Il colpo di scena stamane durante l’udienza del processo: i tre avevano dapprima accusato e poi in dibattimento clamorosamente ritrattato

CASTROVILLARI – Colpo di scena in aula, stamane, nel Tribunale di Castrovillari dove è in corso di svolgimento il processo a carico di 6 coriglianesi – Giuseppe De Patto detto ‘U mapputu di 32 anni, Giovanni Arturi detto ‘A vozza di 42, Davide Lagano di 30, Luigi Sabino di 46, Giuseppe Sammarro detto ‘U cardillu di 54, e Filippo Solimando di 53 (foto) – tutti puripregiudicati ed imputati d’associazione per delinquere dinanzi ai giudici del collegio penale presieduto da Anna Maria Grimaldi (a latere Orvieto Matonti e Rosamaria Pugliese).

Si tratta del processo denominato nientepocodimenochè proprio “Tribunale”, perché – secondo le accuse dei magistrati della Procura castrovillarese – alcuni degl’imputati sarebbero stati adusi a convocare un tribunale parallelo a quelli in cui s’amministra la giustizia dello Stato, un “tribunale” con un “presidente” incarnato dal boss di ‘ndrangheta Filippo Solimando ed i suoi “giudici a latere”, ch’era chiamato a valutare le condotte di quei soggetti resisi responsabili di reati predatori senza preventiva autorizzazione. 

Da quei processi sommari sarebbero scaturite diverse “sanzioni” comminate ai diversi componenti d’una banda di delinquenti operante nello Scalo coriglianese, vittime di violente aggressioni fisiche, anche con armi, nel tentativo d’imporre un capillare controllo “centralizzato” sui reati contro il patrimonio. 

Quelli appartenenti al gruppo “autonomo” dello Scalo sono ovviamente anch’essi imputati, ma in un altro processo scaturito dalla medesima indagine. Condotta dai carabinieri di Corigliano tra il 2013 e il 2014, che arrestarono in flagranza di reato 9 dei 21 soggetti complessivamente finiti a processo. 

L’inchiesta aveva fatto emergere ben 8 episodi di ritenuta natura estorsiva ai danni d’imprenditori del luogo, e due rapine in danno di un’anziana donna e d’un altro anziano.

La richiesta del pubblico ministero Iannotta accolta dalla presidente Grimaldi

Nell’udienza di stamane, il pubblico ministero Antonino Iannotta che nel processo rappresenta la pubblica accusa, ha formulato alla presidente Grimaldi la richiesta d’acquisire agli atti due verbali di sommarie informazioni testimoniali, resi proprio tra il 2013 e il 2014, rispettivamente da due delle parti offese individuate dalla Procura e da uno degl’imputati nel secondo filone del processo. 

Si tratta di tre soggetti che durante le scorse udienze erano stati citati a testimoniare in dibattimento, ma che, anziché confermarle, avevano clamorosamente ritrattato le accuse sferrate durante la fase delle indagini.

Il pm Iannotta, senz’alcun dubbio da parte sua, ha quindi denunciato ai giudici che i tre soggetti sarebbero stati «minacciati» proprio nel corso del processo e prima della loro citazione in aula sul banco dei testimoni.

Senza tanti fronzoli, il magistrato requirente ha dunque sollecitato l’acquisizione dei loro primi verbali a norma del quarto comma dell’articolo 500 del codice di procedura penale (“Quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinchè non deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento e quelle previste dal comma 3 possono essere utilizzate”)

E la presidente del collegio giudicante Grimaldi, in perfetta “linea” col pm, ha disposto l’acquisizione dei verbali contenenti le originarie dichiarazioni di natura accusatoria di Giorgio Giuranna e Fortunato Elia Giuranna (padre e figlio e parti offese nel processo), e del 45enne Alessandro Sposato detto Giacchettella, quest’ultimo tra gl’imputati del secondo filone del processo.  

L’indagine dei carabinieri ha fatto scaturire due processi

Al centro dell’inchiesta dei carabinieri che ha condotto ai due collegati processi, un “rosario” d’estorsioni, furti, rapine, danneggiamenti e tant’altro. Persino l’incendio appiccato all’autovettura d’un appuntato degli stessi carabinieri che stavano indagando avvalendosi anche d’intercettazioni telefoniche e video-ambientali.

Insomma, è il processo alle ritenute leve criminali coriglianesi cresciute all’ombra del boss ‘ndranghetista Solimando, finito tra le sbarre nel febbraio del 2015 nell’operazione anti-‘ndrangheta “Gentlemen”, da allora detenuto in regime di “carcere duro” al 41-bis dove sta scontando la sua definitiva condanna a 20 anni per associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga su scala intercontinentale. 

Il quadro delineato dall’inchiesta si fonda sulle risultanze ottenute dall’attività d’intercettazione, dalle testimonianze e dalle denunce delle vittime, corroborate dai riscontri nell’ambito di numerosi servizi d’osservazione e pedinamento compiuti dai militari in forza alla Sezione operativa dell’Arma coriglianese. Qui v’erano due gruppi criminali contrapposti, quello del centro storico e quello dello Scalo: 

il primo costituito dai volti storici della criminalità locale e caratterizzato da una maggiore caratura delinquenziale rispetto all’altra banda, composta invece da ragazzi di giovane età. 

Gli elementi di prova raccolti in sede d’indagine hanno consentito di dimostrare come il sodalizio del centro storico operasse sulla base d’un programma criminoso volto alla realizzazione d’una serie indefinita di delitti contro la persona ed il patrimonio, evidenziando una struttura associativa stabile, con una netta e delineata distribuzione dei compiti tra i vari sodali. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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