ROMA – La Sibaritide “parte incivile”. Quella “militante” è fatta di potenti e spietati boss di ‘ndrangheta e dei loro fitti eserciti di “soldati” tra picciotti scelti e reggipanza vari.

La parola d’ordine dell’apparato repressivo statale, da oltre un trentennio a questa parte, è quella di cercare di recidere in tronco i rapporti dei capi-boss coi loro sottoposti rimasti liberi, una volta che i primi sono finiti in carcere.

L’antidoto si chiama “41-bis” ed è uno specifico articolo della Legge sull’Ordinamento penitenziario italiano:

la norma in assoluto più odiata dai criminali incalliti italiani a capo d’organizzazioni mafiose o terroristiche.

Giornalisticamente passa per “Carcere duro”, ma pure la durezza con cui esso è stato istituito (e anche modificato) presenta delle “falle”. Già, perché i “capi” che vi vengono sottoposti “capi” rimangono, continuano a comandare e riescono comunque a far passare gli ordini ai loro “soldati” all’esterno delle strutture carcerarie di massima sicurezza attrezzate proprio per il 41-bis.

Tra gli ‘ndranghetisti “irriducibili” della Piana di Sibari e delle sue propaggini, in detenzione cautelare, condannati pluridecennali, ergastolani, con sentenze definitive o meno, sono in tanti ad esservi sottoposti o ad esservi passati, qualcuno v’ha pure terminato i suoi giorni terreni.

L’ultimo provvedimento in ordine di tempo riguarda il 34enne boss di Cassano Jonio Luigi Abbruzzese (nella foto a destra), detto Il piccoletto (leggi QUI) perché figlio dell’ergastolano definitivo Franco Abbruzzese nom de crime Dentuzzu (foto a sinistra) (leggi QUI), ma anche nipote di Celestino Abbruzzese Asso di bastoni o più semplicemente Ciccio ‘u zingaru, il nonno anch’egli in carcere e capostipite d’una nutritissima saga familiare d’origine rom fatta di figli, figliastri, nipoti e cugini tutti con sangue e Dna ‘ndranghetista, connotati oramai divenuti praticamente “inevitabili” come certificato da tutte le maxi-inchieste giudiziarie anti-‘ndrangheta dell’ultimo quarto di secolo.

Celestino Abbruzzese

Il Piccoletto è stato definitivamente condannato a 20 anni di reclusione nel maxi-processo “Gentlemen”, che l’ha visto giudicato in contumacia perché latitante.

Il figlio di Dentuzzu venne catturato proprio nella sua Cassano, nell’agosto del 2018.

Secondo le risultanze investigative (ancora non processuali) sarebbe stato lui il “reggente” della famiglia Abbruzzese a partire almeno dal 2013.

Da qui la proposta, formalizzata al Ministro della Giustizia da parte della Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro fino a poco tempo fa guidata da Nicola Gratteri ed oggi retta dal procuratore facente funzione Vincenzo Capomolla, di riservargli lo stesso trattamento carcerario cui è sottoposto da 14 anni ininterrottamente suo padre.

Il decreto applicativo del “carcere duro” a Luigi Abbruzzese è stato firmato di recente da parte del ministro Carlo Nordio, e, ovviamente, è già esecutivo. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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