L’episodio relativo all’ipotesi d’un attentato mortale contro il boss di Rossano, è stato narrato all’Antimafia dal “pentito” coriglianese Ciro Nigro, che ha attributo la falsa informazione al “reggente” di Sibari Salvatore Di Cicco poi eliminato proprio perché sospettato d’essere un “confidente” 

CORIGLIANO-ROSSANO – Correva la calda estate del 2001 e il dopopranzo d’un gruppo di ’ndranghetisti, ritrovatisi a mangiare in un ristorantino sul Mare Jonio in quel di Cirò Marina giusto per trascorrere un po’ di tempo assieme e «senza dover discutere di nessuna cosa», per uno di loro improvvisamente si trasformò in uno snervante fermo da parte dei carabinieri.

“Roba di routine” per un picciotto sveglio come il coriglianese Ciro Nigro (a sinistra), allora 34enne, oggi 56enne, ergastolano per omicidio e collaboratore di giustizia reo confesso d’aver partecipato pure ad altri omicidi, oltre a quello per cui fu condannato.

È la storia d’una falsa informazione, quella raccontata da Nigro al sostituto procuratore della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, Domenico Guarascio, contenuta nel verbale d’interrogatorio del “pentito” in cui lo stesso traccia il movente, l’organizzazione e l’esecuzione dell’omicidio di Salvatore Di Cicco detto Sparami n’piettu, suo coetaneo e “reggente” ‘ndranghetista di Sibari per conto del “locale” di Cassano Jonio facente capo alle famiglie Pepe e Abbruzzese cui pure Nigro apparteneva, alla cui “eliminazione” il collaborante ha confessato d’avere partecipato in modo determinante, accompagnando e consegnando la vittima designata al suo sicario (leggi QUI)

La falsa notizia è quella relativa a un agguato mortale contro Salvatore Morfò (nella foto d’apertura, a destra), il boss oggi 65enne che in diarchia col molto più giovane Nicola Acri, l’ex sanguinario boss dagli Occhi di ghiaccio oggi 44enne e pure lui “pentito”, secondo la magistratura antimafia avrebbe governato la ‘ndrina di Rossano, ma che invece di recente è uscito assolto dal lungo e travagliato maxi-processo “Stop”.

Ed è un falso “d’autore” che il “pentito” Nigro attribuisce a un nome e un cognome precisi: 

già, proprio a quel Di Cicco Sparami n’piettu mandato all’altro mondo, perché proprio durante quella calda estate era fortemente sospettato d’essere diventato “confidente” dei carabinieri e persino che fosse prossimo a collaborare coi magistrati dell’Antimafia.

Ora però leggiamo il racconto che ne fa la “gola profonda” di Nigro al pubblico ministero Guarascio:

«Un giorno io sono andato a Cirò Marina e ho mangiato là al ristorante, a un ristorante subito all’imbocco della superstrada a Torretta di Crucoli, lì sul mare c’è un ristorante, c’è l’Hotel Sole e sotto l’Hotel Sole c’è una stradina che c’è un ristorante, c’è il mare.

E abbiamo mangiato là, io, questo ragazzo che era venuto con me, Fedele, il cognato di Fabio Falbo, che è un ragazzo che studiava, però veniva sempre in giro con me, stava sempre con me, gli piaceva stare con noi, però non apparteneva a nessuna cosa.

Ed eravamo là, noi, Spagnolo, non mi ricordo se c’era Cataldino, comunque abbiamo mangiato là, giusto così, ci siamo incontrati per mangiare, non per discutere di nessuna cosa.

Al ritorno che abbiamo fatto guidava Fedele, questo ragazzo, ed eravamo con la macchina mia, con una Uno, la Fiat Uno Turbo di mia moglie, e io ero sdraiato sul sedile e mi ero appisolato.

Poi ha preso a Rossano sulla superstrada all’uscita di Rossano, alla prima uscita, ha preso sul ponte, sul cavalcavia, ha preso un dosso, è sbalzata la macchina e mi sono… e mi sono drizzato il sedile.

Ho detto: “Ma perché stai scappando? Perché stati correndo?”. Dice “No… ho fatto un sorpasso sulla linea bianca e adesso c’è la pattuglia dietro che si è girata, mi ha visto e si è girata” .

“E beh, dov’è ‘u problema? Gli ho detto, “Perchè corri? Vai piano, fatti fermare, no?”

Comunque siamo arrivati al semaforo. Era acceso il semaforo, dopo il semaforo c’era un caravan davanti a noi, gli ho detto “Stai dietro al caravan, non ti muovere e se ti fermano, fermati”.

Abbiamo fatto un altro po’ di strada, sul rettilineo ci hanno lampeggiato e ci hanno fermato. Ho detto “Fermati”.

Quando sono scesi la pattuglia, subito con la pistola alle mani, è andata dall’autista, io sono sceso subito dalla macchina e gli ho detto: “Ferma che Nigro sono io, non è lui…” e sono venuti da me.

Poi è arrivata un’altra pattuglia, poi è arrivato il maresciallo Cosenza e ho detto “Che sta succedendo?”, ho detto “Marescia’ fagli abbassare la pistola, perché ‘sta pistola puntata?”. “No, no…”, dice, “…Controllo”. “E controllo co ‘a pistola?”.

Ha abbassato la pistola, in caserma a Rossano. A Rossano mi hanno smontato la macchina. Non sapevo il motivo, s’hanno portato la macchina dietro e mi hanno smontato la macchina. E noi eravamo fermi là.

Poi ho visto entrare la moglie di Salvatore Morfò e ho guardato… “Ci hanno arrestati”. Convinto che ci avevano arrestati.

Non è successo niente. All’ultimo che hanno finito tutto, ci hanno dato le chiavi della macchina, ci hanno portato la macchina: “Potete andare”. E io all’oscuro di tutto, non riuscivo a capire il motivo.

La stessa situazione l’ha passata Eduardo Pepe. E’ stato bloccato sulla strada, messo per terra. Però non riuscivo a capire niente.

L’ho scoperto questo fatto qua, io l’ho scoperto quando ci siamo incontrati in galera a Rossano, il 2004 mi sembra che era, che mi hanno appoggiato per processo a me, che io ero a Catanzaro, mi hanno appoggiato a Rossano e mi hanno messo in cella con Salvatore Morfò. E noi eravamo intimi amici con Salvatore.

Salvatore mi ha raccontato, dice: “Ti ricordi quel giorno, così così? Mi hanno detto che tu ed Eduardo mi volevate…” “Ah, ‘ppe chiustu”, haj dittu “mi hanno fatto tutti chillu casinu, mi hanno smuntatu a machina e cose”.

Mi raccontò che i carabinieri erano andati a prelevarlo, che lui era sul lungomare di Rossano dove aveva il ristorante e quando l’hanno prelevato, dice che quando poi l’hanno accompagnato in caserma, dice: “Ti volevano fare un agguato qui fuori”, dice, “Abbiamo fermato a Nigro Ciro”, dice, “così e così…”, e dice: “Possibile che tu mi volevi fare l’agguato?”

Non era vero, io non sapevo niente di questo fatto qua…».

Vero o falso che fosse il “progetto” d’ammazzare Morfò, il “pentito” Nigro dice di non averne mai saputo nulla, Eduardo Pepe è morto ammazzato e la “storia” risale a ben 22 anni fa.

La “soffiata” giunta ai carabinieri invece è verissima, dal momento che i magistrati dell’Antimafia hanno effettuato ogni riscontro sul racconto di Nigro, con esito positivo.

Salvatore Morfò ha fatto parlare di sé ancora una volta proprio quest’estate. Era il 3 agosto quando la polizia l’ha arrestato e condotto in carcere, su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari e dietro richiesta della locale Procura, per una ritenuta tentata estorsione nientepocodimenochè in danno del Comune di Corigliano-Rossano (leggi QUI).

Da una quindicina di giorni è però tornato in libertà, e, in attesa del processo, ha il solo obbligo di presentarsi quotidianamente alla polizia per firmare. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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