La pista degli zingari indicata dal “pentito” Perciaccante e la definitiva condanna all’ergastolo di Donato e Campilongo che bruciarono l’auto coi 3 corpi di Iannicelli, della giovane compagna marocchina e del piccolo “Cocò” 

CASSANO JONIO – Domani sera alle 18, nella Basilica minore già Cattedrale di Cassano Jonio, verrà celebrata una messa nel ricordo della strage di contrada Fiego del 16 gennaio 2014.

Sono trascorsi già 10 anni da quella tragica mattina in cui i carabinieri trovarono quella Fiat Punto carbonizzata con all’interno 3 corpi umani resi irriconoscibili dal fuoco che li aveva consumati all’interno dell’abitacolo.

I corpi del 52enne Giuseppe detto Peppe Iannicelli, storico trafficante di droga cassanese, della sua compagna di nazionalità marocchina Ibtissam Touss, di 27 anni, e del nipotino dell’uomo, il piccolo Nicola Campolongo d’appena 3 anni, in famiglia da tutti chiamato Cocò com’è poi passato alla ribalta delle cronache nere di tutt’Italia e oltre.

La coppia uccisa assieme al bambino

Imputati e definitivamente condannati all’ergastolo, solo Donato Topo e Campilongo Panzetta

Il 13 ottobre del 2021, i giudici della suprema Corte di Cassazione confermarono le due condanne all’ergastolo ch’erano state inflitte dapprima dalla Corte d’Assise di Cosenza e poi dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, nei confronti degli unici due imputati finora incriminati, vale a dire il 44enne Cosimo Donato detto Topo, e il 45enne Faustino Campilongo soprannominato Panzetta, entrambi trafficanti di droga residenti nel vicino Comune albanofono di Firmo.

I due, in carcere dal 12 ottobre del 2015, sono stati infatti riconosciuti colpevoli in tutt’e tre i gradi di giudizio per essere stati tra gli esecutori materiali di quello che è stato il più grave dei fatti di sangue compiuti dalla ‘ndrangheta nella Sibaritide dell’ultimo decennio, che di morti ammazzati in seguito ne ha visti altri 13, tra cui altre 2 donne innocenti, proprio come la compagna di Iannicelli e il bambino del quale il narcotrafficante cassanese era nonno.

Cosimo Donato e Faustino Campilongo

Più precisamente, secondo le risultanze processuali, Donato e Campilongo, cosparsero di benzina l’utilitaria di Iannicelli dandola in pasto al fuoco per distruggere i 3 cadaveri. Le vittime erano state infatti ammazzate a colpi di pistola.

L’eccidio ‘ndranghetista si consumò in quella rurale e sperduta contrada della campagna cassanese dove a Iannicelli era stato evidentemente dato un appuntamento-trappola.

Un lungo processo, ma un processo “a metà”

Un processo lungo ma “incompleto” quello per la strage cassanese, caratterizzato pure dalle testimonianze di numerosi ex ‘ndranghetisti oggi “pentiti” e tra le fila dei collaboratori di giustizia, oltre che dall’ascolto delle intercettazioni telefoniche eseguite dai carabinieri del Reparto operativo speciale di Catanzaro e del Reparto operativo del Comando provinciale di Cosenza nel corso delle indagini.

Scattate proprio nelle ore successive al tragico fatto, quando alcuni familiari di Iannicelli – allarmati perchè l’uomo non era rincasato – incontrarono Donato e Campilongo che puzzavano di benzina. Fino ai dialoghi in lingua arbëreshë intercettati nel corso della detenzione di Donato. Dai messaggi su Messenger e WhatsApp intercettati dagl’investigatori alle dichiarazioni dei vari “pentiti” di ‘ndrangheta, passando per le contraddittorie testimonianze di Sonia Di Monte, ex compagna del “pentito” Michele Bloise e dello stesso Donato.

Fu una strage di ‘ndrangheta sì, ma con tanti, troppi misteri circa il movente. Ve ne potrebbe essere, infatti, più d’uno:

la “gestione” del traffico e dello spaccio della droga, il tentativo di Iannicelli di tenere “sotto scacco” Donato e Campilongo e la presa di distanza del narcotrafficante dal locale di ‘ndrangheta degli zingari, che magari avrebbe potuto da un momento all’altro “buttarsi pentito”.

Se Donato e Campilongo abbiano materialmente ucciso i tre o se siano stati proprio loro due gli organizzatori della strage, sono “dati” mai chiariti nei due processi di merito, le cui sentenze sono state confermate nel giudizio di legittimità della Cassazione.

Mai fu trovata l’arma del delitto né altri “elementi” che avrebbero potuto allargare il cerchio dei responsabili, come lo smartphone della ragazza marocchina.

I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro stanno ancora e tuttora lavorando al “secondo livello” dell’inchiesta.

L’arrivo del Papa e la scomunica agli ‘ndranghetisti

La morte del piccolo Cocò, sei mesi dopo la strage spinse Papa Francesco a venire a Cassano. Il Pontefice, il 21 giugno del 2014, in un memorabile discorso pronunciato a Sibari davanti a migliaia e migliaia di persone, scomunicò tutti i mafiosi.

Le dichiarazioni in aula del “pentito” Perciaccante

Uno dei “pentiti” sentiti al processo fu il 56enne cassanese Pasquale Perciaccante detto Cataruozzolo, già “azionista” del locale degli zingari e collaboratore di giustizia dal 2007. Perciaccante in aula indicò proprio i suoi antichi “compari” quali mandanti della strage:

«Sono stati gli zingari. Volevano ammazzare Iannicelli da tempo… Per loro, Peppe Iannicelli era un infame».

S’era infatti sparsa la voce che Iannicelli volesse collaborare coi magistrati antimafia.

Perciaccante raccontò che il superboss degli zingari Franco Abbruzzese detto Dentuzzu e Filippo Solimando in passato avrebbero più volte intimidito Iannicelli al quale rimproveravano di non essere in grado di controllare lo spaccio di droga a Cassano.

Il collaborante narrò un episodio:

una volta Iannicelli lo chiamò, riferendogli che a casa sua erano arrivati Dentuzzu, Nicola Acri (detto “Occhi di ghiaccio”, da due anni e mezzo collaboratore di giustizia, Ndr) e Filippo Solimando armati di kalashnikov. Franco Abbruzzese, allora capo degli zingari, avrebbe chiesto a Iannicelli d’ammazzare Giuseppe Romeo, minacciandolo che altrimenti lui stesso sarebbe stato ammazzato. Non solo:

A Perciaccante, Iannicelli avrebbe anche detto d’avere ammazzato Giambattista Atene (omicidio consumato a Sibari il 1° luglio del 1999, Ndr).

«Iannicelli non potè che accettare» – disse Perciaccante – «ma quando si rese conto di non essere in grado di uccidere Romeo, chiese aiuto a me che, per come ho già dichiarato, unitamente agli Abbruzzese ho partecipato effettivamente all’omicidio di Romeo» (compiuto a Cassano il 15 luglio del 1999, Ndr).

«Sempre in quel periodo, ho potuto constatare che Filippo Solimando, così come “Dentuzzu”, era latitante, e che i due si nascondevano insieme».

Sempre nel processo, il fratello di Iannicelli, Battista, riferì che Luigi Abbruzzese convocava continuamente il fratello a Timpone rosso (il quartier generale degli zingari alla frazione Lauropoli di Cassano Jonio, Ndr) per contestargli di rifornirsi di stupefacente da canali autonomi.

Ovviamente si tratta di presunti fatti datati rispetto alla strage del gennaio 2014, ma ne offrono delle ipotetiche “chiavi interpretative” laddove gli esatti contorni non sono ancora chiari.

Dei protagonisti dei presunti fatti narrati dalla gola profonda di Cataruozzolo, Franco Abbruzzese Dentuzzu è al carcere duro del “41-bis”dal luglio del 2009, Nicola Acri dall’ottobre del 2010 fino al suo “pentimento” avvenuto nella primavera del 2021, Filippo Solimando dal febbraio 2015, e dal 2018 Luigi Abbruzzese detto Il piccoletto e figlio di Dentuzzu, il quale, secondo i magistrati antimafia di Catanzaro oggi supportati da alcuni nuovi “pentiti” di Cosenza, sarebbe stato il capo-‘ndrangheta degli zingari cassanesi a partire almeno dal 2013. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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