Dopo quattro anni e mezzo, l’Antimafia affida alla giustizia i presunti responsabili dei 3 eclatanti attentati finalizzati a “piegare” l’imprenditore Luigi Sauve a pagare il “pizzo”
SIBARI – Siamo tra la fine dell’anno 2018 e gl’inizi del 2019 e gli ‘ndranghetisti di Cassano Jonio hanno deciso di mettere sotto estorsione uno dei più importanti imprenditori del turismo operanti sulla costa jonica sibarita.
Si tratta dell’ingegnere Luigi Sauve (nella foto), originario di Roma, ma da tanti anni oramai stabilitosi quaggiù. Il patron del Minerva Club Resort e del Villaggio Marlusa Club Resort, sembra proprio non cedere alle ’mmasciate. I “signori del pizzo” decidono allora d’adottare la più classica delle loro strategie “di convincimento”:
il fuoco.
E decidono di farlo attraverso un loro nuovo adepto che dell’ingegnere romano e imprenditore turistico sibarita era stato fino a poco tempo prima uno stretto collaboratore.
Nelle trame della maxi-inchiesta “Athena” condotta dalla Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri, il giudice per le indagini preliminari Sara Mazzotta non ha dubbi che dietro gli attentati incendiari di chiara matrice intimidatoria ai danni dei due resort di Sibari, vi sia la mano del 35enne del luogo Maurizio Falbo detto “Naso stuort” o “Trapanaridd”.
Maurizio Falbo
Tre attentati nel giro di dieci giorni
Il primo incendio viene appiccato al “Minerva” la notte tra il 28 e il 29 dicembre del 2018, tra le 23 e la mezzanotte, «un incendio – chiaramente doloso, anche in considerazione del rinvenimento di una tanica di benzina – ai danni della sala ristorante “Giunone”, dove l’indomani avrebbe dovuto essere allestito un ricevimento nuziale», scrive il gip.
Il secondo, la sera del 9 gennaio 2019 dopo le 22, quando viene incendiata la lavanderia del vicino “Marlusa”.
Tra il primo e il secondo, la notte del 6 gennaio, ci sono pure gl’incendi dolosi delle due autovetture di famiglia del sibarita Luca Iacobini, fidatissimo dipendente di Sauve «noto per la sua intransigenza nei confronti di alcuni maggiorenti malavitosi locali che pretendevano di fruire dei servizi alberghieri senza corrispettivo», scrive il giudice.
La sala “Giunone” del Minerva carbonizzata dal fuoco
Le indagini dei carabinieri
Le indagini dei carabinieri, condotte attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali proprio mentre investigavano su molto altro, portano dritto a Falbo. Una decina di giorni prima dell’incendio alla sala ricevimenti, Falbo effettua infatti un “sopralluogo” assieme al 46enne di Villapiana Emilio Ferrara, la guardia giurata addetta alla sorveglianza delle due strutture ricettive di Sauve. Sono complici e hanno bisogno d’un altro complice che faccia da “palo”:
«Allora tu sì, devi fare una cosa Maurì… Devi portare due ragazzi che devono stare, che li dobbiamo mettere all’angolo se qualcuno gira dalla strada, questo lo dobbiamo fare… ti faccio entrare da qua dietro, da qua dietro… così poi una volta che tu hai finito…».
Emilio Ferrara
Il giorno dell’incendio, Falbo prende accordi con Amjad Iqbal detto “Mustafà”, un 43enne suo fiduciario “azionista” di nazionalità pachistana residente a Villapiana, per effettuare il “lavoro” quella sera stessa, raccomandandogli due cose, vale a dire di non portare con sé il telefono e di portare un passamontagna:
«Allora mi devi ascoltare a me; mi devi ascoltare a me… Senza telefono stasera… Vai a prenderli i passamontagna vai… Hai preso i passamontagna? Dove sono? Dai prendili!… Mettili qua Mustafà».
Il vigilante Ferrara però quello stesso giorno gli dà “buca”, giustificando la sua assenza a causa d’un malessere fisico.
Una telefonata tra Falbo e Nicola Abbruzzese alias “Semiasse”, il reggente dell’irriducibile famiglia ‘ndranghetista degli zingari cassanesi della frazione Lauropoli, rivela proprio la necessità di Falbo di farsi accompagnare da qualcuno che non dia nell’occhio, proprio come non avrebbe dato nell’occhio la guardia giurata del posto:
«A chi… A chi lo dici Nicò? Sulle ossa dei morti! Lo conosci qualcuno fidato? Lo conosci tu? Pure… Pure una coppietta va bene… Si va ad appartare nella pineta… Tanto…».
Nicola Abbruzzese
E Semiasse recluta il 32enne cassanese Alessandro Cerchiara detto “Il chimico”:
Cerchiara, scrive il gip Mazzotta, «era perfettamente consapevole della natura illecita dell’appuntamento, tant’è che rifiuta espressamente di portare con sé la sua fidanzata, come invece richiestogli inizialmente da Falbo per dissimulare meglio la loro presenza all’interno della pineta». Affare fatto col Chimico, mentre Falbo raccomanda a Mustafà:
«Dopo queste scarpe, noi, quando ci ritiriamo le metti in una busta, le vai a buttare nel fosso!», specificando che poi le avrebbero recuperate in un secondo momento e riepilogando tutto il materiale occorrente, «Il taglierino, la tenaglia… E la cosa», e, come per le scarpe, gli raccomanda di nascondere pure il giubbotto che avrebbe indossato, «Questo giubbotto…Dopo pure stasera quando vieni… No, mettilo a posto. Nascondilo a posto…».
Alessandro Cerchiara
Nei giorni successivi all’incendio, scrive il gip, «Falbo, fingendo di non avere contezza dell’accaduto, compulsava freneticamente diverse persone vicine alla proprietà dell’albergo incendiato per conoscere l’effettiva consistenza dei danni arrecati e capire se i destinatari avessero compreso le vere ragioni dell’intimidazione».
Passiamo al secondo incendio, quello nella lavanderia del “Marlusa”. Sono passati pochi giorni dal primo e i carabinieri sono convinti che pure dietro a questo secondo atto intimidatorio vi siano Naso stuort, Semiasse e compagnia. L’intercettazione:
«E dove hai messo bidoni lì? Vicino porta?», chiede Falbo a Mustafà.
«Dal prosieguo della conversazione», così scrivono il procuratore aggiunto dell’Antimafia, Vincenzo Capomolla, e il sostituto Alessandro Riello, «si evince che, nella fuga, Iqbal Amjad aveva sfruttato la presenza di una pianta per nascondersi e contemporaneamente si era disfatto di alcuni indumenti. Ebbene, dai dialoghi era chiaro che, dopo l’incendio, Maurizio Falbo e Amjad Iqbal non si erano incontrati ed il primo affermava di essersi preoccupato perché l’altro indossava degli stivali, che certamente non sono il tipo di calzatura ideale per correre».
Ascoltato dagl’inquirenti, l’imprenditore Sauve «Ha affermato di non essere stato contattato per eventuali richieste estorsive dopo i danneggiamenti subiti, ma ha precisato che, sino alla precedente estate 2018, proprio Falbo, all’epoca suo stretto collaboratore, si era fatto latore di richieste estorsive per conto di non meglio precisata “gente di Cassano”».
Secondo il gip sussistono a carico di Maurizio Falbo e Amjad Iqbal gravi indizi quali materiali esecutori dei due atti intimidatori, inoltre «la figura del Falbo, il quale, già in passato, si è fatto latore di imbasciate a contenuto estorsivo dirette nei confronti dell’imprenditore per conto della locale criminalità organizzata, risulta logicamente compatibile con il rancore covato nei confronti dell’imprenditore suo datore di lavoro che, nel corso del tempo, lo ha progressivamente demansionato».
Ed era proprio questa la “chiave di lettura” che il nostro giornale aveva fornito ai lettori il 5 febbraio del 2019 (leggi QUI), a un mese dai fatti, quando nel “Minerva” di Luigi Sauve si tenne una grande manifestazione politica anti-‘ndrangheta con la presenza delle istituzioni, magistratura compresa – c’era l’allora procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla – e del vescovo della Diocesi di Cassano Jonio Francesco Savino.
Semiasse, Naso stuort, Il chimico e Mustafà sono finiti in carcere – per questa e per altre imputazioni – mentre alla guardia giurata Emilio Ferrara la magistratura ha imposto l’obbligo di firma in caserma. Naturalmente sono da considerarsi innocenti fino alla definizione completa del processo. direttore@altrepagine.it