Stamane è finito in carcere per estorsione e incendi mafiosi il ritenuto boss ‘ndranghetista di Schiavonea Aldo Abbruzzese assieme a un suo “operaio” marocchino

CORIGLIANO-ROSSANO – Quando ai “signori” della ‘ndrangheta è giunto lo “spiffero” che Franco Gattuso aveva ottenuto un cospicuo finanziamento di 80 mila euro per installare un moderno impianto d’energia fotovoltaica coi pannelli solari su un terreno di sua proprietà, gli esattori del “pizzo” avrebbero cominciato a farsi avanti.

È questa la ricostruzione fatta dagli esperti detective dell’Arma dei carabinieri di Corigliano-Rossano, coordinati nella loro ultima difficile indagine dai magistrati della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro.

Un’inchiesta scattata a seguito del primo dei due gravi atti intimidatori ai danni della figlia del 70enne, Ida, 44 anni, già consigliera e vicepresidente del Consiglio comunale dell’oramai estinta città di Corigliano.

I due attentati incendiari contro le auto di Ida

Proprio a Ida il 17 ottobre dell’anno scorso incendiarono nottetempo la prima auto sotto casa, in Via Alassio alla Marina di Schiavonea. Già, la prima, perché il 15 dicembre – nemmeno due mesi dopo – sempre di notte e sempre sotto casa, le incendiarono pure la vettura che aveva acquistato per sostituire quella che le mandarono completamente carbonizzata.

Ida Gattuso

Le indagini sui due roghi, in un primo momento, avevano imboccato una “pista sbagliata”, vale a dire quella di un’ipotizzata vendetta di natura privata indirizzata alla donna. Una “cosa personale”, insomma.

I pompieri sotto casa della vittima

Un’indagine “approfondita”

Invece, l’acume investigativo degli uomini diretti dal tenente colonnello Marco Filippi ha fatto sì che dietro a quei due episodi si scavasse di più e a fondo. E la “cosa”, da “personale” è divenuta “familiare”.

Un’indagine difficoltosa perché costellata da omissioni e reticenze proprio nella famiglia Gattuso.

Fino all’esecuzione, avvenuta stamane, dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, Chiara Esposito, su richiesta del procuratore antimafia facente funzioni Vincenzo Capomolla, del suo aggiunto Giancarlo Novelli e del sostituto Stefania Paparazzo, nei confronti del pluripregiudicato Aldo Abbruzzese, 51 anni, già condannato per associazione mafiosa e ritenuto l’attuale boss di Schiavonea, e d’un suo “operaio”, il 43enne di nazionalità marocchina Mustaphà Hamil.

Entrambi sono accusati d’estorsione aggravata dal metodo mafioso e dei due incendi d’auto di cui è stata vittima Ida Gattuso, il cui mandante sarebbe stato Abbruzzese, e autore, ovviamente, l'”operaio” marocchino.

Aldo Abbruzzese

Così sono finiti tutti intercettati, compresa la vittima

A ottobre, nella sua prima denuncia ai carabinieri, Ida Gattuso riferiva di non avere ricevuto «alcuna minaccia o richiesta di denaro».

A dicembre, invece, la stessa manifestava il sospetto che l’atto intimidatorio fosse «da ricondurre ad Aldo Abbruzzese, soggetto di nota caratura criminale nel territorio di Schiavonea».

E quel sospetto era legato a uno “spiffero” ricevuto, che riguardava «una richiesta di Abbruzzese a mio padre, Francesco Gattuso, di un pagamento di 3 mila euro sin dalla scorsa estate».

Da qui, carabinieri e Antimafia hanno fatto scattare un’attività d’intercettazione telefonica e ambientale, oltre alla classica attività d’osservazione e di pedinamento finalizzata alla ricerca dei riscontri sui soggetti coinvolti. E proprio da una delle tante telefonate captate emergerebbe l’avvenuto pagamento della richiesta estorsiva da parte d’un soggetto chiamato Il tedesco.

Non solo. Sì, perché proprio durante la mattinata successiva all’incendio dell’auto di metà dicembre, i carabinieri si recarono nell’abitazione del marocchino Mustaphà per una formalità, un’identificazione in relazione a un’altra indagine, e dal suo smartphone era “spuntata una chiamata in ingresso alle ore 00:35 del 16 dicembre 2023, della durata di 16 secondi, proveniente da un’utenza in uso ad Aldo Abbruzzese.

Inoltre, durante un incontro tra Abbruzzese e Mustaphà, il primo si preoccupava di quanto accaduto:

«Ora dobbiamo fare solo una cosa, ora ci dobbiamo ritirare un po’».

«Bravo!».

Poi Abbruzzese disse:

«Tremila euro mi deve dare da un anno… calcola… ora siamo a dicembre… da luglio dell’anno scorso, gli ho fatto il favore… tremila euro per loro sai cosa sono? Una sigaretta…».

«Si per loro è normale…».

«Che lui ha sospettato di me… che lui se lo sospetta che sono stato io …fin quando sono sospetti, te li tieni, tu puoi pensare quello che vuoi è la parola tua contro la mia… con questa ora è un’altra risposta, con questa siamo apposto…».

Rino Gattuso, il campione del mondo di calcio ed attuale allenatore dell’Olimpique Marsiglia, era preoccupato per le intimidazioni alla sorella e per la situazione che s’era creata attorno alla propria famiglia.

Rino Gattuso

«Questa storia solo lui la poteva risolvere e nessuno più»

Da quanto le indagini hanno fatto emergere, sarebbe stato proprio l’ex calciatore a mandare in Calabria un suo caro amico – proprio il 49enne Salvatore Pipieri detto Il tedesco – a pagare la “mazzetta”. La circostanza emerge dagli atti giudiziari, e, in particolare, dalle intercettazioni telefoniche cui era ovviamente sottoposta pure Ida Gattuso:

«Questa storia solo lui la poteva risolvere e nessuno più».

Ciò mentre il padre, Franco Gattuso ha sempre negato d’avere mai ricevuto richieste estorsive, addebitando gli atti incendiari subiti dalla figlia proprio alle supposte «questioni personali» da cui erano partite le indagini.

La consegna dei soldi da parte del “tedesco” in un bar

Pure la consegna della “tangente” è stata riscontrata dai carabinieri, che lo scorso 10 gennaio hanno trovato Aldo Abbruzzese in possesso di 2.330 euro poco dopo l’incontro fissato per la consegna avvenuta in un bar, e glieli hanno sequestrati.

Secondo gl’inquirenti si sarebbe trattato del secondo pagamento effettuato da Pipieri Il tedesco (due “rate” da 1.500 euro l’una), il quale in quest’ultima occasione era assieme all’amico Pasquale Garasto e proprio quest’ultimo avrebbe materialmente effettuato la consegna all’interno del bar.

Su quest’ultimo punto, però, il difensore di Abbruzzese, l’avvocato Andrea Salcina, fa sapere che proprio qualche giorno fa, i giudici del Tribunale del riesame di Cosenza hanno annullato il sequestro della somma ch’era stata addebitata al reato di ricettazione.

Abbruzzese e Mustaphà – quest’ultimo è difeso dall’avvocato Francesco Paolo Oranges – da stamane si trovano ristretti nel carcere di Cosenza. Nei prossimi giorni saranno interrogati dal giudice che ne ha ordinato gli arresti. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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