Dal boss Leonardo Portoraro eliminato nel 2018 al gregario Carmine Morello “fatto” lo scorso 9 agosto, passando per tutti gli altri. Nessuna pietà per donne e bambini

CORIGLIANO-ROSSANO – In principio fu Compa Narduzzu o Giornalu favuzu (giornale falso), al secolo Leonardo Portoraro.

Era la calda mattina del 6 giugno 2018 e il fragore del kalashnikov era tornato a “suonare” una nuova carica di morte nel cuore della Sibaritide, a Villapiana Lido. A cadere, tra i tavolini esterni del bar-ristorante “Tentazioni” di proprietà della sua famiglia, il 63enne boss sibarita originario di Cassano Jonio, e un tempo oramai lontano capo ‘ndrina di Francavilla Marittima.

Leonardo Portoraro

Quel giorno, erano esattamente 9 anni che nella Piana non s’udiva il terribile rumore del potente fucile mitragliatore da guerra non convenzionale di fabbricazione sovietica, nell’occasione unito a quello d’una pistola dall’ignoto plotone d’esecuzione piombato a “giustiziare” uno ’ndranghetista “eccellente”. I motivi della cui “eliminazione” sono in qualche modo “accennati” nelle carte della recentissima maxi-inchiesta anti-‘ndrangheta “Athena”.

Prima di lui era toccato ai boss Bruno e Faillace, e al narcotrafficante Iannicelli trucidato e bruciato in auto con la compagna e il nipotino

Prima di Portoraro, a cadere sotto il fuoco ed il piombo dei kalashnikov erano stati, il 10 giugno del 2009 tra gli agrumeti di contrada Torre Voluta a Corigliano, il boss 58enne del luogo Antonio Bruno alias Giravite, ammazzato assieme al suo occasionale accompagnatore, l’incensurato 56enne coriglianese Antonio Riforma soprannominato Asso di mazza (su quel duplice omicidio, poco più d’un anno dopo, qualche presunta verità era venuta a galla: leggi QUI), e, il 21 agosto di quello stesso anno, il boss Federico detto Ricuzzu Faillace, 54 anni, storico braccio destro proprio di Portoraro, “fatto” nelle campagne di contrada Apollinara al confine tra Corigliano e Spezzano Albanese.

La Renault Clio a bordo della quale sono stati ammazzati Bruno e l’innocente Riforma

Nel frattempo, però, il 16 gennaio del 2014, nella desolata contrada Fiego di Cassano Jonio c’erano stati altri tre morti ammazzati: 

il 52enne trafficante di droga cassanese Giuseppe detto Peppe Iannicelli, la sua compagna 27enne di nazionalità marocchina Ibtissam Touss, e il piccolo nipotino dell’uomo, Nicola detto Cocò Campolongo d’appena 3 anni. Loro uccisi a pistolettate e i loro corpi poi bruciati nell’auto con la quale si muovevano. Questo triplice omicidio conta due responsabili, entrambi condannati all’ergastolo proprio per avere dato fuoco a quella Fiat Punto coi 3 cadaveri all’interno, mentre mandanti ed esecutori materiali finora non sono stati scoperti (leggi QUI).

L’auto carbonizzata coi tre cadaveri all’interno e, nel riquadro, il piccolo Cocò

Dall’eliminazione di Portoraro in poi, solo nell’ultimo quinquennio sono già 13 i morti ammazzati di ‘ndrangheta tra Villapiana, Sibari, Corigliano-Rossano e Cassano Jonio, lambendo anche Castrovillari.

La Piana è da anni una “polveriera”

La polveriera della Sibaritide in quest’ultimo lustro è stata teatro di sangue, di “lupare bianche” e d’omicidi mancati. Delitti forse concatenati tra loro o forse no, ma tutti maturati in una logica criminale, o più d’una, tese a ridisegnare la geografia del potere ‘ndranghetista d’una delle aree più ricche della Calabria, quella compresa tra la Sibaritide e il Pollino, con la neonata grande città di Corigliano-Rossano e le altre realtà urbane piccole e grandi che qui rappresentano fonti di guadagno per le ‘ndrine uscite malridotte dalle sanguinose guerre del passato e dalle inchieste giudiziarie, e, quindi, bisognose di fare “cassa” con le estorsioni, la gestione dei subappalti, l’usura, il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti.

Corigliano-Rossano, Cassano Jonio e la sua Sibari, Villapiana, Castrovillari e una miriade d’altri Comuni rappresentano i centri di gravità permanenti del grande feudo criminale della Sibaritide-Pollino. Qui non c’è grammo di cocaina, d’eroina, di marijuana o “stecca” d’hashish che possano essere spacciati senza “dare conto”. Non c’è mattone o secchio di cemento che possano essere adoperati senza pagare dazio ai “signori” che comandano. Non c’è “tappeto” di bitume o pilastro se non ci si mette “a posto”. E non c’è impresa commerciale, edile, agricola, che possa sentirsi al sicuro se non versa il contributo d’“assicurazione” ai padroni del vapore. E del territorio.

La Piana di Sibari

I grossi investimenti dello Stato finalizzati ad ammodernare la Strada statale 106 jonica hanno imposto ai capi la necessità di maggiore ordine negli ambienti della ’ndrangheta, di dettarne i tempi, i passi, e soprattutto le “regole”.

Il locale degli “zingari” di stanza a Lauropoli di Cassano Jonio assicura forza militare e compattezza per il numero di uomini su cui esso può contare e sui legami di sangue che ne caratterizza i rapporti. La ’ndrangheta autoctona e più “tradizionale” offre la propria “esperienza” e i legami coi “crimini” del resto della Calabria. Oggi, qui, la mappa del potere criminale è disegnata da una “supercosca”.

Ed è proprio in questo mosaico che vanno a intassellarsi i tanti, plateali o silenziosi, ma comunque efferati omicidi. Delitti eseguiti ostentando potenza di fuoco e abilità nell’uso delle armi quand’era necessario, oppure abbandonando una scia di terrore silente attraverso il ricorso alla lupara bianca. 

Omicidi plateali e silenziose “lupare bianche”

Nel dicembre del 2018 un altro boss eliminato: 

il 51enne coriglianese Pietro Longobucco detto Pierinu ‘u Iancu. Fatto sparire da casa sua la sera dell’Immacolata, il suo cadavere crivellato di colpi di pistola era affiorato una decina di giorni dopo dalle gelide acque sottostanti una delle banchine del porto di Corigliano. Il suo “ragazzo di fiducia”, il pregiudicato 31enne coriglianese Antonino Sanfilippo, con ogni probabilità usato dai sicari come “esca” proprio per ammazzare il boss ch’era un uomo furbo e diffidente, da allora è sparito nel nulla e di lui s’è saputo ancor meno.

Pietro Longobucco

Sette mesi più tardi, il 1° luglio del 2019, il secondo caso di lupara bianca: 

a sparire dalla circolazione, senza lasciare più alcuna traccia di sè, il coriglianese Cosimo Rosolino Sposato, 43 anni, incensurato, ma “noto” alle forze dell’ordine per la sua vicinanza alla ‘ndrangheta, circostanza, questa, confermata assai di recente nelle carte della maxi-inchiesta “Athena” (leggi QUI). Sposato era stato visto per l’ultima volta nella frazione coriglianese di Cantinella. Con ogni probabilità invitato a un incontro, dal quale non è mai più tornato. Eliminato e sepolto chissà dove.

Antonino Sanfilippo e Cosimo Sposato

Appena 22 giorni dopo – il 22 luglio del 2019 – ad appena qualche chilometro di distanza da Cantinella e da Sibari, in un fondo agricolo di contrada Apollinara, a Corigliano-Rossano, sono stati trucidati – assieme – a colpi di kalashnikov e d’una pistola calibro 9, Pietro Greco, 49 anni, presunto aspirante boss di Castrovillari, sua cittadina d’origine, ma residente in contrada Lattughelle di Sibari, e Francesco Romano, 44 anni, imprenditore agricolo coriglianese noto negli ambienti investigativi per qualche piccolo precedente.

Francesco Romano e Pietro Greco

Il 31 gennaio 2020 è invece miracolosamente scampato alla morte il pregiudicato 39enne coriglianese Domenico Russo detto ‘U chiattu, autista del già defunto boss Longobucco, cui ignoti sicari armati hanno teso un agguato a colpi di pistola nei pressi della sua abitazione del centro storico coriglianese, a pochi passi da quella in cui aveva vissuto Longobucco.

Dopo Portoraro, Longobucco, Sanfilippo, Sposato, Greco e Romano, il 3 giugno del 2020, nelle campagne di Sibari, a cadere sotto la tempesta scatenata ancora una volta da un kalashnikov, è toccato al 40enne cassanese Francesco Elia, già coinvolto in processi anti-‘ndrangheta dai quali era però uscito assolto, ma con un cognome storicamente “pesante”, vale a dire col padre e lo zio già morti ammazzati nella guerra di ‘ndrangheta d’inizio anni Novanta.

L’omicidio di Francesco Elia

Il 3 dicembre dello stesso 2020, sempre a Sibari, sotto casa sua, a colpi di pistola è stato “fatto” il pregiudicato 50enne cassanese Giuseppe Gaetani, che altri non era che l’autista del già “giustiziato” boss Portoraro.

Giuseppe Gaetani

Il 4 aprile del 2022, in contrada Gammellone al confine tra i comuni di Cassano Jonio e Castrovillari, sono stati freddati a colpi di pistola il pregiudicato 57enne cassanese Maurizio Scorza e la 38enne moglie tunisina Hedli Hanene: 

per avere fatto da “specchietto” in questo duplice omicidio, una manciata di mesi dopo era finito in carcere il 56enne allevatore incensurato cassanese Francesco Adduci, adesso sotto processo (leggi QUI).

Maurizio Scorza e la moglie tunisina

Un mese dopo, la sera del 3 maggio, nel pieno centro di Schiavonea a Corigliano-Rossano, proprio sotto casa sua, è stato ammazzato a colpi di pistola e mitraglietta il pregiudicato 57enne del luogo Pasquale Aquino inteso come ‘U spusatu

pure in questo caso i presunti responsabili dell’omicidio sono stati assicurati alla giustizia dopo pochi mesi (leggi QUI) e sono sospettati anche del tentato omicidio del pregiudicato 39enne Cosimo Marchese detto ‘U diavulu, scampato miracolosamente a un attentato compiuto a colpi di fucile caricato a pallettoni il 1° giugno, nemmeno un mese dopo l’omicidio Aquino, in contrada Pirro-Malena di Corigliano-Rossano.

Pasquale Aquino

La mattina del 24 maggio dello stesso 2022, invece, sempre a Corigliano, era scampato ad un inseguimento in auto finito a pistolettate, il pregiudicato 32enne del posto Andrea La Grotta. A mancarlo – adesso incriminato per tentato omicidio – sarebbe stato il pregiudicato 23enne, anch’egli coriglianese, Francesco Arturi, cugino della stessa vittima: 

i contorni dello sfumato fatto di sangue non sono ancora per niente chiari…

La sera dello scorso 2 maggio è toccato alla 49enne Antonella Lopardo cadere sotto una scarica di ben 38 colpi di kalashnikov sull’uscio di casa sua nella campagna di Sibari. È morta al posto del marito, il 53enne pregiudicato proprio per fatti di ‘ndrangheta Salvatore Maritato, che stava in casa con lei:

quando uno dei componenti del commando killer ha suonato al campanello, infatti, dietro una tenda ha visto sbucare una sagoma umana e senza pensarci due volte chi imbracciava il mitra ha aperto il fuoco, ma quella era l’ombra dell’innocente consorte di Maritato. La struggente lettera della figlia Chiara (leggi QUI) ha fatto il “giro del mondo” sibarita e commosso, ma certo non ha fermato la mattanza.

Salvatore Maritato e la sfortunata moglie Antonella Lopardo

Giusto un mese fa, la mattina dello scorso 9 agosto, la carneficina s’è spostata sul versante rossanese di Corigliano-Rossano con l’ultimo morto ammazzato della lunga serie: 

il 49enne rossanese pregiudicato per fatti di ‘ndrangheta Carmine Morello alias ‘U Righiarar, convocato a un appuntamento-tranello da qualcuno di sua fiducia che invece l’ha tradito e gli ha fatto trovare sul posto, nella desolata campagna di contrada Stranges, il sicario che l’ha “giustiziato” freddandolo con due colpi di pistola a bruciapelo in testa, uno alla tempia e uno al cranio come colpo di grazia, quando il gregario della ‘ndrina che fu guidata dall’ex superboss rossanese oggi “pentito” Nicola Acri alias Occhi di ghiaccio, era già caduto in ginocchio.           

Carmine Morello

Sulle trame perverse di questa lunga ed allarmante scia di sangue che ha visto cadere senza distinzione alcuna malacarne e innocenti al contempo, indagano carabinieri e polizia coordinati dai magistrati della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri.

Eccezion fatta per qualche caso, è difficile, come d’altronde qui è sempre stato, fare piena luce su mandanti ed esecutori materiali d’omicidi, “lupare bianche” e tentati omicidi di ‘ndrangheta, senza l’“aiuto” di chi è stato all’interno proprio di quelle dinamiche criminali prima della decisione di “saltare il fosso”.

Già, perché qui i nomi, i cognomi, i soprannomi, i “perché”, i “per come” e i “per quando” esatti sono saltati fuori solo dopo le “cantate” dei “pentiti”… direttore@altrepagine.it

Di FABIO BUONOFIGLIO

Classe 1974. Spirito libero, animo inquieto e ribelle. Giornalista. Negli ultimi 25 anni collaboratore e redattore di diverse testate quotidiane e periodiche regionali nel Lazio e nella sua Calabria. Nel 2011 fonda AltrePagine, la propria creatura giornalistica che da allora dirige con grande passione.

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