di Domenico A. Cassiano

Quando la nostra Provincia ebbe la fortuna di esprimere, come rappresentante al Parlamento nazionale, una persona come Guglielmo Tocci, deputato per l’undicesima e la dodicesima Legislatura (1870-1876) per il Collegio di Rossano, potè toccare con mano il beneficio, che derivò da una scelta azzeccata perché trattavasi di persona, oltre che di grande sapere e di provato disinteresse personale, anche di indefessa operosità nell’interesse esclusivo della collettività.

Il Tocci, nato a S. Cosmo Albanese nel 1827, apparteneva ad una famiglia di patrioti della locale piccola borghesia rurale. Era stato educato nel Collegio di S. Adriano come, del resto avveniva per i rampolli  dei ceti emergenti dei paesi albanesi. Un suo antenato, Donato, aveva attivamente sostenuto la Repubblica Napoletana e l’aveva difesa, nelle vie di Napoli, contro la reazione sanfedista, trovando la morte nell’epilogo tragico della Partenopea. L’altro suo antenato Francesco Saverio fu ucciso, nel 1809, dai briganti borbonici che gli incendiarono la casa. Un suo fratello, pure di nome Francesco Saverio, lasciò la vita a venticinque anni, a Rotonda, fatto prigioniero dall’esercito borbonico e finito a colpi di baionetta e poi trascinato a coda di cavallo per le vie del paese, per il rifiuto di gridare viva il re. Egli stesso, studente universitario a Napoli, nel dicembre 1856, fu tratto in arresto perché sospettato di concorso nell’attentato al re con Agesilao Milano. Scontò quattro anni di carcere preventivo.

Dopo l’Unità, come sindaco di Cosenza e come amministratore provinciale, dispiegò una molteplice attività finalizzata soprattutto alla costruzione della rete stradale della Provincia, prevedendo nel progetto del 1869 la realizzazione di un armonico collegamento con la città capoluogo dei paesi del comprensorio silano, della zona tirrenica e di quelli dell’Alto Jonio, del tutto emarginati e tagliati fuori dalla società civile. L’intelaiatura viaria della provincia è rimasta quella che il Tocci aveva delineato e di cui aveva dimostrato la fattibilità economica in un precedente opuscolo del 1865, assai lodato da Vincenzo Padula sulle pagine del Bruzio.

All’indomani della morte di Guglielmo Tocci – avvenuta in Cosenza nel gennaio del 1916 – l’onorevole Nicola Serra ne tracciò un commosso ritratto, parlando dell’“opera molteplice di questo vecchio che Cesare Lombroso avrebbe collocato tra i santi fisiologici. Nel Parlamento, nell’Amministrazione della Provincia, nelle Opere Pie, nel Comune Cosentino, ovunque pose l’esperta mano, il forte intelletto, il puro cuore, fu sempre il prodigioso suscitatore di energie”.

“Nel Parlamento – soggiungeva il Serra – sarà la prima voce, nel tempo lontano, che dirà dei diritti della Calabria e del Mezzogiorno. Nel Comune di Cosenza porterà ordine e sapienza di metodo amministrativo e diventerà per questo cittadino onorario. Nella Provincia sarà il Mosè (c’era il patriarca anche nella figura sua) che dall’arida pietra farà scaturire, col legato Pezzullo, la limpida vena abbondante per gli assettati di studi professionali. Non c’è problema d’interesse pubblico che lo lasci indifferente, fino a precorrere i laghi silani, dai quali si sprigioneranno le forze elettriche animatrici delle tranvie interprovinciali”.

Guglielmo Tocci – di cui la stampa calabrese dell’epoca lodava la “vastità della cultura” e la “potenza dell’ingegno”, riconoscendo anche la “sua grande benemerenza verso queste contrade”, riteneva fondamentale – parallelamente all’instaurazione di moderni rapporti in economia, particolarmente in agricoltura – per il progresso civile della Regione, il riconoscimento del diritto allo studio ai giovani meritevoli e bisognosi, che dovevano essere stimolati ed aiutati, dimostrando concretamente di sapersene fare personalmente carico, sfruttando tutte le opportunità e le occasioni favorevoli.

Fu dovuta al suo acume di studioso e di scrupoloso ricercatore la scoperta dell’esistenza del Patrimonio Pezzullo, amministrato allora da un convento di monaci di S. Andrea delle Fratte in Roma. E, poi, alla sua azione di politico – indefessa, continua, efficace – spiegata per più anni, sempre a sue spese, al Parlamento, all’Amministrazione Provinciale di Cosenza, presso i ministeri, il Consiglio di Stato, la Giunta Liquidatrice e la Commissione di Vigilanza dell’asse ecclesiastico, se il vistoso Patrimonio Pezzullo è stato riconosciuto e attribuito alla Provincia di Cosenza, con grande vantaggio della gioventù studiosa e del progresso culturale e civile generale.

Don Giovanni Pezzullo, sacerdote nativo di Regina, frazione del Comune di Lattarico, con testamento del 10 gennaio 1621, reso pubblico il 21 agosto 1623, istituiva suoi eredi universali i Padri dell’Ordine dei Minimi del convento di S. Andrea delle Fratte in Roma, con l’obbligo, pena la nullità delle disposizioni testamentarie, di erigere una nuova chiesa e di fondare un collegio, specificamente destinato ai frati studenti dello stesso Ordine, nel quale questi potessero trovare comodità di vitto e di studio per il periodo di sette anni, entro il quale avrebbero dovuto completare il corso degli studi. Nel caso di non accettazione o di inadempimento dell’obbligo, venivano designati come eredi, in sostituzione dei Minimi, i Padri della Congregazione di Colloreto dell’Ordine di S. Agostino, fondata nella Diocesi di Cassano, col medesimo peso di edificare un Collegio in Roma per educarvi studenti della Provincia di Cosenza.

Lo stesso Don Giovanni Pezzullo, con atto del 22 febbraio 1623, aveva fatto donazione ai predetti Padri Minimi del vasto palazzo con giardino ed accessori, sito in Roma presso la Chiesa di S. Pietro in Vincoli, da lui precedentemente acquistato dal duca Cesarini, al fine di riattarlo e destinarlo a Collegio, nel quale i giovani studenti del detto Ordine, nativi della Calabria Citeriore, potessero abitare, ricevere il vitto e studiare.

I Padri del convento di S. Andrea delle Fratte accettarono l’eredità e dettero esecuzione alle disposizioni testamentarie, ottenendo anche la conferma ed il riconoscimento da parte del Papa Urbano VIII col motu proprio dell’8 dicembre 1624. Ed, in effetti, il Convitto Pezzullo protrasse la sua esistenza dal 1623 – salvo l’interruzione al tempo dell’occupazione francese – fino al 1873, come Collegio destinato principalmente a studi teologici.

Fu in quest’ultimo anno, durante la discussione della legge sulla soppressione delle corporazioni religiose romane – tra le quali era compreso il Pezzullo – che Guglielmo Tocci, allora deputato per il Collegio di Rossano, nel corso di ricerche presso le biblioteche e gli archivi di monasteri romani, venne a conoscenza della documentazione, attestante l’esistenza in Roma di due fondazioni in favore della gioventù studiosa della provincia di Cosenza: il Convitto Pezzullo  ed il Collegio italo-greco di S. Basilio. Si fece allora promotore di un’iniziativa – alla quale aderirono gli onorevoli Francesco Crispi, Giovanni Nicotera, Benedetto Cairoli ed altri deputati meridionali – per inserire nel progetto di legge una norma a salvaguardia dei diritti della provincia di Cosenza sul Convitto Pezzullo.

“Non poteva forse la provincia di Cosenza godere, sotto altra forma, dopo aboliti i Conventi, quei benefici, di cui godeva prima; ed ai Calabresi che vestivano l’abito dei novizi dei Minimi non potevano sostituirsi gli studenti universitari? Alla Teologia, che era stata cassata dall’insegnamento ufficiale, non potevano sostituirsi le professioni civili”?

Venne, così, inserito nella legge di soppressione degli istituti religiosi l’articolo 5 che disponeva di mantenere “a favore delle Province e dei Comuni diversi da Roma le Istituzioni fondate, a Roma o fuori, a loro esclusivo beneficio”. Serrata e tenace fu l’azione – documentata nel testo Fatti e documenti della Fondazione Pezzullo e della sua rivendicazione dal Fondo pel Culto…(tip. R. Riccio, Cosenza, 1892) – che il Tocci dovette sostenere presso i vari ministeri, il Fondo per il Culto, la Giunta Liquidatrice dell’asse ecclesiastico ed il Consiglio di Stato che, in un primo momento, diede parere contrario al riconoscimento della Fondazione Pezzullo e, successivamente, decidendo a sezioni riunite espresse parere favorevole.

Dopo di che, con regio decreto dell’11 luglio 1877, n. 1673, finalmente fu stabilito che “Il Collegio dei Minimi di S. Francesco ai Monti in Roma, di Fondazione Pezzullo, è eretto in Ente laico di studio a favore di giovani calabresi, iscritti in Roma agli Istituti Universitari”. L’Amministrazione Provinciale di Cosenza era autorizzata  a ricevere dalla Giunta Liquidatrice dell’asse ecclesiastico la consegna del patrimonio e delle rendite appartenenti al medesimo Collegio.

Le rendite del Patrimonio Pezzullo furono ripartite in borse di studio di lire seicento ciascuna, da conferirsi a cinquanta giovani della provincia di Cosenza, iscritti all’Università di Roma, “che abbiano riportato nell’ultimo esame una media non inferiore agli 8/10”. Consentendo, così, a moltissimi giovani bisognosi, ma valorosi, di proseguire gli studi universitari fino alla laurea, la Fondazione fu certamente, per molti anni, un efficace strumento di promozione culturale.

Ma che fine ha fatto?

La risposta dovrebbe darla l’Amministrazione Provinciale di Cosenza, titolata alla riscossione delle rendite del “patrimonio Pezzullo” ed alla assegnazione delle borse di studio.

Nelle elezioni politiche del novembre 1876, il Tocci non fu rieletto. Era la vendetta del notabilato agrario parassitario ed usurpatore delle terre pubbliche, contro cui il Tocci aveva intrapreso una intelligente battaglia in Parlamentare. Melanconicamente un giornale locale, dopo avere elogiato l’opera “validissima” del Tocci  che, con la rivendicazione del legato “Pezzullo”, aveva fruttato alla provincia di Cosenza l’allora rilevantissimo patrimonio di un milione di lire, doveva prendere atto dell’ingratitudine “verso un uomo così dotto e benemerito che, quando credeva di essersi maggiormente reso degno della stima e della benevolenza dei suoi elettori, veniva ingiustamente lasciato sul terreno”!

Più realisticamente, invece, il moderato Mariano Campagna constatava che, in Calabria, nei collegi uninominali, per l’egemonia esercitata dai ceti opulenti, il favore volgeva più spesso prevalentemente verso chi ha e non verso chi sa, in quanto spesso si è influenti non perché si meriti di esserlo, ma perché lo si può esserlo e lo si può esserlo solo perche si è ricchi. domenico.cassiano@libero.it

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com