
CORIGLIANO-ROSSANO – Oggi ha 58 anni e da quasi 4 collabora con la giustizia, aiutando i magistrati della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro a ricostruire le trame di ‘ndrangheta e di sangue della Sibaritide ancora irrisolte. Quelle degli anni in cui di quelle trame lui fu tra i diretti protagonisti.
Da picciotto a camorrista di sangue il passo fu brevissimo
Ciro Nigro (nella foto d’apertura), di Corigliano e sin da giovanissimo “votato” alla delinquenza, alla ‘ndrangheta si “iscrisse” nella primavera del 2000.
Dopo essere stato per tempo un contrasto onorato, vale a dire intraneo all’organizzazione mafiosa, ma senza “grado”, venne dapprima “battezzato” come picciotto, la sua prima “dote” di ‘ndrangheta:
«[…] Sono stato affiliato nell’aprile del 2000 e portavo in “copiata” gli zingari di Cassano Jonio Franco Abbruzzese detto “Dentuzzu”, Nicola Bevilacqua e Fioravante Abbruzzese, e i coriglianesi Natale Perri detto “‘A fiacca” e Rocco Azzaro;
poco tempo dopo mi venne conferita la seconda “dote”, quella di “Camorrista di sangue”, e in “copiata” avevo Franco Abbruzzese detto “Dentuzzu”, Eduardo Pepe, Giuseppe Farao e Silvio Farao di Cirò, e Rocco Azzaro:
quest’ultimo fu il mio “puntaiolo” tutt’e due le volte, cioè fu colui il quale mi punse con l’ago, per farmi uscire il sangue col quale bagnai l’immagine sacra sulla quale giurai… […]».
Nel 2015 l’inizio del pentimento
Già, ma Nigro il “sacro” patto di sangue criminale dell’omertà, 15 anni dopo incominciò a romperlo, chiedendo d’essere interrogato e riempiendo i suoi primi due verbali di confessioni:
era il 2015 e si trovava in galera a L’Aquila, al “carcere duro” del 41-bis, già condannato definitivo all’ergastolo per uno degli omicidi cui ha preso parte, quello di Giorgio Cimino, il 62enne coriglianese colpito a morte dentro un bar dello Scalo di Corigliano il 24 maggio del 2001:
la vittima era il padre di due “pentiti” della ‘ndrangheta coriglianese, Giovanni e Antonio Cimino.
La revoca del 41-bis e le prime “voci” sul suo conto
Verso la fine del 2017 – caso più unico che raro in Italia – il Tribunale di sorveglianza di Roma revocò a Nigro il regime detentivo speciale studiato dal legislatore per i “pezzi da 90” di mafia, camorra e ‘ndrangheta. E ci volle poco perché nella sua Corigliano – con eco a Cassano, a Rossano e a Cirò – si spargessero voci d’un suo più che probabile “salto dal fosso”, benché ancora non vi fossero carte ufficiali a dimostrarlo.

In carcere sotto protezione da giugno del 2021
Nel giugno del 2021 Nigro prese la “patente di pentito”, ed è nell’ottobre del 2023 che dalle sue confessioni scaturirono i primi importanti arresti, cui sicuramente ne seguiranno altri da qui ai prossimi mesi o anni.
Seppur detenuto in carcere, per il proprio status, da quasi quattro anni Nigro è sottoposto al programma di protezione del Ministero dell’Interno.
«Prima Damiano arrestato e poi Eduardo ammazzato… Uno dei due fratelli avrebbe dovuto battezzare il mio terzogenito»
In un verbale d’interrogatorio piuttosto recente, che reca la data del 17 luglio dell’anno scorso, il collaboratore ha, tra l’altro, dichiarato:
«[…] Il mio rapporto con Eduardo Pepe era molto stretto.
In tal senso, voglio precisare che il fratello di Eduardo Pepe, Damiano Pepe, doveva battezzare il mio terzogenito Pasquale.
Tuttavia, siccome fu arrestato e poi condannato non fu possibile fargli fare il padrino di mio figlio.
Per questa ragione, siccome nel frattempo avevo stretto un rapporto di collaborazione ed amicizia con Eduardo Pepe, decisi di far battezzare da lui mio figlio.
Di questa mia decisione avevo fatto avvisare Damiano Pepe il quale fu perfettamente d’accordo.
Il battesimo doveva essere fatto nel mese di dicembre del 2001, tuttavia io fui arrestato a novembre dello stesso anno e quindi la cerimonia saltò.
Poi, nel 2002, a ottobre, Eduardo Pepe fu ucciso insieme a Fioravante Abbruzzese, fratello di Franco Abbruzzese, ragion per cui nemmeno per lui fu possibile battezzare mio figlio.
In quel periodo io ero ristretto presso la casa circondariale di Catanzaro […]».
I familiari si sono “dissociati”: «Non abbiamo alcun rapporto con lui»
Il 24 ottobre del 2023, l’ex moglie di Nigro, la coriglianese Lucia Taranto, e i figli dell’ex coppia, Pasquale, Carmela, Deborah e Giovanni Nigro assieme ai loro rispettivi coniugi, si sono ufficialmente dissociati dalla collaborazione con la giustizia del loro congiunto:
«Intendiamo porre in evidenza e portare a conoscenza di tutti che ormai non abbiamo più rapporti con lui già da molto tempo.
Conduciamo le nostre vite in modo autonomo e distante da lui.
Desideriamo, poi, sottolineare di non condividere la scelta del suo “pentimento”, poiché non la riteniamo giusta, e quindi di non avere nulla a che fare con questa sua decisione, sulla quale fin dall’inizio abbiamo espresso in merito la nostra contrarietà».
Sta testimoniando nei processi per 2 omicidi
Attualmente, Nigro sta testimoniando nei processi per due omicidi:
quello del pregiudicato 29enne di Rossano Andrea Sacchetti e quello del 34enne ex boss di Sibari Salvatore Di Cicco, ammazzati e fatti sparire di lupara bianca tra i mesi di febbraio e settembre del 2001.

A sinistra Di Cicco, a destra Sacchetti
Il processo per l’omicidio Di Cicco ha già visto il collaborante, reo confesso, condannato a 5 anni e dieci mesi di reclusione col rito abbreviato, mentre da qui a poco sono attese le sentenze di primo grado nei confronti degli altri imputati alla sbarra che Nigro ha accusato.

L’imputato Rocco Azzaro nell’aula della Corte d’Assise di Cosenza durante la deposizione di Nigro
Si tratta del 70enne boss coriglianese Rocco Azzaro, del 55enne Giuseppe Spagnolo detto ‘U banditu e del 75enne Giuseppe Nicastri, gli ultimi due personaggi di spicco della ‘ndrangheta di Cirò. direttore@altrepagine.it