “Edua’, senti, Salvatore vorrebbe fatto questo piacere di questo qua, è un drogato però lui dice che è uno capace, io ci sono amico, però lui lo vede un problema, che dobbiamo fare?;
Eduardo dice: “Andiamoci a parlare con Salvatore”.
Andiamo a parlare con Morfò, quindi andiamo io, Matalone e Eduardo e parliamo con Morfò di questo discorso, dice: “Come… vuoi che ti mando qualcuno, vuoi…”, mentre stavamo parlando Eduardo dice: “Va bene, ce la vediamo noi”;
io ho detto: “Edua’ senti noi avevamo pensato di farlo sparire per non fare casino, alla fine non è che è una persona che dà fastidio, che ti viene a sparare, c’è il rischio di farlo così”, dice: “Vabbè allora ci prepariamo e lo portate da qualche parte, vi faccio vedere dove e lo facciamo sparire”».
Il collaboratore di giustizia sarà contro-esaminato dagli avvocati difensori di Azzaro nel corso dell’udienza del processo già fissata per il prossimo mese di maggio. direttore@altrepagine.it