Le comunità virtuali non sono nate con internet. Già alcuni decenni prima della comparsa del web esisteva una realtà parallela fatta di voci e di segnali radio. Comitive immateriali, amici invisibili, rapporti umani che si consumavano tra onde elettromagnetiche e campi di radiazione:

una dimensione impalpabile ed eterea, ma intimamente radicata nella vita di migliaia e migliaia d’italiani. Quest’affascinante mondo non godeva però di certe comode “garanzie” che oggi offre la rete, e cioè quelle di poter bloccare, o bannare come si dice nel gergo internettiano. Già, perché le frequenze radio costituivano una vera e propria giungla, un luogo seducente, ma insidioso. Dove vigeva la legge del più forte.

L’attività dei radio-operatori Citizens’ band (“Banda cittadina”, acronimo “Cb”, cioè la gamma di frequenza riservata ai radio-amatori) si svolge (tuttora) intorno ai 27 MegaHertz. Ed è uno spazio destinato perlopiù al semplice svago e alle chiacchiere quotidiane, proprio come un social network o una chat, con persone dotate dello stesso strumento nel raggio più o meno d’una trentina di chilometri.

Quell’apparecchio radio, volgarmente chiamato “baracchino”, può essere considerato il social network degli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Con la diffusione della telefonia mobile e delle utenze internet quegli apparati sono caduti in progressivo disuso, lasciando le frequenze semi-deserte a sparuti gruppi d’irriducibili.

Nell’epoca degli smartphone e della tecnologia sempre connessa, i baracchini continuano comunque a resistere, in particolare tra i camionisti di “vecchia scuola” per continuare a scambiarsi informazioni o comunicazioni relative alle condizioni meteorologiche, del traffico o su eventuali incidenti, oppure per restare in contatto con altri camionisti in zona, per esempio tra autocarri che viaggiano in gruppo, o semplicemente per socializzare. 

Negli anni d’oro i canali della Citizens’ band erano invece saturi e affollati, soprattutto nelle ore serali. I partecipanti alle conversazioni erano tantissimi e in radio discutevano con un linguaggio un po’ diverso da quello ordinario, ricco di vocaboli gergali e con la costante presenza d’un codice fondamentale, detto “codice Q”.

Il simpatico gergo… e i codici

Tutte le attività che avvenivano in radio erano regolate da un copioso elenco di segnali. Due o più persone che parlavano a turno in un’unica conversazione stavano facendo un “Qso”. Un utente che terminava la trasmissione stava andando in “Qrt”, chi si limitava all’ascolto si trovava in “Swl”. Era praticamente impossibile ascoltare un “Qso” senza sentire un costante ricorso alle varie sigle o alle molteplici parole in codice tipiche dei 27 MHz. Alcuni esempi:

«73 + 51» (Ti mando saluti e cordialità).

«Roger!» (Ricevuto).

«Break» o «Brecco» (Richiesta di entrare nella conversazione).

«Mi daresti un Qrk e coordinate?» (Richiesta di valutazione del segnale e luogo di ricezione).

«Facciamo una verticale?» (Vogliamo incontrarci di persona?).

«Vado in carica batteria» (Vado a mangiare).

«Sono in barra mobile» (Sto trasmettendo dalla macchina).

«Sono in barra pesante» (Sto trasmettendo dal camion).

Con la sigla “Qrm” venivano invece identificati i rumori, le spurie, il frastuono delle scariche elettriche, delle interferenze e dei rumori di fondo, in estrema sintesi: i disturbi. «C’è molto Qrm stasera» era una frase ricorrente nelle ore di grande affollamento radio. Da quelle tre lettere nacque il nome riservato ai disturbatori, praticamente i troll di oggi su Facebook e su tutti gli altri social network. Il “querremmatore” (da “Qrm”, appunto) era il troll d’allora. «Oddio è arrivato il solito querremmatore, cambiamo canale!».

Quelle sgradite interferenze

Ma chi erano quei disturbatori? Tracciare un profilo ben definito del querremmatore è un’impresa impossibile poiché in tale denominazione rientra una vastità eterogenea d’individui, persone d’ogni età, sesso ed estrazione sociale, talvolta anche stimati ed insospettabili professionisti.

In alcuni casi il querremmatore viveva proprio una doppia esistenza, come se fosse un dottor Jekyll e mister Hyde delle frequenze: di giorno educato e simpatico animatore di “Qso”, di notte insidioso e molesto disturbatore (o viceversa). Le molestie, in radio, erano difficili da fronteggiare. Non esistevano messaggi privati, tutti potevano ascoltare e intervenire, su ogni canale. Non esisteva alcuna forma di ban né di moderazione, e se il segnale d’un utente era particolarmente elevato, era impossibile ignorarlo.

La diplomazia, il rispetto verso il prossimo e le basilari regole di condivisione degli spazi costituivano gli unici elementi in grado di risolvere pacificamente i dissidi e le incomprensioni. In mancanza di tali requisiti era necessario “armarsi” il più possibile e sfidare i querremmatori sul piano tecnico. Già, perché la radio non era internet. La comunicazione non te la regalava nessuno, dovevi guadagnartela con impegno, dedizione e sudore, mettendo su una stazione solida e potente, in grado di fronteggiare il più possibile le innumerevoli minacce dei malintenzionati.

I problemi potevano però persistere. Con una trasmissione particolarmente potente potevi sovrastare il querremmatore in uscita, ma non in entrata. Se stavi dialogando con una persona lontana, il cui segnale giungeva basso, l’intervento d’un disturbatore con un segnale più alto t’impediva l’ascolto a dispetto della potenza della tua stazione radio. A quel punto l’unica soluzione era il “Qsy”, il cambio di frequenza, ma i devoti del “Qrm”, provavano a seguirti ovunque.

In ogni regione, in ogni provincia, in ogni città d’Italia, i querremmatori erano sempre in agguato, a tutte le ore del giorno e della notte. Il più delle volte dietro alla loro scelta non si celavano rancori personali. Si trattava d’un passatempo come un altro: divertirsi nel dare fastidio, nel provocare, nel suscitare reazioni di rabbia e indignazione. Più la vittima si infervorava, più il querremmatore se la rideva.

Allora, dietro voci minacciose e imponenti potevano celarsi timidi ragazzini. Dietro goliardiche esternazioni infantili potevano esserci stimati professionisti e padri di famiglia. Proprio come nei commenti e nelle chat odierni su Facebook e gli altri social… direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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