La collaborazione con la giustizia del condannato definitivo per avere ammazzato il padre di due pentiti, da tempo non era un mistero per nessuno e oggi è divenuta ufficiale. I retroscena degli omicidi Di Cicco e Sacchetti

CORIGLIANO-ROSSANO – Salvatore Di Cicco detto sparami n’piettu era di Sibari ed era uno che “contava” nella ’ndrangheta della Sibaritide. Almeno fino a quando chi “contava di più” decise di farlo fuori.

Le ricerche di Di Cicco al tempo della sua sparizione

Il mandante dell’omicidio di sparami ‘n’piettu nonchè killer di Andrea Sacchetti, morì a sua volta ammazzato

Il 1° settembre del 2001 Di Cicco fu mandato a Crucoli per trattare un acquisto di armi. A spedirlo “in missione” fu Eduardo Pepe, allora importante boss degli “zingari” di Cassano Jonio. Lo fece così cadere nella trappola mortale tesagli da due importanti “compari” dei boss sibariti, due boss di Cirò Marina, Giuseppe Spagnolo detto Peppe ‘u banditu e Giuseppe Nicastri.

L’unica traccia che rimase di Di Cicco, fu il suo fuoristrada, che venne ritrovato regolarmente parcheggiato in una stazione di servizio lungo la Strada statale 106, nel comune di Calopezzati, a poca distanza da Crucoli. 

Fu sempre lo “zingaro” Eduardo Pepe ad ammazzare, questa volta lui personalmente e materialmente, Andrea Sacchetti, all’interno di un’azienda agricola nella campagna tra la frazione di Cantinella e Sibari.

Andrea Sacchetti

Le confessioni di “Occhi di ghiaccio” e le accuse di Ciro Nigro

I retroscena dei due delitti di ‘ndrangheta sono stati narrati dall’ex boss di Rossano Nicola Acri detto Occhi di ghiaccio, che fu complice in entrambi i casi.

Eduardo Pepe venne successivamente ammazzato assieme a Fioravante Abbruzzese a Cassano, nel corso della cruenta guerra di ‘ndrangheta tra gli “zingari” Pepe-Abbruzzese e la famiglia ‘ndranghetista al tempo ad essi contrapposta, i Forastefano.

Andrea Sacchetti scomparve da Rossano il 5 febbraio del 2001. I carabinieri del Ros hanno ricostruito il movente del suo omicidio, maturato nell’ambito del traffico di droga. Sacchetti era stato condotto in quell’azienda agricola con un pretesto, ammazzato a colpi d’arma da fuoco e poi il suo corpo venne occultato.

L’unica traccia di sé che Sacchetti si lasciò dietro le spalle, fu il suo motorino, ritrovato appoggiato a una parete vicino alla stazione ferroviaria di Rossano dopo che s’era recato nella caserma dei carabinieri per firmare. Lì fu visto salire a bordo di un’auto, che lo condusse alla morte.

Nicola Acri

Ad accusare i cirotani Spagnolo e Nicastri, e il boss coriglianese Rocco Azzaro, è dunque l’ex superboss rossanese “dagli occhi di ghiaccio” Nicola Acri, cui s’è aggiunto un nuovo “pentito”, il coriglianese Ciro Nigro (nella foto d’apertura). Fino al novembre del 2017 Nigro, che è di contrada Apollinara proprio come Azzaro, era detenuto in regime di carcere duro al 41-bis, quando ne ottenne la revoca. 

In seguito decise di collaborare con la giustizia e cominciò a riempire verbali coi magistrati della Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro. Il suo “pentimento” era da tempo assai risaputo a Corigliano:

mai nessun verbale, però, prima di oggi, era emerso in alcun tipo di processo contro la ‘ndrangheta della Sibaritide.

Come si legge nell’ordinanza cautelare notificata stamane (leggi QUI) per i due casi di “lupara bianca” di Di Cicco e Sacchetti, gl’investigatori sono riusciti a riaprire le relative indagini proprio grazie alle dichiarazioni di Nigro, condannato definitivo per l’omicidio di Giorgio Cimino – padre dei due collaboratori di giustizia, Giovanni ed Antonio Cimino – ammazzato nel maggio del 2001 all’interno del Roxy bar di Corigliano Scalo.

Alle dichiarazioni di Acri e Nigro, ovviamente, hanno fatto seguito le attività di riscontro investigative da parte dei detective dell’Arma.

In relazione all’omicidio di Di Cicco, Nigro ha raccontato che a dargli la ‘mmasciata per accompagnarlo a Crucoli e consegnarlo a Spagnolo e Nicastri, fu Rocco Azzaro detto compa’ Roccu, boss condannato definitivo pure lui e scarcerato nel 2017. Sei anni di libertà prima che stamane gli riapparissero davanti i carabinieri per riportarlo in carcere, e con loro gli scheletri del passato, quegli scheletri d’oltre un ventennio fa… direttore@altrepagine.it 

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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