Il racconto reso all’Antimafia dal “pentito” Nicola Acri circa il presunto movente della “lupara bianca” decisa e compiuta il 5 febbraio del 2001
CORIGLIANO-ROSSANO – Nessuno avrebbe “progettato” d’ammazzare il boss rossanese oggi 65enne Salvatore Morfò (a destra) nel 2001, benché lui temesse per la propria incolumità personale e per la propria vita.
A raccontarlo, esattamente 20 anni dopo e con ogni dovizia di particolari, è stato il 44enne ex capo ‘ndrangheta di Rossano Nicola Acri nom de crime “Occhi di ghiaccio” (a sinistra), in uno dei suoi verbali d’interrogatorio da “pentito”, quello del 16 giugno 2021 al cospetto del procuratore aggiunto della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, Vincenzo Capomolla.
Purtuttavia, proprio all’epoca dei fatti narrati dall’odierno collaboratore di giustizia, il fatto che Morfò temesse un attentato mortale nei suoi confronti, in quegli “ambienti” si venne a sapere, anche se pochi ne conoscevano con esattezza i “contorni”.
Fatti “sovrapposti” ad altri fatti, perché in quello stesso 2001 gli ’ndranghetisti della Sibaritide ritenevano d’avere “elementi” tali da dubitare della fedeltà d’un loro importante “uomo d’onore”, il 34enne Salvatore Di Cicco, “reggente” in quel di Sibari, sospettato d’essere “confidente” dei carabinieri nonché un potenziale “pentito”.
Ed è proprio su tale scia di timori e sospetti che probabilmente s’è generato un equivoco. Già, proprio quello sull’ipotetico agguato a Morfò per il quale i carabinieri avevano ricevuto la “soffiata” che v’abbiamo raccontato ieri (leggi QUI), con un altro odierno “pentito”, il 56enne ex picciotto coriglianese Ciro Nigro, che l’ha attribuita proprio a Di Cicco, quella “soffiata”.
Fatto sta che in quell’anno 2001 nella Sibaritide la ‘ndrangheta fece una doppia “operazione di pulizia” attraverso due omicidi “silenziosi”, utilizzando cioè la tecnica della “lupara bianca” già sperimentata nei lustri passati.
Una delle due vittime fu ovviamente proprio Salvatore Di Cicco (leggi QUI), l’altra Andrea Sacchetti, un pregiudicato rossanese non “affiliato” ma con tanti “sogni di gloria” criminali sotterrati nel pomeriggio di quel glaciale 5 febbraio.
Andrea Sacchetti
Il racconto del “pentito” dagli occhi di ghiaccio al procuratore Capomolla
«…C’era questo ragazzo qua, Andrea Sacchetti, che spacciava qualche grammo di eroina. Ma spacciava perché si faceva lui stesso, quindi per racimolare qualcosa, però questo ragazzo con me si comportava bene, nel senso che quando mi vedeva sempre mi chiamava, diciamo se c’era qualche cosa “tienimi presente se c’è qualcosa…”, era un ragazzo abbastanza capace, pure che si drogava, diciamo».
Il procuratore aggiunto dell’Antimafia di Catanzaro, Vincenzo Capomolla
Tuttavia, come ha spiegato il collaboratore di giustizia, Salvatore Morfò si lamentava perché Andrea Sacchetti spacciava autonomamente, ma soprattutto per la vicinanza a Giovanni De Luca.
Quest’ultimo era un “rivale” rossanese col quale Morfò aveva un forte astio dal momento che il figlio, Cosimo De Luca (da anni detenuto all’ergastolo per il brutale omicidio d’una donna), aveva accoltellato suo figlio, Isidoro Morfò, quando lui era detenuto in carcere. E poi lui, sempre secondo il narrato di Acri, avrebbe vendicato quell’accoltellamento ordinando proprio al figlio l’omicidio di Giovanni De Luca, il quale il 4 febbraio del 2000 riuscì a scampare alla morte, ma i pallini delle fucilate che prese addosso lo resero cieco.
Giovanni De Luca è deceduto nel 2011
Proprio per la sua “vicinanza” a De Luca, Morfò temeva dunque la vendetta e temeva che Sacchetti proprio per conto di De Luca potesse compiere atti ritorsivi nei suoi confronti.
Spiega, Acri:
«Morfò ogni volta mi insisteva su questo ragazzo… dice “Nico’, questo qua, sta vendendo, sta facendo, sta dicendo…”, gli ho detto “Salvato’, scusa ma qual è il problema?”, gli ho detto, “Perché ogni volta prendi il discorso di questo qua?”, dice “No, Nico’, questo qua è troppo vicino a Giovanni De Luca… perché la mamma di questo ragazzo era diciamo la donna di Giovanni De Luca, aveva una relazione con Giovanni De Luca e forse pure un figlio”».
Sarebbe questo il “contesto” in cui maturò il progetto d’ammazzare Andrea Sacchetti.
In un’occasione in cui Acri – come ancora lo stesso ha riferito – era in compagnia di Annibale Matalone, Salvatore Morfò e il figlio Isidoro Morfò, il quartetto aveva esternato la volontà d’agire nei confronti di Sacchetti chiedendo supporto a Eduardo Pepe – allora a capo del “locale” ‘ndranghetista di Cassano Jonio – proprio al fine di sopprimerlo:
«Insomma un giorno, eravamo là con Annibale Matalone e… allorché lui, c’era pure il figlio Isidoro, dice: “Senti, dobbiamo prendere un provvedimento con questo qua perché ho timore che possa fare qualcosa perché è un ragazzo capace, vediamo di prendere un provvedimento”, dice… “E vabbè, che vogliamo fare?”; dice: “Glielo chiediamo ad Eduardo se ci manda qualcuno”».
Accogliendo la richiesta dei Morfò, Nicola Acri aveva interessato Eduardo Pepe, ed entrambi, unitamente ad Annibale Matalone, avevano incontrato nuovamente Salvatore Morfò al fine di decidere le modalità dell’omicidio. Eduardo Pepe s’era reso disponibile, Acri riteneva non opportuna un’azione eclatante, ritenendo sufficiente che Sacchetti scomparisse:
«Quando ho parlato con Eduardo, ho detto: “Edua’, senti, Salvatore vorrebbe fatto questo piacere di questo qua, è un drogato però lui dice che è uno capace, io ci sono amico, però lui lo vede un problema, che dobbiamo fare?; Eduardo dice: “Andiamoci a parlare con Salvatore”.
Andiamo a parlare con Morfò, quindi andiamo io, Matalone e Eduardo e parliamo con Morfò di questo discorso, dice: “Come… vuoi che ti mando qualcuno, vuoi…”, mentre stavamo parlando Eduardo dice: “Va bene, ce la vediamo noi”;
io ho detto: “Edua’ senti noi avevamo pensato di farlo sparire per non fare casino, alla fine non è che è una persona che dà fastidio, che ti viene a sparare, c’è il rischio di farlo così”, dice: “Vabbè allora ci prepariamo e lo portate da qualche parte, vi faccio vedere dove e lo facciamo sparire”».
Il “pentito” coriglianese Ciro Nigro
In merito alla fase esecutiva dell’omicidio, oltre a Nicola Acri ne ha riferito pure Ciro Nigro. Le loro dichiarazioni sono state ritenute dal giudice per le indagini preliminari di Catanzaro, Gabriella Pede, «concordanti» e di vicendevole riscontro.
In ordine al movente, però, è il solo Acri a riferirne.
Il boss coriglianese Rocco Azzaro
Ed è per questo che a finire in carcere, lo scorso lunedì 16 ottobre, è toccato soltanto al 69enne boss coriglianese Rocco Azzaro, accusato da entrambi i “pentiti” d’avere partecipato al fatto di sangue, e dal solo Nigro d’avere poi sotterrato il cadavere fatto a pezzi di Andrea Sacchetti.
L’esecutore materiale sarebbe stato Eduardo Pepe, morto ammazzato il 2 ottobre del 2002 a Cassano assieme a Fioravante Abbruzzese – pure lui partecipe dell’omicidio Sacchetti – durante la guerra di ‘ndrangheta tra gli “zingari” Pepe-Abbruzzese e la famiglia Forastefano. direttore@altrepagine.it