I “misteri” dello smartphone lasciato nel negozio del suo amico, che il 9 agosto è stato tempestato di telefonate e di messaggi dei familiari allarmati

CORIGLIANO-ROSSANO – È possibile che Carmine Morello conoscesse bene il posto in cui è stato attirato nella trappola mortale, ma è ipotizzabile anche l’esatto contrario, vale a dire che non lo conoscesse affatto.

Può darsi che c’era stato altre volte, per appuntamenti riservati e lontani da orecchie ed occhi indiscreti, magari per questioni poco o per nulla “pulite”, ma può darsi che la mattina del 9 agosto sia stata la prima, unica ed ultima volta che il pregiudicato 49enne rossanese s’è imboscato in quella desolata zona di campagna di contrada Stranges, lungo la strada che, confinante con Mirto-Crosia e costeggiando il fiume Trionto, dal Rossanese di Corigliano-Rossano conduce a Cropalati.

Dove i carabinieri, domenica scorsa, dopo 26 giorni, hanno trovato la sua motocicletta, e, soprattutto, il suo cadavere decomposto e crivellato a colpi d’arma da fuoco. 

La Via Crucis ‘ndranghetista “immortalata” dalle telecamere di video-sorveglianza sulla 106?

Nell’ipotesi che non conoscesse il posto, è probabile che ’U Righiarar, partendo dalla Strada statale 106 ov’è ubicata la rivendita di moto del suo amico e dove ha lasciato il suo smartphone dicendogli che sarebbe tornato dopo una decina di minuti prima d’allontanarsi, in sella alla sua enduro abbia poi seguito qualcuno, che lo precedeva con un altro mezzo e che l’ha condotto fin lì per incontrare segretamente quell’altro “qualcuno” che altri non era che il suo sicario, o i suoi sicari.

Il luogo esatto da cui Morello quel giorno è partito prima d’essere ammazzato

Per questo assumono grande rilevanza le registrazioni degl’impianti di video-sorveglianza presenti lungo la Statale jonica, di quell’inconscio tragitto di Morello verso l’esecuzione della sua condanna a morte preventivamente decretata da chi ha deciso, attraverso quella macabra e per niente cristiana Via Crucis, di rimandarlo al Creatore.

Un omicidio “significativo” per dare il segno del rinnovamento in seno alla ‘ndrina?

Morello ha pagato con la vita chissà quale “colpa” e quale ipotetico “sgarro” perpetrato ai suoi ex sodali di ’ndrangheta come lui condannati nel maxi-processo “Stop” e/o ai nuovi ‘ndranghetisti che nel frattempo si sono imposti con prepotenza e maggior forza nel Rossanese. Dichiarando chiusa la “fase di passaggio e rigenerazione” dalla ’ndrina Acri, quella che per un ventennio è stata governata col pugno di ferro, e direttamente, dall’oggi “pentito” Nicola Acri, l’oramai ex superboss dagli Occhi di ghiaccio, che, dopo un decennio trascorso in regime di carcere duro al 41-bis e con un ergastolo già in curriculum, da oltre due anni collabora coi magistrati dell’Antimafia.

In questo senso l’omicidio Morello potrebbe voler significare molto nel Rossanese, al netto della “caratura” del personaggio, che dalle aule di giustizia uscì condannato a 6 anni e otto mesi come associato a quella ’ndrina per i suoi reati-fine, quindi in qualità di “gregario”, ma assolto dal reato più grave che gli veniva contestato per quegli anni criminali, vale a dire il tentato omicidio del boss che all’allora strapotere di Occhi di ghiaccio s’opponeva, Antonio Manzi Tom tom

Pagato il proprio conto alla giustizia dietro le sbarre del carcere, ‘U Righiarar da qualche anno era tornato libero.

La caserma sede del Reparto territoriale dell’Arma, i cui detective conducono le indagini

Le stranezze dello smartphone lasciato dall’amico delle moto

La mattina di 28 giorni fa era per Morello un giorno come un altro, coi suoi soliti giri di routine dal barbiere, dall’amico lavaggista e poi dall’amico rivenditore di motociclette, ovviamente come lui appassionatissimo delle due ruote.

Una calda mattinata d’agosto inframezzata da quell’appuntamento “importante”, forse arrivato come un fulmine a ciel sereno o che forse gli era già stato preannunciato con l’inganno nei giorni precedenti. Ricevuto il messaggio di conferma e la raccomandazione d’andare senza telefono per evitare eventuali intercettazioni (ma forse soprattutto “localizzazioni”), Morello è montato sulla sua Yamaha XT ed è partito per quel suo ultimo, breve, viaggio. E da quel momento nessuno l’ha più visto, eccezion fatta per i suoi assassini. 

Passata l’ora di pranzo le sue tre figlie, già orfane di madre dallo scorso mese di gennaio, hanno cominciato a tempestarlo di telefonate e di messaggi WhatsApp, ma nessuno ha mai risposto o visualizzato sul display di quello smartphone lasciato nella rivendita di moto dell’amico. 

Era in modalità “silenziosa”? E il display non s’è “illuminato”? 

Comunque sia, ne è seguito un giro di telefonate, e le figlie ed altri familiari, allarmati, sarebbero poi venuti in possesso dell’apparecchio. Conoscendo il codice di “sblocco” sarebbero riusciti a leggere pure la messaggistica, dalla quale però non sarebbero emersi messaggi “particolari”, oltre a quelli degli stessi familiari, d’amici e membri del “gruppo” WhatsApp dei motociclisti che Morello frequentava. 

Il messaggio “particolare” (ne abbiamo riferito nell’edizione di ieri), poi scovato dai detective dell’Arma diretti dal tenente colonnello Marco Filippi, dopo avere ricevuto la formale denuncia di scomparsa col conseguente sequestro dello smartphone, forse Morello l’aveva “archiviato”, se non addirittura cancellato, ma gl’investigatori l’hanno “recuperato”.

Da quale telefono era partito, e, soprattutto, chi l’aveva inviato?

Se non è un “Sms”, ma un messaggio trasmesso da un servizio di messaggistica generato dalla rete di Internet, gli smartphone spesso non s’avvalgono dei cosiddetti “Ip statici” bensì di quelli “dinamici”, e ciò vuol dire che l’identificazione della connessione è difficile dal momento che la sua “carta d’identità” è variabile. Difficile ma non impossibile, però, che le indagini potranno riuscire ad appurare il mittente.  

Il Tribunale di Castrovillari

Entro domattina, saranno i magistrati della Procura presso il Tribunale di Castrovillari a conferire gl’incarichi a un medico legale e ad un consulente balistico per l’autopsia, da cui emergeranno con esattezza il numero e il calibro dei colpi d’arma da fuoco sparati contro ’U Righarar, e il tipo o i tipi d’arma usati. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com