CORIGLIANO-ROSSANO – Dei 13 morti ammazzati di ‘ndrangheta che hanno insanguinato in lungo e in largo la Piana di Sibari negli ultimi 5 anni, Leonardo Portoraro, che fu il primo, era di gran lunga il personaggio più “importante”.

Per gli amici Compa Narduzzu, per i nemici Giornalu favuzu

Leonardo Portoraro aveva 63 anni d’età, era di Cassano Jonio e cassanese doc, anche se nelle tantissime cronache di nera e di giudiziaria che per qualche decennio l’avevano riguardato, era presentato come il boss di Francavilla Marittima, il paese pedemontano che guarda all’Alto Jonio in cui aveva trasferito il proprio domicilio e i suoi interessi criminali, non tutti, ma almeno una parte.

Chi lo conosceva e lo frequentava, lo chiamava confidenzialmente Compa Narduzzu. In quelli che erano i suoi ambienti di compari, amici e amici degli amici, Compa Narduzzu aveva però anche dei nemici che gli avevano affibbiato uno spregiativo soprannome: Giornalu favuzu (giornale falso), per il doppiogiochismo che lo caratterizzava.

Gli antichi agguati scampati, le condanne e la galera. Una volta libero, era però “ingombrante”

Negli anni della prima guerra di ‘ndrangheta della Sibaritide era riuscito a scampare più d’una volta alla morte cui i suoi nemici del tempo lo volevano destinare. Poi anche per lui giunse il tempo del carcere, dei processi e delle condanne.

Una volta tornato libero, in quella geografia ‘ndranghetista molto cambiata da come lui l’aveva lasciata, e piuttosto “svecchiata”, rivendicava comunque il proprio spazio e il proprio ruolo, e, per la sua “caratura”, un ruolo importante e di primo piano.

Il suo tempo però era inesorabilmente passato e la sua ingombrante presenza unita all’ingerenza in “affari” che non erano più suoi, era diventata oramai intollerabile.

Così, la mattina del 6 giugno 2018, venne trucidato a raffiche di kalashnikov e a colpi di pistola da un commando di sicari che a bordo di un’Audi A3 piombò all’improvviso tra i tavolini del “Tentazioni” di Villapiana Lido, il locale di famiglia di Portoraro che se ne stava seduto lì, tranquillo, davanti a una bibita fresca.

Sul primo ed “eccellente” omicidio della nuova stagione di sangue e di terrore nella Sibaritide, il fascicolo d’inchiesta dei magistrati della Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro è tuttora aperto e finora a carico d’ignoti.

Il cordoglio del boss ergastolano Dentuzzu, che il giorno dopo indossò l’abito buono

Il giorno successivo all’omicidio di Portoraro, il 7 giugno del 2018, Franco Abbruzzese detto Dentuzzu, oggi 53enne, mammasantissima cassanese della ‘ndrangheta sibarita definitivamente condannato all’ergastolo, nel penitenziario di Terni dov’è detenuto in regime di “carcere duro” al 41-bis, ebbe un colloquio con alcuni suoi familiari.

Da più di 15 anni distante molti chilometri dalla Sibaritide, il capo carismatico del clan degli zingari si mostrò dispiaciuto per quel ch’era accaduto 24 ore prima al vecchio padrino.

Secondo i carabinieri, che assistevano con discrezione a quel colloquio carcerario, la sua fu tutta una recita:

«Fategli fare una corona. E se andate al funerale e vedete la moglie, il figlio, fategli le condoglianze da parte mia».

Il boss Franco Abbruzzese

Dentuzzu definì il defunto boss «una persona onesta: durante i processi ha sempre detto di non aver mai avuto problemi con me», dicendosi «dispiaciuto» della notizia appresa dal telegiornale.

I carabinieri annotarono l’abbigliamento di Abbruzzese: un completo scuro.

C’erano stati altri colloqui in precedenza coi suoi familiari, fin dal 4 maggio del 2018, e Dentuzzu non s’era mai abbigliato in modo così «elegante».

Per i magistrati dell’Antimafia catanzarese, quello fu «un chiaro e preciso messaggio di supremazia del suo clan e anche di festa indirizzato all’interno dell’istituto penitenziario nonché ai parenti che di certo avrebbero divulgato l’atteggiamento di “Dentuzzu” nel territorio della Sibaritide».

Purtuttavia, almeno finora, non è emerso alcun collegamento diretto in termini di responsabilità degli zingari nell’omicidio Portoraro. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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