CORIGLIANO-ROSSANO – Uno degli argomenti che sta già animando e che sicuramente continuerà ad animare la campagna elettorale per le Comunali dell’8 e 9 giugno prossimi a Corigliano-Rossano, è la dicotomia mafia-antimafia.

Non tanto perché il mondo “politico” ha piena coscienza che Corigliano e Rossano sono state infestate e che Corigliano-Rossano è infestata, di mafia appunto – che qui, per essere precisi si chiama ‘ndrangheta – ma soltanto perché l’ex Comune di Corigliano per esserne infestato nel 2011 vide sciolti dallo Stato i suoi organi elettivi. E, soprattutto, perché nel 2011 la sindaca di Corigliano era quella Pasqualina Straface che oggi è candidata a sindaca di Corigliano-Rossano.

La lezione di Sciascia

Sugli anni 2009-2011 a Corigliano e su quella drammatica onta, noi nel 2012 pubblicammo un libro, pochi altri condussero una degna e civile battaglia politica per la cosiddetta “questione morale”, molti altri, invece, divennero “professionisti dell’antimafia”.

La mattina del 10 gennaio 1987 sul Corriere della Sera uscì un articolo dai toni assai forti. Che non servì qualche ora dopo per incartare il pesce a chi aveva comprato il giornale, ma che sin da quel giorno e per gli anni successivi cominciò a far discutere, in Italia e non solo. E che soprattutto qualche anno dopo la sua uscita, vale a dire dopo le stragi del 1992 in cui trovarono la morte prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino, fece assai scandalo per i presunti riferimenti del suo autore, lo scrittore, il romanziere reale, il giornalista, l’illuminato e profetico intellettuale siciliano Leonardo Sciascia.

Profetico perché a leggere i commenti più illuminati di questi ultimi anni a quel suo storico pezzo intitolato proprio “I professionisti dell’antimafia”, chi riflette prima ancora di scrivere non trova altro aggettivo. Nelle sue prime righe, Sciascia si riferiva a «quella specie (molto diffusa in Italia) di persone dedite all’eroismo che non costa nulla e che i milanesi, dopo le cinque giornate, denominarono “eroi della sesta”».

Gli “appunti” di Stasi

Non ci resta che vedere, adesso, se ad essere scandalosi, oggi, siamo noi, che a Corigliano-Rossano puntiamo l’indice proprio contro tali “professionisti” che sarebbe meglio definire “professori”, “cattedratici”, “accademici”, dell’“antimafia”.

Il più rappresentativo di questi “professionisti” è l’ingegnere Flavio Stasi, che da quasi 5 anni di Corigliano-Rossano è il sindaco:

«C’è una cosa che non hanno capito dei sindaci come Antonio Decaro:

che la credibilità costruita con il proprio operato ed il proprio coraggio trasforma gli attacchi in veri e propri boomerang», ha scritto ieri sera Stasi su Facebook riferendosi alla commissione d’accesso inviata dal Ministero dell’Interno al Comune di Bari, al fine di valutare l’esistenza o meno dei presupposti di legge atti a sciogliere gli organi elettivi per sospette infiltrazioni della mafia barese.

Stasi, com’è noto, è amico personale del sindaco di Bari Decaro (insieme nella foto d’apertura), presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani, col quale ha solidarizzato.

Si dice che nel novembre 2022 fu proprio il sindaco “nostrano” a chiedere un “favore” al collega Decaro:

quello di citarlo nel suo intervento d’apertura all’assemblea nazionale dell’Anci in presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale quando sentì che Stasi aveva presentato progetti a valere sui fondi “Pnrr” su alcuni beni confiscati alla mafia, applaudì assieme a tutta la platea, così, “sulla fiducia”…

Stasi e i suoi galoppini di quel fatto ne fecero lunga propaganda, ma alla fine del suo mandato circa la realizzazione di quei “progetti antimafia” non c’è alcuna traccia.

«Noi sindaci sappiamo cosa significa contrastare la criminalità organizzata, con gli atti, la condotta, il lavoro ed il coraggio quotidiano», ha scritto Stasi nella sua “debitoria” solidarietà a Decaro.

Vediamo gli atti “antimafia” di Stasi:

per “progettare” coi fondi “Pnrr” ha acquisito al patrimonio comunale 3 immobili che lo Stato da tempo aveva confiscato alla ‘ndrangheta coriglianese e che il Comune ha chiesto e ottenuto in consegna patrimoniale da parte dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

Il primo è la grande palestra con annessa abitazione privata di Via Cannata allo Scalo coriglianese che fu di Pietro Salvatore Mollo, morto suicida in carcere nel dicembre del 2010 prima della celebrazione del famigerato maxi-processo anti-‘ndrangheta “Santa Tecla”, proprio quello che portò allo scioglimento dell’ex Comune di Corigliano.

Lì, Stasi, ha “progettato” un centro sportivo comunale.

Il secondo immobile è una casa con annesso agrumeto che fu della famiglia di Giuseppe Russo detto ’U mussutu, condannato per usura mafiosa nel processo “Corinan-Criscente”;

la casa fu costruita abusivamente in una zona ritenuta proprio dal Comune ad alto rischio idrogeologico, praticamente in uno strapiombo della contrada Jacina che costeggia il centro storico coriglianese.

Lì, Stasi, ha romanticamente “progettato” di farci una scuola per l’infanzia! 

L’altro immobile è la villa che fu della famiglia di Maurizio Barilari, capo ‘ndrina di Corigliano dai primi anni Duemila all’estate del 2009, quando fu arrestato nell’ambito della maxi-operazione “Timpone rosso” il cui processo lo vide condannato a 28 anni di carcere per la partecipazione a tre omicidi di ‘ndrangheta, e a 19 per associazione mafiosa ed estorsione sempre nell’ambito del famigerato maxi-processo “Santa Tecla”, condanne da tempo definitive con Barilari detenuto al 41-bis;

la villa si trova fra gli agrumeti e gli uliveti della rurale contrada Cardame, periferica allo Scalo coriglianese.

E lì, Stasi, ha “progettato” un non meglio specificato centro d’aggregazione per disagiati (noi suggeriamo una bocciofila!).

Questi i “progetti”, solo annunciati.

Omicidio di ‘ndrangheta in centro, agenti di polizia municipale truffatori, ma Stasi non si costituisce parte civile nei processi

Poi ci sono altri “atti”:

nel 2020 Stasi decise di far costituire il Comune parte civile, in Tribunale a Castrovillari, nel processo “Fangorncontro una decina d’imputati che tagliavano gli alberi in alcuni boschi demaniali tra le montagne del Rossanese per rubarne il legname e ricettarlo, rivendendolo.

Secondo Stasi e la sua macchina di propaganda, quella decina di balordi era «La mafia dei boschi»:

quello, però, non è stato un processo a mafiosi, ma un processo a dieci pellizzuni.

Da alcune settimane, invece, in Corte d’Assise a Cosenza, è cominciato il processo per un omicidio di ‘ndrangheta, quello di Pasquale Aquino ammazzato il 3 maggio 2022 nel pieno centro della frazione di Schiavonea:

qui il Comune del sindaco “antimafia” Stasi non s’è costituito parte civile contro gl’imputati;

contro coloro i quali, per compiere il fatto di sangue, alle 19,30 d’una serata d’inizio maggio con ancora la luce del giorno avrebbero aperto il fuoco di una pistola e di una mitraglietta lungo quel Viale Mediterraneo trafficatissimo da persone a piedi, in auto, in moto, in bicicletta o in monopattino, mettendo a repentaglio l’incolumità di qualsiasi cittadino e pregiudicando l’immagine della città e della sua più frequentata località turistica.

Il sindaco Stasi non ha fatto costituire il Comune parte civile nemmeno nel processo, che si concluderà a maggio prossimo nel Tribunale di Castrovillari, contro ben 8 agenti della polizia municipale e il segretario generale del Comune, imputati proprio nell’esercizio delle loro pubbliche funzioni per truffa al Comune e falso in concorso tra loro, 7 dei quali rei confessi dal momento che hanno formulato istanza di patteggiamento della pena.

Un esempio di legalità, quello del sindaco Stasi, la cui attività “antimafia” era simbolicamente cominciata proprio durante la sua campagna elettorale del 2019, quando andava a braccetto facendosi fotografare a ogni pie’ sospinto con un condannato definitivo a 8 anni di carcere (già scontati) proprio nel famigerato maxi-processo “Santa Tecla” che portò allo scioglimento dell’ex Comune di Corigliano:

parliamo ovviamente dell’ex avvocato Antonio Piccoli, radiato dall’Ordine degli avvocati proprio in seguito alla condanna per associazione mafiosa e narcotraffico.

Antonio Piccoli e Flavio Stasi

La moglie di Piccoli, l’ex avvocato Laura Pantano, proprio durante l’amministrazione Stasi è stata assunta al Comune come vigile urbano.

Piccoli e la moglie

Dulcis in fundo – si fa per dire – la demolizione alla Marina di Schiavonea del lido “L’arca di Noè”, confiscato nel 2012 alla famiglia del boss di ‘ndrangheta Vincenzo Guidi (tornato libero da un anno, dopo 25 anni di carcere):

quella porzione adesso libera di litorale coriglianese, da due estati in qua l’amministrazione Stasi l’affida in gestione per migliaia di euro all’associazione di bagnini all’uopo fondata da un amico d’un suo assessore. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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