
ROMA – A processo col 39enne boss di ‘ndrangheta della Sibaritide Leonardo Abbruzzese detto Nino oppure Castellino (foto) di Cassano Jonio, ed altri 12, tutti del comprensorio sibarita e tutti ritenuti, dai magistrati della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, favoreggiatori della latitanza proprio dell’ultimo “reggente” del clan cosiddetto degli zingari, che in alleanza con la famiglia ‘ndranghetista dei Forastefano oramai da tanti anni domina la scena criminale della Calabria settentrionale.
Si tratta di un boss mafioso di Bari, Francesco Lovreglio di 62 anni, del figlio, Nicola Lovreglio di 39, della moglie di quest’ultimo, Elisabetta Sciacovelli di 39, e del genero del boss, Eugenio Traversa di 43.
Il quartetto barese era finito in carcere assieme a tutti gli altri, il 15 novembre dell’anno scorso, nell’ambito dell’inchiesta anti-‘ndrangheta “Athena 2”.
Le investigazioni antimafia sulla latitanza di Abbruzzese, condotte “sul campo” dai carabinieri – erano scattate appena dopo la maxi-retata dell’inchiesta “Athena” del 30 giugno 2023, che ha già visto concludersi il maxi-processo di primo grado (Qui tutte le condanne), alla quale l’ultimo reggente era clamorosamente sfuggito prima d’essere catturato proprio a Bari dopo 4 mesi di latitanza (Leonardo Abbruzzese “girava” con la Carta d’identità d’un ragazzo di Corigliano-Rossano).
Proprio le attività di ricerca dell’uccel di bosco, avevano condotto l’Antimafia all’individuazione dei suoi ritenuti uomini e donne “a disposizione”, che gli avrebbero garantito sostegno ed assistenza logistica (Il “biglietto di viaggio” del latitante).

Le risultanze acquisite, in particolare, avevano permesso di ricostruire i vari “passaggi” della latitanza del boss cassanese, che il 17 ottobre 2023 era stato trasferito, a bordo di un’ambulanza, da un alloggio popolare dello Scalo di Spezzano Albanese dove si nascondeva, fino a Bari, in una villa appartenente alla locale famiglia Lovreglio alleata e in affari con gli Abbruzzese, che per poco più d’un paio di settimane fu il covo del latitante (Il “mutuo soccorso” fra la ‘ndrangheta sibarita e la mafia barese).

Il ruolo del boss barese e dei suoi familiari: ecco cosa scrivono i giudici della Cassazione
Nei giorni scorsi, i giudici della sesta sezione penale della suprema Corte di Cassazione hanno depositato le motivazioni per le quali hanno dichiarato inammissibili i ricorsi di Francesco Lovreglio e di Eugenio Traversa relativamente al richiesto annullamento delle ordinanze applicative della custodia cautelare in carcere nei loro confronti, già rigettati il 28 novembre dell’anno scorso da parte dei giudici del Tribunale del riesame di Catanzaro.
«L’ordinanza ricostruisce in modo lineare e completo la vicenda ed i ruoli dei componenti della famiglia Lovreglio a partire dal giorno dell’arrivo del latitante presso la villa di famiglia sino a quello dell’arresto in base alle videoriprese delle telecamere ivi installate, coordinate con le risultanze delle intercettazioni e dell’analisi dei localizzatori dei veicoli degli indagati e delle celle agganciate dai loro cellulari, la cui lettura unitaria ha consentito di individuare il ruolo attivo del ricorrente e del figlio sin dal momento del trasferimento del latitante dalla Calabria a bordo di autombulanza, aiutandolo e proteggendone gli spostamenti», scrivono i giudici della Cassazione in relazione alla posizione di Francesco Lovreglio.
E ancora:
«A fronte dell’accertata presenza in Calabria del ricorrente insieme e del figlio sin dal 17 ottobre 2023, dell’appoggio logistico ed economico garantito all’Abbruzzese, risultante dal colloquio intercettato tramite il trojan installato sul cellulare di Abbruzzese Cosimo (“Tutto Frà, per i soldi me la vedo io”, pag. 4 ordinanza), nonché della circostanza che nell’occasione assistette alle indicazioni programmatiche impartite ai sodali durante la sua assenza, risulta priva di ogni fondamento l’obiezione difensiva, essendo stata correttamente desunta da tali elementi – all’evidenza captati nella circostanza – la consapevolezza del ricorrente dello status di latitante del favorito e della sua caratura mafiosa.
Se a ciò si aggiunge che, come indicato nell’ordinanza, in base all’analisi del tabulato telefonico e delle celle agganciate dal cellulare del ricorrente è stato ricostruito il percorso verso la Puglia, coincidente con quello del latitante e verificato l’appoggio assicurato, viaggiando a bordo della Fiat Grande Punto che precedeva l’ambulanza, si ha piena conferma dell’aiuto prestato al latitante sin dalla prima fase del trasferimento per raggiungere la sua villa, ove l’Abbruzzese fu ospitato sino alla data dell’arresto.
Risultano, pertanto, inconsistenti le censure difensive, specie se si ha riguardo al riferimento specifico alla Fiat Punto bianca di Lovreglio Nicola, fatto dall’Abbruzzese dopo l’arresto, nel corso del colloquio in carcere con il fratello, in cui attribuiva alla superficialità e imprudenza del Lovreglio l’attività di controllo sfociata nel suo arresto (pag. 5 ordinanza).
A tali elementi oggettivi si aggiungono le circostanze riprese dalle telecamere collocate presso la villa del ricorrente, che documentano l’ospitalità e l’aiuto assicurato da tutti i membri della famiglia e la copertura garantita negli spostamenti del latitante, muovendosi a bordo di vetture diverse per tutelarne i movimenti con modalità a staffetta, come ricostruito nell’ordinanza nei giorni 5 e 6 novembre 2023».
In merito alla posizione del genero, Eugenio Traversa, i giudici scrivono:
«Nitidamente ripresa è la presenza del ricorrente presso la villa il giorno dopo l’arrivo del latitante e documentato l’aiuto offerto al suocero ed al cognato per l’operazione di trasferimento dei bagagli dell’Abbruzzese da un’autovettura ad un’altra, la stessa a bordo della quale la sera del 5 novembre 2023 il ricorrente, insieme a Lovreglio Nicola, scortava l’uscita dell’Abbruzzese a bordo di altra autovettura occupata da Lovreglio Francesco e preceduta da altro veicolo, con modalità a staffetta:
metodica prudenziale, di norma utilizzata per proteggere gli occupanti del veicolo in posizione centrale, segnalando pericoli o presenze delle forze dell’ordine, che sarebbe stata utilizzata anche il giorno successivo per garantire il rientro dell’Abruzzese nella villa, ove fu tratto in arresto, e che era stata già utilizzata per proteggerne la trasferta in ambulanza dalla Calabria».
Gli altri imputati nel processo “Athena 2”
Antonio detto Tonino Abbruzzese, 40 anni, di Cosenza;
Cosimo Abbruzzese detto Cocò o Micciu, 28, di Spezzano Albanese;
Francesco Abbruzzese, 31, di Spezzano Albanese;
Nicola Abbruzzese, 65, di Spezzano Albanese;
Francesco Pio Alfano, 59, di Montalto Uffugo;
Giuseppe Cofone, 27, di Spezzano Albanese;
Marianna Costanzo, 46, di Terranova da Sibari;
Angelica Forciniti, 43, di Sibari;
Enzo Molino, 56, di Terranova da Sibari;
Gennaro Presta, 30, di San Lorenzo del Vallo. direttore@altrepagine.it