Alla sbarra, nel Tribunale di Castrovillari, assieme al 53enne detenuto al 41-bis, figurano: Giuseppe Sammarro, Giuseppe De Patto, Giovanni Arturi, Davide Lagano e Luigi Sabino

CASTROVILLARI – Oltre una quarantina d’anni di carcere. È stata questa la sollecitazione del pubblico ministero Antonino Iannotta, questo pomeriggio, al termine della propria requisitoria nel processo denominato “Tribunale” in corso dinanzi ai giudici del collegio penale del Tribunale di Castrovillari presieduto da Anna Maria Grimaldi (a latere Orvieto Matonti e Rosamaria Pugliese).

Il processo vede imputati, per associazione a delinquere finalizzata a una serie di reati, 6 pluripregiudicati coriglianesi di Corigliano-Rossano, tutti gravitanti nell’orbita della ‘ndrangheta.

Si tratta di Giuseppe De Patto detto ‘U mapputu di 32 anni, Giovanni Arturi detto ‘A vozza di 42, Davide Lagano di 30, Luigi Sabino di 46, Giuseppe Sammarro detto ‘U cardillu di 54, e Filippo Solimando di 53 (nella foto d’apertura).

Per Solimando, il rappresentante della pubblica accusa ha chiesto la condanna a 8 anni di reclusione e 8 mila euro di multa;

per Arturi, 7 anni e quattro mesi e 7.400 euro di multa;

​​per Sammarro, 5 anni e quattro mesi e 5 mila euro di multa;

per ​​Sabino, 7 anni e quattro mesi;

per De Patto, 7 anni e undici mesi;

​​per Lagano, 7 anni e cinque mesi.

Il Tribunale di Castrovillari

Un “tribunale parallelo”… per “punire” i delinquenti dello Scalo

Il processo è stato battezzato “Tribunale” perché – secondo le accuse dei magistrati della Procura castrovillarese – alcuni degl’imputati oggi alla sbarra sarebbero stati adusi a convocare un tribunale parallelo a quelli in cui s’amministra la giustizia dello Stato, con un “presidente” incarnato proprio dal boss di ‘ndrangheta Filippo Solimando, ed i suoi “giudici a latere”, una sorta d’organismo criminal-giudiziario ch’era chiamato a valutare le condotte di quei soggetti resisi responsabili di reati, senza preventiva “autorizzazione”.

Da quei processi sommari sarebbero scaturite diverse “sanzioni” comminate ai diversi componenti d’una banda di delinquenti operante nello Scalo coriglianese, vittime di violente aggressioni fisiche, anche con armi, nel tentativo d’imporre un capillare controllo “centralizzato” sui reati contro il patrimonio.

Quelli appartenenti al gruppo “autonomo” dello Scalo sono ovviamente anch’essi imputati, ma in un altro processo scaturito dalla medesima indagine. Condotta dai carabinieri di Corigliano tra il 2013 e il 2014, che arrestarono in flagranza di reato 9 dei 21 soggetti complessivamente finiti a processo.

L’inchiesta aveva fatto emergere ben 8 episodi di ritenuta natura estorsiva ai danni d’imprenditori del luogo, e due rapine in danno di un’anziana donna e d’un altro anziano.

Le indagini dei carabinieri, con intercettazioni telefoniche e ambientali

Al centro dell’inchiesta dei carabinieri che ha condotto ai due collegati processi, un “rosario” d’estorsioni, furti, rapine, danneggiamenti e tant’altro. Persino l’incendio appiccato all’autovettura d’un appuntato degli stessi carabinieri che stavano indagando avvalendosi anche d’intercettazioni telefoniche e video-ambientali.

Insomma, è il processo ai ritenuti sodali del boss ‘ndranghetista Solimando, cresciuti alla sua ombra.

Il boss sta già scontando 20 anni di carcere

Solimando era finito tra le sbarre nel febbraio del 2015 nell’operazione anti-‘ndrangheta ed antidroga “Gentlemen, da allora detenuto nel penitenziario di Opera a Milano in regime di “carcere duro” al 41-bis dove sta scontando la sua definitiva condanna a 20 anni per associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga su scala intercontinentale.

Il quadro delineato dall’inchiesta “Tribunale” si fonda sulle risultanze ottenute dall’attività d’intercettazione, dalle testimonianze e dalle denunce delle vittime, corroborate dai riscontri nell’ambito di numerosi servizi d’osservazione e pedinamento compiuti dai militari in forza alla Sezione operativa dell’Arma coriglianese. Qui v’erano due gruppi criminali contrapposti, quello del centro storico e quello dello Scalo:

il primo costituito dai volti storici della criminalità locale e caratterizzato da una maggiore caratura delinquenziale rispetto all’altra banda, composta invece da ragazzi di giovane età.

Gli elementi di prova raccolti in sede d’indagine hanno consentito di dimostrare come il sodalizio del centro storico operasse sulla base d’un programma criminoso volto alla realizzazione d’una serie indefinita di delitti contro la persona ed il patrimonio, evidenziando una struttura associativa stabile, con una netta e delineata distribuzione dei compiti tra i vari sodali.

Le arringhe degli avvocati difensori dei 6 imputati sono previste a partire dall’udienza del prossimo 23 febbraio, mentre la sentenza dei giudici è attesa per il 14 aprile. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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