SIBARI – In queste ore “il problema più grosso” nella terra in cui viviamo, pensiamo, riflettiamo e scriviamo, è se festeggiare San Francesco di Paola Patrono di Corigliano come ogni anno o meno, quest’anno che i suoi festeggiamenti religiosi e civili cadono durante il massimo lutto che poteva colpire la Chiesa e il mondo cristiano e cattolico, con la morte del Papa.

Già, proprio quel Papa Francesco che 11 anni fa venne qui, in questa nostra terra tanto bella quanto maledetta da chi l’abita, nel tentativo, vano, di redimerla.

Venne sei mesi dopo l’ennesima strage di ‘ndrangheta in cui incontrarono la morte, insieme, non solo uno ‘ndranghetista, ma anche una giovanissima donna, Ibtissam Touss detta Betty di 27 anni, venuta a morire qui dal Marocco, e un bambino, Nicola Campolongo detto Coco’, di 3 anni appena. Due anime innocenti, ma al contempo “colpevoli” la prima d’essere venuta a “vivere” qui, l’altro d’esserci nato.

Era il 21 giugno 2014, e il Pontefice, qui a Sibari e non su Marte, davanti a migliaia e migliaia di persone, disse:

«Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione;

quando non si adora Dio, il Signore, si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato.

La ’ndrangheta è questo:

adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato!

Bisogna dirgli di no!

La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere.

Ce lo chiedono i nostri ragazzi, ce lo domandano i nostri giovani bisognosi di speranza.

Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare.

Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio:

sono scomunicati!».

Mai parole così chiare e così potenti rimasero così lettera morta. Parole al vento, inascoltate. E non solo dagli ‘ndranghetisti:

sì, perché i sottoposti di Papa Francesco, vale a dire i rappresentanti la Chiesa nella Sibaritide, gli ‘ndranghetisti non li hanno mai scomunicati.

Basta farsi un “giro” sui profili Facebook di noti, notissimi ‘ndranghetisti nostrani, che pullulano di foto in sfarzosi abiti da cerimonia all’uscita di tante nostre parrocchie dopo Battesimi, Comunioni, Cresime e Matrimoni.

Il dato empirico ci viene confermato da alcuni sacerdoti locali che abbiamo “interrogato” sul punto:

il Battesimo a bambini innocenti non si può certo negare – ci hanno riferito – ma le autorizzazioni a padrini notoriamente ‘ndranghetisti si dovrebbero negare eccome nel rispetto della scomunica di Papa Francesco, così come l’assistenza spirituale ai carcerati per reati di stampo mafioso o il Sacramento del Matrimonio a personaggi noti per quegli stessi reati.

Frattanto, qui – Papa o non Papamitra, fucili e pistole hanno continuato a sparare indisturbati:

altri 13 morti ammazzati, 5 omicidi mancati, e la carneficina non ha risparmiato altre 2 donne innocenti, una, Antonella Lopardo di 49 anni, morta al posto del marito pregiudicato vero obiettivo dei sicari, e l’altra, Hedli Hanene detta Elena di 38, lei venuta a morire qui dalla Tunisia assieme al marito ‘ndranghetista perché al momento dell’agguato era con lui.

Fra i 13 caduti mancano all’appello i corpi di 2, fatti sparire con le cosiddette lupare bianche.

Impossibile, invece, contare il numero degli atti criminali di stampo intimidatorio nello stesso lasso temporale, soprattutto incendi d’autovetture e automezzi da lavoro, ma talvolta pure stabilimenti produttivi e stabili commerciali. Già, perché sono diverse centinaia e sottendono reati “tipici” – estorsione ed usura – di cui sono vittime imprenditori, commercianti, e non solo.

Questo è il “bilancio operativo” della ‘ndrangheta che domina questa terra, in estrema sintesi e arrotondato per difetto.

Ben 7 dei 13 omicidi – quindi più della metà – hanno riguardato il territorio comunale di Cassano Jonio, gli altri 6 la più grande e confinante città jonica di Corigliano-Rossano.

A seguito della morte di Papa Francesco, il sindaco di Cassano, Gianni Papasso, ha detto:

«Le sue parole di condanna alla mafia e alla criminalità organizzata, culminate con la scomunica, hanno assunto la sembianza di un forte vortice che da Sibari si è propagato fino a raggiungere le coscienze di tutti i calabresi e dei cittadini del mondo intero».

Mai parole più bugiarde, come quelle del sindaco di Corigliano-Rossano, Flavio Stasi:

«La visita di Papa Francesco a Cassano nel 2014 rimane un momento chiave, con il suo forte messaggio contro la ‘ndrangheta che ha segnato profondamente la regione.

Le parole di condanna e l’appello alla speranza continuano a risuonare, testimonianza di un pontificato che ha lasciato un’impronta indelebile nella comunità calabrese».

Il 17 febbraio dell’anno scorso, durante una manifestazione anti-‘ndrangheta tenutasi a Cassano, il vescovo Francesco Savino (nella foto qui in alto), senza ipocrisia e senz’alcun fronzolo aveva detto:

«Della scomunica di Papa Francesco cosa ne è rimasto?!».

Una domanda superflua quanto retorica, perché monsignor Savino sa bene che nella nostra Sibaritide gli ‘ndranghetisti continuano ad essere accolti nelle tante parrocchie del territorio per tutti i Sacramenti, altro che scomunica! direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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