Inchiesta “Kossa”: Pasquale Forastefano “L’animale” s’è vista annullata dai supremi giudici la misura cautelare per alcuni capi d’imputazione
La Corte di di Cassazione, in parziale accoglimento del ricorso presentato dagli avvocati Pasquale Di Iacovo del foro di Castrovillari e Cesare Badolato del foro di Cosenza, ha annullato il provvedimento del Tribunale del riesame di Catanzaro, che lo scorso 26 marzo aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti del presunto nuovo capo-‘ndrangheta della Sibaritide, Pasquale Forastefano detto “L’animale”, 34 anni, di Cassano Jonio (foto).
Forastefano era stato arrestato lo scorso mese di febbraio assieme ad altre sedici persone, tutte accusate a vario titolo per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, illecita concorrenza con minaccia o violenza, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, violenza privata, trasferimento fraudolento di valori e truffa, reati tutti aggravati dal metodo e dall’agevolazione della stessa organizzazione mafiosa.
L’inchiesta del procuratore Gratteri e i reati contestati
Si tratta dell’inchiesta denominata “Kossa” – l’antico nome di Cassano Jonio – attraverso la quale la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri ha ricostruito l’attuale operatività della cosca di ‘ndrangheta facente capo alla famiglia Forastefano, che si sarebbe “rigenerata” penetrando nel tessuto economico dell’intera Sibaritide e in particolare nel settore agroalimentare e in quello dei trasporti.
Vittime del clan, secondo i magistrati, numerosi imprenditori, tra i quali pure i titolari di un’azienda agricola con sede nella provincia di Ferrara e di livello europeo che opera nel campo della commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli, il cui rappresentante legale, con riferimento alle attività imprenditoriali avviate dall’azienda ferrarese nella Sibaritide, è risultato vittima d’una lunga serie di vessazioni consistite in ripetute richieste in denaro per servizi di guardiania e arbitrarie maggiorazioni di corrispettivi contrattuali ottenute anche mediante minacce di ritorsioni.
Il clan sarebbe inoltre riuscito a subentrare direttamente nella gestione delle aziende tramite le imprese di riferimento e riconducibili agli esponenti del sodalizio ‘ndranghetista. Che, all’occorrenza, risolvevano le manifestazioni di sciopero con intimidazioni per ottenere il silenzio di coloro che osavano opporsi nell’interesse dei lavoratori.
La forza d’intimidazione del sodalizio criminale del clan Forastefano avrebbe anche generato un diffuso timore tra gli operatori commerciali e gl’imprenditori vittime d’estorsioni, per godere della “protezione” delle loro attività economiche e dei loro beni aziendali.
A fronte degl’imprenditori che, a differenza del passato, hanno denunciato le vessazioni subite, altri si sarebbero adeguati alle regole imposte dalla ‘ndrangheta, anche per programmare e consumare, avvalendosi delle società da questi gestite nel settore agricolo, sistematiche truffe ai danni dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e d’una società di lavoro interinale, con l’apparente rappresentazione di rapporti di lavoro fittizi, che divenivano truffaldine fonti di finanziamento del clan.
Le mire imprenditoriali dei Forastefano si sarebbero estese anche nel settore degli autotrasporti, monopolizzato grazie a un “cartello” di ditte che secondo gli investigatori sarebbero in realtà riconducibili, direttamente o indirettamente, al clan e sarebbero finalizzate all’acquisizione, spesso con la forza, delle commesse di altri operatori del settore. Un controllo asfissiante e totale del tessuto sociale ed economico della zona, reso possibile anche da una supposta pax mafiosa stipulata col clan cosiddetto “degli zingari”, storici rivali ai quali i Forastefano s’erano in passato contrapposti per il controllo criminale.
Nell’indagine “Kossa” Pasquale “L’animale” è ritenuto il capo dei Forastefano. Gli vengono contestati ben sedici capi d’accusa, che vanno dall’avere svolto il ruolo di dirigente del clan alle estorsioni, dall’illecita concorrenza imprenditoriale alla violenza privata, fino alla truffa ai danni dell’Inps e di un’agenzia di lavoro interinale.
Le mosse degli avvocati difensori
Il Tribunale del riesame di Catanzaro lo scorso 26 marzo aveva annullato la custodia cautelare per quattro capi d’accusa, confermandola per gli altri dodici. Contro tale decisione gli avvocati Di Iacovo e Badolato avevano presentato ricorso in Cassazione.
E all’esito dell’udienza tenutasi ieri a Roma, i supremi giudici della quinta sezione hanno annullato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame nella parte in cui aveva confermato la custodia cautelare per tre capi d’accusa che riguardavano il trasferimento fraudolento di denaro attraverso l’intestazione fittizia dell’azienda agricola di proprietà del 36enne di Spezzano Albanese Luca Talarico – anch’egli indagato e arrestato – e le estorsioni ai danni di un’azienda ortofrutticola e d’una ditta d’autotrasporti.
Pasquale Forastefano, assieme agli altri indagati, nelle prossime settimane sarà chiamato a difendersi dinanzi al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro. redazione@altrepagine.it
LEGGI ANCHE I NOMI | L’agricoltura della Sibaritide in pugno alla ’ndrangheta: 17 arresti