Il 50enne coriglianese sta scontando nel carcere romano di Rebibbia la propria condanna definitiva per 3 omicidi di ’ndrangheta compiuti tra il 2001 e il 2002. Diniego dei giudici nonostante il detenuto si stia distinguendo: s’è laureato in Legge e ha partecipato persino a un film dei registi Taviani premiato a Berlino

In carcere da quasi 13 anni, è detenuto nel braccio di alta sicurezza del carcere di Rebibbia, a Roma, dove sta scontando la sua condanna definitiva, a 22 anni e nove mesi di reclusione, nel maxiprocesso anti-‘ndrangheta “Timpone rosso”.

Sì, perché il coriglianese Fabio Falbo, che compirà 50 anni tra pochi giorni, il prossimo 4 aprile, secondo le risultanze processuali prese parte all’organizzazione di 3 omicidi di ‘ndrangheta.

Quelli di Giorgio Salvatore Cimino – padre dei collaboratori di giustizia Giovanni ed Antonio Cimino – ucciso nel maggio del 2001 all’interno del Roxy bar di Corigliano Scalo, e il plateale duplice omicidio di Giuseppe Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana, assassinati a marzo dell’anno successivo lungo la Strada statale 106 jonica che attraversa il Coriglianese in direzione Sibari.

“Lo scrivano di Rebibbia” attore in due film

Fabio Falbo, nel grande istituto penitenziario della Capitale è diventato un punto di riferimento per tutti gli altri detenuti. Il coriglianese, infatti, da anni è soprannominato “Lo scrivano di Rebibbia”. È l’addetto alle “domandine” – cioè alla compilazione delle istanze dei detenuti – in pratica l’avvocato dei carcerati.

Già, perché proprio tra le mura di Rebibbia, Falbo s’è laureato in Giurisprudenza, nel 2018, con una tesi sul concorso esterno in associazione di tipo mafioso.

Al tempo, tanto il Magistrato quanto il Tribunale di sorveglianza di Roma, quanto poi i giudici della suprema Corte di Cassazione, gli negarono il richiesto permesso premio per il 10 ottobre, finalizzato proprio a discutere la tesi di laurea nella sede delle Camere penali di Roma, oppure nell’Università di Tor Vergata, e a poter partecipare, poi, al festeggiamento della laurea e del concomitante 18° compleanno di suo figlio in una struttura messa a disposizione da un sacerdote.

Niente da fare. La tesi di laurea dovette discuterla in carcere. Come in carcere aveva preso parte alle riprese del film “Cesare deve morire” dei registi Paolo ed Emilio Taviani, che nel 2012 s’aggiudicò l’Orso d’oro al Festival del Cinema di Berlino e 5 David di Donatello in Italia. Come in carcere ha partecipato alle riprese d’un secondo film, “Rebibbia Lockdown” del regista Fabio Cavalli, proiettato al Festival del Cinema di Venezia il 9 settembre dello scorso anno. Come in carcere ha partecipato a un servizio speciale del Tg1 andato in onda lo scorso Natale.

L’ultima recente richiesta di permesso premio

Nel frattempo, Falbo ha nuovamente provato ad ottenere un permesso premio. Che, tra l’inverno e la tarda primavera scorsa, il magistrato e il Tribunale di sorveglianza di Roma gli hanno nuovamente negato. 

A ragione della decisione, il Tribunale ha rilevato che «dalla relazione di sintesi emergeva un proficuo percorso trattamentale intrapreso dal condannato, ma una perdurante presa di distanza dai fatti a lui ascritti;

per tali motivi e tenuto conto della nota della D.D.A. di Catanzaro del 22.10.2020, nella quale si dava atto di una particolare fibrillazione del panorama criminale nel territorio di riferimento, nonché del lontano fine pena, l’equipe di osservazione e trattamento aveva concluso per la prosecuzione di un programma di tipo intramurario;

quindi, riteneva, pur dando atto di un proficuo percorso collaborativo intrapreso dal Falbo, caratterizzato da una fattiva adesione al programma trattamentale, che il profilo della revisione critica rispetto ai gravi fatti commessi in un contesto di stampo mafioso, apparisse non adeguatamente approfondito e non sufficientemente indicativo dell’effettivo inizio di una seria maturazione rispetto alla rielaborazione delle cause della devianza e alla ricostruzione di un profilo di personalità che potesse fornire affidabilità dal punto di vista della conquista di un reale mutamento di orizzonte esistenziale;

conclusivamente, reputava che fosse indispensabile approfondire, a fronte anche di un lontano fine pena, la revisione critica del Falbo rispetto ai gravi reati commessi, nonché necessario consolidare i risultati finora conseguiti»

Il “No” confermato dalla Cassazione 

Contro la decisione del Tribunale di sorveglianza, Falbo era ricorso in Cassazione. Gli “ermellini” si sono pronunciati lo scorso 20 gennaio, con sentenza di rigetto. Le motivazioni del diniego del permesso premio – che ricalcano quelle dei giudici di sorveglianza e le rafforzano in giurisprudenza – sono state depositate appena qualche giorno fa, lo scorso 29 marzo. direttore@altrepagine.it   

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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