La pena più alta al ritenuto boss di ‘ndrangheta Giovanni Chiaradia: 4 anni, cinque mesi e dieci giorni. Agli altri due imputati 4 anni ciascuno, ma per tutt’e tre c’è l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e 2 anni di libertà vigilata una volta espiata la pena

CASTROVILLARI – Tutt’e tre condannati. L’hanno deciso i giudici del Tribunale di Castrovillari (presidente Giusy Ferrucci, a latere Gabriele Antonaci e Luca Fragolino) nei confronti del 56enne coriglianese Giovanni Chiaradia, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa (nella foto a sinistra), del fratello 49enne Piero Francesco Chiaradia, pregiudicato per traffico di sostanze stupefacenti (a destra), e del 30enne Marco Bonafede, anch’egli coriglianese e volto noto negli ambienti investigativi di Corigliano-Rossano oltre che in quelli giudiziari.

Il processo, istruito dalla Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro rappresentata dal pubblico ministero Alessandro Riello, è quello relativo al maxi-incendio doloso aggravato dal metodo mafioso nei capannoni della “Socas Srl”, la nota azienda di Corigliano-Rossano attiva nel soccorso stradale e con annesse autocarrozzeria, autofficina e depositeria giudiziaria accreditata, ubicata in contrada Fabrizio a ridosso della Strada statale 106 jonica a pochissima distanza dalle stesse abitazioni dei tre imputati.

A Giovanni Chiaradia i giudici hanno inflitto 4 anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione, al fratello Piero e a Bonafede 4 anni di reclusione ciascuno. A tutt’e tre, il collegio penale ha applicato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni ciascuno e la misura di sicurezza della libertà vigilata per 2 anni dopo l’espiazione della pena.

Non solo:

il terzetto è stato altresì condannato a risarcire i danni subiti dalla vittima, da quantificarsi in separata sede di giudizio civile, che s’aggirerebbero intorno al mezzo milione di euro.

Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni dalla data del dispositivo di sentenza, ch’è stato emesso al termine dell’udienza tenutasi martedì 17 ottobre scorso.

Il boss alla fine ha confessato e chiesto scusa alla vittima e ai giudici

Giovanni Chiaradia, che la Procura Antimafia catanzarese ritene uno dei boss della ‘ndrangheta coriglianese, prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, ha chiesto di potere rendere spontanee dichiarazioni, attraverso le quali ha confessato d’avere ordinato lui il maxi-incendio e formulato le proprie scuse tanto alla vittima quanto ai giudici.

Il Tribunale di Castrovillari

La drammatica serata del 24 maggio 2022 e l’arresto dei Chiaradia due mesi dopo

Il plateale maxi-rogo alla “Socas” scoppiò la sera del 24 maggio dell’anno scorso. I fratelli Chiaradia erano stati arrestati dopo un paio di mesi di serrate indagini da parte dei carabinieri. La mattina dell’8 agosto dell’anno scorso, su ordine del giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Matteo Ferrante, cui il pm Riello aveva avanzato la richiesta d’emissione delle misure cautelari, gl’investigatori del Reparto territoriale dell’Arma gli avevano stretto le manette ai polsi per tradurli nel carcere di Cosenza, ove adesso è detenuto il solo Giovanni Chiaradia, mentre il fratello Piero da alcuni mesi si trova agli arresti domiciliari per motivi di salute incompatibili col regime carcerario. 

Bonafede era invece rimasto indagato a piede libero, dal momento che il gip Ferrante aveva rigettato la richiesta di misura cautelare in carcere richiesta dal pm Riello anche nei suoi confronti.

Marco Bonafede

La ricostruzione dei carabinieri e dell’Antimafia

Secondo la ricostruzione investigativa dei fatti che hanno portato al maxi-rogo doloso appiccato nei capannoni e sul piazzale della “Socas” del noto imprenditore Tonino Sisca e dei suoi familiari, la “scintilla” incendiaria sarebbe scoccata allorquando Sisca avrebbe detto «no» a Giovanni Chiaradia che gli aveva chiesto di riparargli «immediatamente» la carrozzeria della propria auto,mentre la gran mole di lavoro dell’autocarrozzeria e gl’impegni già assunti con altri clienti, al titolare non l’avrebbe consentito. Sisca, infatti, avrebbe rinviato la riparazione al lunedì successivo.

Per questo, Chiaradia avrebbe avuto una reazione stizzita e nei giorni successivi avrebbe manifestato al fratello i suoi propositi di «castigare» il titolare dell’officina.

La vittima Tonino Sisca

I Chiaradia erano già sotto intercettazione nell’indagine per un omicidio di ‘ndrangheta

I fratelli Chiaradia erano già sotto intercettazione – telefonica e telematica – da parte degli stessi carabinieri, in relazione a ben altra e più importante indagine, quella relativa all’omicidio di stampo ‘ndranghetista del pregiudicato 57enne coriglianese Pasquale Aquino, ucciso a colpi di pistola la sera del 3 maggio precedente davanti alla sua abitazione alla Marina di Schiavonea sempre a Corigliano-Rossano.

Dagli atti d’accusa emerge, infatti, che ogni movimento dei Chiaradia era monitorato dai detective dell’Arma:

nei pressi delle loro abitazioni pullulavano le telecamere a circuito chiuso fatte installare proprio dalla Procura Antimafia. E proprio ciò aveva consentito agl’investigatori di trovare ogni tipo di riscontro in merito alla ritenuta loro responsabilità nell’incendio alla “Socas”.

La sede di Comando del Reparto territoriale dei carabinieri di Corigliano-Rossano

Sarebbero stati gli stessi fratelli Chiaradia a preparare le bottiglie incendiarie, prelevando la benzina da un’auto nella loro stessa disponibilità, ed ancor prima ad effettuare una serie di sopralluoghi sul retro dei capannoni di contrada Fabrizio, distanti soltanto due chilometri dalle loro stesse case, a bordo d’una Fiat Punto.

Tutto video-ripreso e registrato dalle telecamere, tanto quelle della “Socas” quanto quelle dei carabinieri presso le loro abitazioni. Altri sopralluoghi, come documentato dai filmati, sarebbero stati effettuati da una persona non identificata a bordo d’una motocicletta e col capo coperto dal casco, con ogni probabilità lo stesso Marco Bonafede, imparentato coi due fratelli Chiaradia ed accusato d’essere stato l’autore materiale del maxi-rogo alla “Socas”.

Incastrati dal “Dna” di Bonafede

I tre imputati sono stati incastrati dalla prova del “Dna”, essendo emerso nel processo che sul luogo del delitto Marco Bonafede aveva perso un auricolare sul quale sono state rinvenute le sue tracce biologiche.

L’imprenditore vittima dell’incendio di stampo mafioso s’era costituito parte civile in giudizio, con l’avvocato Rocco Berardi del foro di Castrovillari. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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