Il raggelante dialogo tra compa’ Ciro oggi “pentito” negli istanti in cui consegnò la vittima al killer che lo freddò con un revolver calibro 38: «Mi dispiace ca non mu fannu fare a ‘mmia»

SIBARI – Era un 34enne “di sani principi” (‘ndranghetisti) il coriglianese Ciro Nigro (a destra), nel 2001. E, “promettente” com’era, quell’omicidio avrebbe voluto farlo lui direttamente.

Avrebbe cioè voluto spararlo proprio lui, al petto, il suo coetaneo Turuzzu sparami n’piettu al secolo Salvatore Di Cicco (a sinistra), di Sibari e oramai suo “ex compare” nei propositi suoi e degli altri “compari”.

Il pomeriggio che venne convocato a casa del boss coriglianese Rocco Azzaro – distante solo pochi metri dalla sua stessa casa, in contrada Apollinara di Corigliano – alla presenza del boss rossanese Nicola Acri detto Occhi di ghiaccio, le “regole” dell’omicidio le dettò però proprio quest’ultimo.

Era il 31 agosto. Il terzetto ‘ndranghetista per prudenza lasciò le pareti di casa Azzaro e s’addentrò negli agrumeti circostanti. 

Rocco Azzaro

Quando Nigro venne informato di ciò che si doveva fare, disse:  

«Mo’ ci voglio menare io!».

A distanza d’oltre un ventennio lo ricorda e lo racconta lui stesso, oggi che ha 56 anni ed è collaboratore di giustizia, ai magistrati dell’Antimafia di Catanzaro. E il suo narrato, secondo i pubblici ministeri e il giudice per le indagini preliminari, è riscontrato, per gli stessi fatti, proprio da quello del “pentito” Nicola Acri, al tempo appena 22enne, oggi 44enne.

Fu proprio Occhi di ghiaccio, infatti, a frenare l’entusiasmo di Nigro:

«Devi fare come dico io:

lo devi portare là e poi non devi fare più niente, dopo te ne devi ritornare».

Nicola Acri

“Peccato” per Nigro, ch’era stato portato a conoscenza di ciò che gli altri “compari” avevano saputo e cioè che Di Cicco fosse da qualche tempo diventato “confidente” dei carabinieri e che gli stessi carabinieri gli avevano proposto il “salto del fosso”, cioè la via della collaborazione coi magistrati dell’Antimafia, con la promessa di “salvarlo” da un imminente tintinnìo di manette.

Nigro, come gli altri “compari”, questo tipo d’“infamia” da parte degli “amici” proprio non lo tollerava. Ed è per questo, che, da “buon giovane rampante” s’era proposto come killer.

Così, compa’ Ciro, nel primo pomeriggio del giorno seguente, il 1° settembre, trovò Turuzzu sparami n’piettu nei pressi del bar della stazione ferroviaria di Sibari e gli portò la ‘mmasciata “ufficiale”, e cioè che dovevano andare insieme a Torretta di Crucoli per acquistare delle armi dai “compari” di Cirò.

Prima però dovevano andare assieme a Lauropoli, a casa di Eduardo Pepe (morto ammazzato il 2 ottobre del 2002 a Cassano assieme a Fioravante Abbruzzese durante la guerra di ‘ndrangheta tra gli “zingari” Pepe-Abruzzese e i Forastefano). A prendere i soldi coi quali avrebbero dovuto pagarle, quelle armi.

Quando Pepe prese 7 milioni in contanti (di vecchie lire) per consegnarglieli, Di Cicco gli disse:

«Dammilli a ‘mmia».

E Pepe gli rispose:

«No, no, i dugnu a Ciro, non ti preoccupare…».

Quando giunsero nel posto convenuto a Torretta di Crucoli, entrò in scena il plotone d’esecuzione:

Giuseppe Spagnolo detto Peppe ‘U banditu, e Giuseppe Nicastri, al tempo rispettivamente di 31 e 52 anni, oggi di 54 e 74.

Erano loro i “compari” di Cirò, finiti in carcere lunedì (Spagnolo era già detenuto), a distanza di 22 anni dal fatto di sangue, assieme al coriglianese Rocco Azzaro, allora 47enne, oggi 69enne.

Giuseppe Spagnolo

Quando i due cirotani immobilizzarono Di Cicco prima che ‘U banditu lo freddasse con due revolverate calibro 38 al petto, tra la vittima designata e l’oramai ex “compare” che l’aveva condotto alla morte ci fu un dialogo che raggela il sangue:  

– «Ma perché, cosa ho fatto?».

– «Chistu l’hai a sapiri tu, io non u sacciu c’ha fattu». 

– «Ma io non ho fatto niente».

«Mi dispiace ca non mu fannu fare a ‘mmia».

Giuseppe Nicastri

Nigro poco dopo abbandonò la macabra scena, mentre “in sottofondo” c’era già il rumore d’una potente pala meccanica che seppellì per sempre Turuzzo sparami n’piettu e i suoi effetti personali laddove oggi c’è un resort turistico.

Per compa’ Ciro la stagione “di sangue” era già cominciata da qualche mese: 

a febbraio di quell’anno, come ha raccontato lui stesso ai magistrati dell’Antimafia, assistette all’occultamento del cadavere del rossanese Andrea Sacchetti (leggi QUI) ammazzato e sepolto in un’azienda agricola nella campagna tra la frazione coriglianese di Cantinella e Sibari.

Per l’omicidio di Andrea Sacchetti sono indagati il “pentito” Nicola Acri e il boss Rocco Azzaro

A maggio guidò la motocicletta che condusse il killer davanti al Roxi Bar di Corigliano Scalo per ammazzare il coriglianese Giorgio Cimino, padre dei collaboratori di giustizia Giovanni ed Antonio Cimino, due “pentiti di ieri” come lui “dell’oggi”, senza “legge del contrappasso”.

Fino al suo arresto, avvenuto il 16 luglio del 2009 nell’ambito della maxi-operazione antimafia “Timpone Rosso”, alla detenzione al carcere duro del 41-bis (revocatogli nel 2017) e alla sua condanna all’ergastolo, oramai definitiva. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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