L’Antimafia ricostruisce le tentate estorsioni ai danni degli imprenditori cassanesi Vocaturi e Mignogna. La donna, già soggetta a intercettazioni, è accusata pure dal collaboratore di giustizia Gianluca Maestri

CATANZARO – Gli Abbruzzese – la famiglia ‘ndranghetista cosiddetta degli zingari di Cassano Jonio – sono come l’araba fenice, risorgono sempre dalle loro stesse ceneri. Ove per ceneri, negli ultimi anni, sono da intendersi le continue decimazioni carcerarie d’un potente clan familiare che ha e deve sempre avere un “reggente” libero avente il cognome Abbruzzese.
Dall’arresto a Bari, da latitante, del 39enne Leonardo detto Nino oppure Castellino – recentemente condannato in primo grado a 20 anni di carcere – la guida “nominale” (e non solo) del clan, era toccata al fratello 44enne Marco, detto ‘U palumm. Che fino a quel momento era rimasto praticamente fuori dalle dinamiche criminali della famiglia, lavorando con la propria ditta nel settore della raccolta, del trasporto e del commercio di materiale ferroso. Già, se proprio non si vuole “considerare” il suo arresto e la sua condanna del 2012, quando assieme ai suoi congiunti tentò d’impedire ai carabinieri l’arresto di suo padre latitante, il capostipite degli Abbruzzese, l’oggi 77enne Celestino detto Asso di bastoni o Cicciu ‘u zingaru, pure lui in carcere.
Proprio di Marco Abbruzzese «costretto dagli eventi a sporcarsi le mani», il giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Gilda Danila Romano, ha ordinato l’arresto su richiesta dei sostituti procuratori antimafia Alessandro Riello e Stefania Paparazzo, sotto le direttive del procuratore Salvatore Curcio.
E in galera ‘U palumm c’è finito all’alba di stamane. Unitamente alla cognata, moglie del 45enne fratello Nicola detto Semiasse, lui pure recentemente condannato in primo grado a 20 anni e che come Nino, come il nipote Luigi condannato definitivo a 20 anni e ad altri 14 in primo grado, e il padre di quest’ultimo, l’ergastolano definitivo Franco detto Dentuzzu, è detenuto al “carcere duro” del 41-bis, come pure il 59enne Fiore detto Ninuzzu anch’egli condannato definitivo all’ergastolo, il 49enne Luigi detto ‘U pinguinu e il 47enne Francesco detto ‘U pirolu, boss di spicco della famiglia Abbruzzese condannati definitivi a pene fino a 30 anni di carcere.

Il procuratore Antimafia di Catanzaro Salvatore Curcio
L’arresto della moglie di Nicola Abbruzzese e figlia di Damiano Pepe Tripolino
La moglie di Semiasse finita dietro le sbarre stamane, di nome si chiama Finizia e di cognome fa Pepe. Già, perché in effetti la cosca s’è sempre chiamata Pepe-Abbruzzese, i primi cassanesi doc, i secondi d’origine rom.
La 36enne Finizia Pepe è figlia del boss Damiano Pepe detto Tripolino, 63 anni, oggi libero, ma con alle spalle ben 23 anni di carcere per effetto della scontata condanna per associazione mafiosa e la partecipazione a un importante omicidio di ‘ndrangheta, quello dell’imprenditore di Cassano Luigi Lanzillotta compiuto in una barberia dello Scalo di Corigliano nel gennaio del 1993 su ordine del defunto superboss coriglianese e della Sibaritide Santo Carelli.
Pepe è infatti considerato dai magistrati antimafia di Catanzaro «partecipe del locale di ‘ndrangheta di Corigliano» e al contempo «promotore della “cosca degli zingari” tanto nell’area coriglianese un tempo alle dipendenze del defunto boss di Corigliano, Santo Carelli, quanto sull’area cassanese, dove, alleatosi con gli Abbruzzese, ha promosso la nascita dell’omonimo gruppo, portando avanti la storica contrapposizione coi Forastefano». Questa la ricostruzione storica dei magistrati.

Damiano Pepe in una foto segnaletica di metà anni Novanta
Pepe-Abbruzzese e Forastefano: da vecchi acerrimi nemici a odierni alleati di ferro
Da una decina d’anni in qua la storia è radicalmente cambiata, perché coi Forastefano, dopo una lunga guerra a colpi di morti ammazzati dall’una e dall’altra parte, non solo è scoppiata la pace, ma s’è dato vita a un’unica “supercosca” di ‘ndrangheta. Un’alleanza di ferro.
Nell’odierna ordinanza applicativa di misure cautelari, infatti, figura tanto il boss Semiasse, già detenuto al 41-bis nel carcere di Cuneo, quanto il 38enne boss Pasquale Forastefano detto L’animale o Il pazzo, ristretto al “carcere duro” in quel di Parma.

Pasquale Forastefano
Le accuse contro Semiasse, L’animale e Francesco Faillace
Il ritenuto “reggente” Abbruzzese ‘U palumm è accusato d’una tentata estorsione aggravata per avere ripetutamente minacciato un 38enne imprenditore di Cassano, Cristian Raoul Vocaturi, affinché corrispondesse somme di denaro per la “protezione” delle sue attività edili.
In particolare, ‘U palumm, tra i mesi di gennaio e marzo dell’anno scorso, avrebbe richiesto il 3% del valore d’un appalto pubblico vinto da Vocaturi per l’ampliamento d’alcune strade nel comune di Cassano e la ristrutturazione d’un edificio comunale da adibire a casa di cura in quel di San Demetrio Corone – una tangente d’oltre 60 mila euro – ma l’imprenditore si sarebbe rifiutato, e, non senza paura, ha poi trovato il coraggio di denunciare tutto ai carabinieri che già da tempo stavano indagando.
Il fratello Semiasse, L’animale e Francesco Faillace – tutt’e tre interessati dall’odierna misura cautelare – sono invece accusati d’una tentata estorsione aggravata compiuta nel 2019 ai danni d’un altro imprenditore cassanese, il 45enne Mario Mignogna, cui avrebbero chiesto il “pizzo” garantendogli “protezione” su un suo cantiere attivo in lavori di pulizia della rete fognaria nel comune di Spezzano Albanese. Pure questo tentativo d’estorsione reso vano dal rifiuto della vittima e dalla successiva denuncia.
Sullo stesso Mignogna sarebbe tornato “alla carica” l’estate scorsa ‘U palumm, questa volta su un’altra attività dell’imprenditore, vale a dire il Lido Stella Maris sulla spiaggia del comune di Villapiana:
l’avrebbe minacciato per costringerlo a pagare una somma di denaro a titolo di “protezione” per lo stabilimento balneare.

Le accuse contro Finizia Pepe
La moglie di Semiasse, Finizia Pepe, è invece accusata d’essere stata, fino all’anno scorso, la “contabile” della supercosca, avendo pagato lo “stipendio” mensile pari 1.500 euro (poi aumentato a 2 mila) a un associato operante sulla piazza di Cosenza, il 46enne Gianluca Maestri, sia prima del suo arresto, sia dopo attraverso la compagna dello stesso affiliato:
dopo l’arresto di Maestri, infatti, lo “stipendio” verrà riscosso dalla compagna, che, ogni mese, sarebbe stata contattata via messaggio dalla Pepe, «perché si recasse a Cassano proprio per riscuotere quanto dovuto al compagno». Ed è proprio Maestri ad accusare la Pepe, dal momento che da alcuni mesi egli collabora con la giustizia…
La moglie di Abbruzzese Semiasse avrebbe infatti mantenuto i contatti tra vari membri del clan, fungendo da “ponte” nelle comunicazioni interne:
secondo i magistrati, quindi, «non una mera connivente, ma autrice e partecipe delle condotte nel tempo contestate al clan».
Per quanto riguarda l’aspetto della “contabilità” – dato per certo che le entrate economiche della cosca sono generate dal traffico di droga e dalle estorsioni – attraverso i carabinieri del Nucleo investigativo in forza al Comando provinciale di Cosenza, i magistrati hanno raccolto numerosissime intercettazioni tra Semiasse e la moglie mentre discutono di «somme di denaro, consegne, distribuzione delle somme», oltre a numerosissimi riferimenti espliciti a nomi, somme precise, e termini come «grammi» e «pacchi».

Finizia Pepe non solo «avrebbe scritto le indicazioni che gli venivano impartite, ma avrebbe partecipato ai conteggi, in perfetta conoscenza, consapevolezza e condivisione», secondo l’accusa.
La donna, quindi, non sarebbe stata solo una «addetta a trascrivere acriticamente nomi e numeri dettati dal compagno», ma avrebbe compreso «apertamente quanto stava accadendo», ben consapevole che quelli che venivano gestiti erano introiti del clan, destinati ai vari sodali e alle spese singole e collettive, come quelle delle parcelle da corrispondere agli avvocati per difendersi nei processi.
Tra le accuse mosse alla moglie del boss, anche quella d’avere trasmesso comunicazioni e messaggi tra i componenti la cosca:
attraverso l’esame incrociato tra i dialoghi della coppia, le telefonate della donna e i movimenti dell’uomo, gl’inquirenti hanno infatti compreso come «Abbruzzese si muovesse ed incontrasse gli altri correi in appuntamenti che venivano organizzati dalla donna». direttore@altrepagine.it