Tutte le “ombre”, passate e recenti, del 49enne rossanese misteriosamente scomparso da 15 giorni, dopo un mese dalla sua definitiva assoluzione nel maxi-processo “Stop” 

CORIGLIANO-ROSSANO – Che (brutta) fine ha fatto ’U Righiarar? È questo l’interrogativo – per nulla amletico tra l’“essere” e il “non essere più” – che aleggia in queste calde giornate d’agosto tra i rossanesi.

Che il 49enne Carmine Morello (foto) lo indicano col suo dialettale soprannome “di battaglia”, quello col quale è (o era?) conosciuto come appartenente agli “ambientacci”, vale a dire al mondo criminale rossanese, quello organizzato di stampo ’ndranghetista. Anche a dispetto della recente assoluzione definitiva nel maxi-processo “Stop” per tentato omicidio (comunque condannato per associazione mafiosa).

E se negli ambienti investigativi locali si taglia a fette la percezione chiara e netta che ’U Righiarar abbia fatto proprio una brutta fine – benché lì vi sia l’obbligo d’indagare in ogni direzione – figuriamoci cosa si può pensare (e sussurrare) fuori dalle caserme…

“Lupare bianche”: Corigliano-Rossano caso unico in Calabria negli ultimi anni

Con la misteriosa sparizione di Morello, potremmo essere molto verosimilmente di fronte a un nuovo caso di lupara bianca. E sarebbe il terzo nel giro di soli 4 anni a Corigliano-Rossano, unica città in Calabria dove la ‘ndrangheta sceglie a chi dispensare una morte silenziosa come sottolinea qualche fonte investigativa che negli anni, quanto ad esperienza regionale in fatto di lotta alla ’ndrangheta ne ha da vendere.

I precedenti risalgono al 1° luglio del 2019, quando sotto l’altra metà del cielo di Corigliano-Rossano, in quella parte del Coriglianese pericolosamente confinante con Cassano Jonio, sparì l’incensurato ma “noto” 43enne coriglianese Cosimo Rosolino Sposato (leggi QUI le recentissime notizie dalle carte della maxi-inchiesta anti-‘ndrangheta “Athena”), seguito a distanza di soli 5 mesi, l’8 dicembre, dal pregiudicato 31enne del luogo Antonino Sanfilippo, fedele amico del boss 51enne coriglianese Pietro Longobucco detto ‘U iancu e con ogni probabilità servito da “esca” proprio per ammazzare il diffidente e guardingo “uomo d’onore”, il cui corpo crivellato a pistolettate riaffiorò una decina di giorni dalle gelide acque del porto dalle quali venne ripescato pure il furgoncino di Sanfilippo e solo quello, perché il suo cadavere sarà stato sepolto senza croce chissà dove (leggi QUI).

Assieme a Sposato e a Sanfilippo, a partire dal giugno del 2018, in questi ultimi 5 anni tra Corigliano-Rossano e l’intera Piana di Sibari vi sono stati altri 10 morti ammazzati coi corpi e il sangue a terra (o in acqua, nel caso di Longobucco).

Quelle di Sposato e Sanfilippo sono però altre storie, sempre di ’ndrangheta, sempre “autorizzate” dai capi-’ndrangheta senza l’avallo dei quali nulla si può, ma storie diverse da quella di Morello. Se pure questa è “lupara bianca”, questa è una storia ‘ndranghetista tutta rossanese, come tutta coriglianese è quella di Sanfilippo, mentre quella di Sposato è mezza cassanese e mezza coriglianese…

Le ultime ore (conosciute) di Carmine Morello

Morello era uscito dalla sua abitazione di Via Vallone del Grano, nel centro storico rossanese, verso le 9 dello scorso 9 agosto. A bordo della sua motocicletta da enduro s’era recato prima dal barbiere, poi era passato da un autolavaggio per farsi lavare il casco e dopo ancora era andato nella rivendita di motociclette gestita da un amico, dove andava praticamente tutti i giorni, sulla Strada statale 106.

Lì, a un certo punto, avrebbe detto all’amico di doversi allontanare per una decina di minuti, dimenticando, stranamente, il suo smartphone, che qualora avesse avuto con sé potrebbe adesso consentire a chi indaga di conoscere la sua ultima localizzazione.

Aveva portato con sé, invece, il borsello coi documenti ed altri effetti personali, risucchiati dal nulla come lui. Quei dieci minuti, infatti, sono diventati già 15 giorni. D’angoscia e terrore per le sue tre figlie, adesso rimaste senza madre e senza padre perché la moglie di Morello era venuta a mancare prematuramente alcuni mesi addietro.

Erano stati proprio i familiari a recarsi dai carabinieri per denunciare la scomparsa di Morello, perché non era da lui allontanarsi per così tanto tempo senza dare notizie di sé, vale a dire che non avrebbe mai abbandonato le sue figlie volontariamente.

Nessuna telefonata, nessun messaggio, né a familiari né ad amici o conoscenti. Il nulla cosmico.

Le indagini dei carabinieri

Sul “caso Morello” stanno indagando i carabinieri in forza alla Sezione operativa del Reparto territoriale di Corigliano-Rossano, diretti dal maggiore Marco Filippi. I detective sono partiti proprio dai suoi ultimi movimenti, ascoltando chi l’aveva visto prima che giungesse nella rivendita di moto del suo amico, visionando le registrazioni delle telecamere di video-sorveglianza presenti nei pressi della stessa attività commerciale.

Nel contempo, gli specialisti telematici ed informatici dell’Arma stanno analizzando gli ultimi flussi di traffico telefonico e degli altri dati presenti sullo smartphone lasciato nella rivendita di motociclette. 

Le indagini dei carabinieri sono al momento coordinate dai magistrati della Procura di Castrovillari diretta da Alessandro D’Alessio, ma sarebbe già in allerta la Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, che presto potrebbe avocare a sé il caso.

Le tante “ombre” d’un uomo dalla vita burrascosa

Una vita piena di ombre e molto burrascosa quella di Carmine Morello, segnata anche dal tempo trascorso in carcere. Solo da alcuni anni, infatti, era tornato libero. 

«Dopo 10 anni di processi e ben 5 sentenze posso affermare, senza tema di smentita processuale, che Carmine Morello è stato ingiustamente accusato del tentato omicidio di Antonio Manzi».

è quanto aveva dichiarato l’avvocato Ettore Zagarese, suo difensore, appena il 2 luglio scorso all’esito della decisione dei giudici della suprema Corte di Cassazione che avevano rigettato il ricorso proposto dal procuratore generale di Catanzaro contro la sentenza della Corte d’Appello che nel febbraio del 2022 l’aveva assolto, unitamente a Giuseppe Ferrante detto “Antonello il siciliano”, dall’accusa d’essere stato esecutore materiale d’un tentato omicidio aggravato dalle finalità mafiose.

Il tentato omicidio in questione era quello del boss Antonio Manzi detto “Tom tom”, consumato a Rossano il 26 dicembre del 2002, perché, secondo l’accusa, aveva tentato d’opporsi all’ascesa criminale di Nicola Acri alias “Occhi di ghiaccio”, l’ex superboss rossanese divenuto collaboratore di giustizia agl’inizi dell’estate del 2021.

E proprio durante quella caldissima estate del 2021, le burrasche giudiziarie di Morello si sono incrociate con altri fatti assai burrascosi. Quando a ’U Righiarar ammazzarono il suo cane pastore tedesco a colpi di pistola, e ne fecero sparire la carcassa. Una tetra analogia, questa, con la sua sparizione di 15 giorni fa.

Non solo, perchè in quel luglio di due anni or sono in cui il Rossanese fu messo a ferro e a fuoco da due bande locali di ‘ndrangheta contrapposte tra loro perché fresche “orfane” del loro ex capo supremo “Occhi di ghiaccio”, tra le vittime di pestaggi personali, incendi di automezzi – il più eclatante venne compiuto un pomeriggio proprio in Via Vallone del Grano dove risiede Morello – colpi di pistola esplosi contro abitazioni e in aria su pubbliche vie, vi fu anche lui, ’U Righiarar. direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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