Il 33enne si sarebbe suicidato in cella nel penitenziario di Taranto. Proprio ieri era stato nuovamente interrogato e aveva ritrattato tutto

Talvolta si fa presto a dire «pentito». Molti, infatti, a Corigliano-Rossano l’hanno certamente pensato e detto, leggendo l’edizione di AltrePagine di sabato 10 giugno scorso. Nella cui cronaca passavamo in rassegna i verbali dei due recenti interrogatori cui era stato sottoposto in carcere il 33enne coriglianese Francesco Cufone (foto).

Il giovane era detenuto dal 6 dicembre dell’anno scorso perché indagato dalla Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri, unitamente ad altri coriglianesi anch’essi finiti in carcere lo stesso giorno, per detenzione e traffico di cocaina e detenzione ed occultamento d’un arsenale d’armi. 

In mattinata aveva sentito la compagna al telefono

Nella tarda mattinata odierna Cufone non ha retto al peso di dover ancora rimanere in carcere chissà per quanto. Così avrebbe deciso di farla finita:

gli agenti della polizia penitenziaria l’hanno trovato impiccato nella cella del carcere di Taranto dove si trovava dallo scorso mese di marzo. Si sarebbe suicidato, poco dopo aver sentito al telefono la propria attuale compagna. Cufone lascia due bambini, avuti dalla moglie dalla quale era legalmente separato.

L’inchiesta della Procura Antimafia

L’occultamento della “Santabarbara” di cui Cufone era accusato assieme ad altri, venne scoperto dai carabinieri del Reparto territoriale nei primi giorni d’agosto dell’anno scorso, che la sequestrarono all’interno d’un casolare abbandonato in contrada Fabrizio di Corigliano-Rossano.

Le armi ritrovate ad agosto scorso dai carabinieri

In quell’arsenale v’erano pure la pistola e la mitraglietta calibro 7,65 con le quali, la sera del 3 maggio precedente, in un agguato di ’ndrangheta, fu ammazzato il pregiudicato 57enne coriglianese Pasquale Aquino detto ‘U spusato nei pressi della sua abitazione alla Marina di Schiavonea di Corigliano-Rossano.

Sono in 5 ad essere chiamati a rispondere del fatto di sangue, e qualcuno pure del tentato omicidio d’un altro pregiudicato del luogo, il 39enne Cosimo Marchese detto “Il diavolo” vittima d’un attentato a colpi di fucile caricato a pallettoni (anch’esso tra quelle armi) la sera del successivo 1° giugno in contrada Pirro Malena a due passi da casa sua.

Tra i 5 però il nome di Cufone non figurava nell’ordinanza applicativa delle misure cautelari richiesta dalla Procura, spiccata dal giudice per le indagini preliminari catanzarese Giuseppe De Salvatore ed eseguita il 6 dicembre dai carabinieri che avevano condotto le indagini “sul campo”.

I due interrogatori di marzo ed aprile e le accuse ai co-indagati

Verso la fine dello scorso inverno, Cufone aveva richiesto d’essere sentito dai magistrati antimafia. Il suo possibile “pentimento”, la sua collaborazione con la giustizia, era soltanto “andata in scena”, il 6 marzo e il 4 aprile scorsi. Quando, cioè, Cufone venne sentito e interrogato dai magistrati inquirenti.

Incalzato dalle domande, soprattutto in merito all’omicidio Aquino e al tentato omicidio Marchese, l’indagato aveva raccontato ciò di cui aveva sostenuto d’essere a conoscenza.

E aveva accusato alcuni degl’incriminati tanto per il fatto di sangue quanto per quello mancato. Sul tentato omicidio aveva persino dato in pasto ai magistrati il nome di quello che aveva detto essere stato il secondo componente del commando.

Il dramma umano, la paura, il terrore. Fino alla tragedia

Nei due mesi e dieci giorni trascorsi dal suo secondo interrogatorio, nella mente di Cufone dev’essersi scatenato un drammatico, perverso meccanismo. La paura di possibili ritorsioni della ‘ndrangheta a causa delle sue dichiarazioni accusatorie, a un certo punto dev’essere diventato terrore vero e proprio.

Perciò aveva richiesto d’essere nuovamente sentito da magistrati. L’intenzione, maturata durante giornate terribili e nottate affollate dagl’incubi, era quella di ritrattare tutto.

Cufone era stato interrogato proprio ieri mattina, in video-collegamento proprio dal carcere tarantino. E aveva difatti ritrattato ognuna delle accuse che aveva mosso nei confronti degli altri indagati. Dopo 24 ore, il tragico epilogo. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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