Stamane in Corte d’Assise è stata chiamata a testimoniare una delle figlie dell’allevatore imputato d’essere stato complice dei killer 

COSENZA – Il 57enne allevatore incensurato di Cassano Jonio Francesco detto Franchino Adduci, è accusato dal pubblico ministero della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, Alessandro Riello, d’essere stato il “basista” per consumare il duplice omicidio di ‘ndrangheta compiuto il 4 aprile del 2022 in una zona di campagna al confine tra i comuni di Cassano Jonio e Castrovillari, quando furono ammazzati il 57enne pregiudicato cassanese Maurizio Scorza detto ‘U cacagliu, e sua moglie, la 38enne di nazionalità tunisina Hanene Hedhli detta Elena.

Per il pm dell’Antimafia, Adduci avrebbe «attirato con l’inganno Maurizio Scorza all’interno del proprio podere, dove poi quest’ultimo trovava ad attenderlo i propri sicari».

I killer della coppia non hanno ancora volti nè nomi, così pure i mandanti.

Franchino Adduci

Stamane, dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Cosenza (presidente Paola Lucente, a latere Francesca De Vuono), il rappresentante la pubblica accusa e i difensori dell’imputato (gli avvocati Cesare Badolato e Giancarlo Greco) hanno dapprima ascoltato un’intercettazione telefonica datata 6 aprile 2022 – due giorni dopo il duplice fatto di sangue – tra Adduci e una delle sue figlie.

Nella conversazione captata dai carabinieri su disposizione della Procura Antimafia, si parlava del non funzionamento delle telecamere di videosorveglianza installate nella masseria di Adduci in contrada Gammellone di Castrovillari.

La Mercedes di Scorza in cui furono ritrovati il suo cadavere e quello della moglie

Proprio in merito a quella conversazione telefonica, oggi in aula è stata interrogata una delle figlie di Adduci:

«Il messaggio che dovevo portare a mia madre è che le videocamere c’erano ma non registravano. C’erano state perquisizioni a casa e mio padre era preoccupato;

papà mi aveva parlato dei guasti e dopo la perquisizione ci ricordava che le telecamere non funzionavano».

La presidente Lucente ha poi chiesto lumi alla teste in merito al contenuto della comunicazione che la stessa avrebbe dovuto dare a sua sorella e sua madre circa il non funzionamento delle telecamere.

«Mia sorella non era mai presente, e quindi dovevamo dirle che le telecamere non funzionavano».

E il pm Riello ne ha chiesto il motivo:

«Perché avrebbe dovuto ricevere questa informazione, avrebbe potuto rispondere che non sapeva. Perché questa esigenza di informare?».

La risposta della figlia dell’imputato:

«Mio padre non parlava molto con mia sorella perché lei studia a Cosenza, ha detto a me di dirlo a mia sorella e mamma per avvisarle. Mia sorella sapeva che un tempo funzionavano ma poi non ha saputo della presenza di un guasto e per questo andava informata».

L’avvocato Badolato:

«È lecito pensare che i carabinieri pensassero a delle telecamere funzionanti?».

«Si», ha risposto la teste.

Sempre il difensore di Adduci:

«Potevano pensare che qualcuno potesse aver eventualmente celato la registrazione?».

«Si», la risposta.

«Potevano pensare che potesse essere stato suo padre?».

Pure a questa domanda, la risposta è stata affermativa. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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